” COLOMBO E LA SCOPERTA DEL NUOVO MONDO: L’AMERICA ” – PROF.SSA GABRIELLA TORITTO
Redazione- Nelle scuole svedesi si insegna che la scoperta dell’America si deve ai Vichinghi. Si racconta che una spedizione vichinga, guidata da Erickson e da Herjolfsson, sarebbe giunta dalla Groenlandia in Canada verso il 988 d. C.
La nuova terra scoperta venne chiamata Vinland o Terra del vino, in quanto lì furono ritrovati arbusti con bacche simili a quelle da tempo usate in Scandinavia per ricavare una specie di vino.
In Svezia sostengono anche che intorno al 1117 il vescovo islandese Erik raggiunse Vinlad allo scopo di convertire alla fede cristiana gli abitanti del nuovo mondo. Egli si sarebbe servito di battelli di notevoli dimensioni, capaci di trasportare 80 uomini ciascuno. In effetti tracce di oggetti lavorati di origine scandinava sarebbero stati rinvenuti da spedizioni scientifiche sulle coste di Terranova e del Labrador.
Se é vero ciò, è pur vero che, rispetto alla scoperta di Cristoforo Colombo, quella dei Vichinghi non ebbe conseguenze pratiche per l’Europa, sebbene sia ricordata nelle leggende nordiche. Infatti dei remoti rapporti fra Europa e l’America si perdette presto il ricordo.
Nel 1965, un gruppo di geografi dell’Università americana di Yale, nel Connecticut, studiando un planisfero quattrocentesco ha dimostrato che nel 1440 la scoperta dei Vichinghi era conosciuta e tenuta in conto e che quindi Cristoforo Colombo non fece che ritrovare una strada già nota. Quale fu la “strada già nota” a Colombo, se il navigatore genovese intraprese il suo viaggio a diversi gradi di latitudine a sud della Groenlandia?
Alcuni studiosi svedesi hanno voluto forse considerare Colombo come un semplice empirico alla ricerca di isole vere o favolose di cui gli autori di carte e di mappamondi di quel tempo seminavano i mari occidentali, oppure hanno desiderato negargli ogni serietà scientifica.
Cristoforo Colombo è entrato troppo presto nella leggenda. Il genovese aveva acceso le fantasie con suggestioni prepotenti tanto da uscirne snaturato. Ci fu chi si è ostinato a denigrarlo come avventuriero spregiudicato, proteso solo al lucro e al successo, usurpatore della gloria di immaginari predecessori. Chi peraltro lo avrebbe voluto santificare in un’ascetica figura di evangelizzatore, tutto ardente dal desiderio di salvare tante anime di ignari selvaggi alla vita eterna. In realtà egli fu innanzitutto un grande uomo di mare, un esperto navigatore, energico e prudente, preciso nel seguire la rotta e le coste scoperte, anche se in fondo fu sfortunato per avere toccato nelle sue quattro spedizioni solo le isole dell’America Centrale, lasciando ad altri l’orgoglio della scoperta dei reami opulenti del Messico e del Perù. Molte furono le vanterie e le affermazioni inesatte compiute dai suoi sostenitori e dai suoi primi biografi, che hanno consentito che si potesse dubitare in merito ai rapporti avuti da Cristoforo con il dotto fiorentino Toscanelli e che si discutesse poco serenamente sulla sua personalità.
Un qualificato studioso del Rinascimento, come Luigi Firpo, e con lui quanti hanno considerato la scoperta dell’America soprattutto un fatto di cultura, ha sostenuto che a Colombo spettò tutto il merito dell’avvenimento.
L’importanza della scoperta geografica da parte di Colombo sta nel fatto che valorizzò l’espansione di ogni attività umana, propria e tipica del Rinascimento. Mentre il viaggio del vichingo Erickson non ebbe conseguenze pratiche, non ebbe le conseguenze della scoperta del Genovese, scoperta che segnò una svolta decisiva nella storia della umanità.
I viaggi di Colombo aprirono alle genti europee un continente inesplorato, le cui ricchezze e possibilità influirono sullo sviluppo successivo del mondo intero.
Diversi storici si sono meravigliati nel riflettere sulla potente Repubblica di Venezia, in quel tempo pioniera di ogni attività coloniale, detentrice del monopolio dei mercati delle spezie. Si sono chiesti perché Venezia fu assente nelle esplorazioni della nuova via delle Indie.
Lo storico Barbagallo in “Alla conquista delle Indie in Evo moderno” ha visto l’assenteismo dell’antica Repubblica di San Marco perfettamente giustificato dalla difficile situazione politica che Venezia stava attraversando. Infatti Venezia in quel momento storico era preoccupata dal pericolo rappresentato dai Turchi per le proprie colonie nel Mediterraneo Orientale.
Venezia era altresì preoccupata della minaccia francese e tedesca che gravava sul suo giovane impero coloniale e seguiva il grande duello che si combatteva sui mari per la spartizione delle ricchezze del nuovo mondo. Comunque sembrava aver perduto ogni senso di spirito commerciale a tal punto da rifiutare l’invito che nel giugno del 1501, al ritorno di Cabral, le fu rivolto dal sovrano portoghese, Giovanni II, il quale le mostrò come da quel punto innanzi la Repubblica Veneziana avrebbe potuto acquistare, anziché nel lontano Egitto, sui mercati di Lisbona tutte le droghe dell’Oriente e ”farsene con assai maggiore comodità distributrice per tutto il mondo Cristiano”. Venezia declinò l’invito e preferì rivolgersi all’ultimo sultano mamelucco d’Egitto che non disponeva di alcuna flotta e i cui stati erano in perenne agitazione, incitandolo a guerreggiare sia contro i navigatori Portoghesi sia contro i principi indiani, loro benevoli fornitori.
Oltre alle preoccupazioni politiche a Venezia si ebbe il convincimento che il Portogallo, privo di capitali, non potesse reggere a lungo l’enorme sforzo delle spedizioni transoceaniche e che in ogni caso le spezie che quei navigatori avrebbero riportato dal Malabar dovevano essere rivendute ad un prezzo più elevato rispetto alle spezie che i cittadini veneti continuavano a caricare sui mercati di Alessandria.
Rispetto a Barbagallo, lo storico Luzzato è stato di ben diversa opinione. Infatti ha ritenuto che Venezia non fosse distratta dinanzi alla spartizione della ricchezza del nuovo mondo fra Portogallo e Spagna. Anzi si preoccupò moltissimo della scoperta della nuova via delle Indie e delle sue conseguenze. Lo hanno testimoniato le relazioni dei suoi ambasciatori in Spagna e in Portogallo, nonché l’ardito piano di tagliare l’istinto di Suez. E se è vero che commise l’errore di non accettare l’invito del re del Portogallo nell’errata illusione che questi ben presto, per mancanza di mezzi, avrebbe rinunciato all’impresa, bisogna anche riconoscere che la proposta portoghese non fosse così favorevole, né avrebbe giovato granché alla Repubblica Veneziana. Inoltre bisogna anche ammettere che una conduzione diversa dei rapporti commerciali e diplomatici di Venezia non avrebbe necessariamente consentito il mantenimento della florida posizione economica di cui la Repubblica poté godere negli ultimi secoli del Medioevo. I Veneziani non vollero chiudere gli occhi di fronte all’evidenza. Anzi nessun altro Stato seguì con maggiore scrupolo ed attenzione tutte le vicende delle imprese coloniali e del commercio portoghese con le Indie. Proprio perché erano pienamente informati di ciò che avveniva, i Veneziani compresero che l’unico mezzo per conservare al proprio mercato l’antica forza di attrazione sarebbe stato quello di sostituire Lisbona ad Alessandria e di ottenere che i soli acquirenti delle spezie vendute a Lisbona fossero i Veneziani. Era tuttavia altresì evidente che una tale soluzione sarebbe stata impossibile sia a causa della posizione geografica di Lisbona, facilmente accessibile dai porti dell’Atlantico, della Manica, del Mare del Nord che non da quelli dell’Adriatico, sia per la partecipazione diretta che i mercanti e i banchieri tedeschi avevano ottenuto fin dal 1503, accanto ai Fiorentini e ai Genovesi, alle imprese marittime commerciali dei portoghesi, sia infine per l’importantissima fattoria che la Corona di Portogallo aveva instituito ad Anversa per la vendita dei prodotti orientali.
Dunque nessuna abilità e antiveggenza politica avrebbero potuto impedire che la scoperta della nuova via marittima per le “Indie” producesse l’inevitabile conseguenza di spostare dalle coste dell’Adriatico a quelle dell’Atlantico il centro dei traffici fra l’Europa Occidentale e l’Oriente e che Anversa subentrasse a Venezia per il rifornimento dei prodotti orientali a quasi tutti i paesi d’oltralpe.
L’economia europea nei secoli precedenti alla scoperta dell’America, ovvero della nuova via delle Indie, aveva come suo epicentro il Mediterraneo. Qui affluivano dall’Oriente le spezie, gli aromi, i coloranti, la seta e legni preziosi. Si erano costituiti nel bacino orientale del Mare Nostrum grandi centri commerciali, grandi mercati (oggi diremmo hub) dove avvenivano scambi intercontinentali. Il Mediterraneo formicolava di navi mercantili che importavano ed esportavano ricchezze. L’Italia, tutta proiettata al centro di questo mare, costituiva il ponte fra l’Oriente e l’Occidente e le sue Repubbliche Marinare, i suoi mercanti, i suoi banchieri avevano quasi il monopolio dell’enorme volume di ricchezza che affluiva dall’Oriente. Le città marittime italiane erano diventate grandi empori dell’economia europea. Da esse le merci defluivano in tutta l’Europa. Il ruolo di “ponte” destinò agli Italiani una grande potenza economica e finanziaria ed un elevato livello di vita, espresso nelle belle grandiosi città, negli eleganti palazzi, nei monumenti, nei ricchi vestiti, nel lusso del costume, nell’abbondanza di metalli preziosi.
Oltre che sottrarsi al dominio dei Turchi, una delle principali ragioni che spinse i paesi occidentali a cercare una nuova via per le Indie fu il bisogno di sottrarsi al monopolio commerciale degli Italiani.
La scoperta di una rotta, molto più corta e più facile da percorrere, permise ai Portoghesi di vendere le spezie a prezzi 5 e 10 volte più bassi rispetto a quelli dei Veneziani.
In breve i mercati e traffici del Mediterraneo subirono una paralisi progressiva. Su tutti ne risentirono gli Italiani che videro esaurirsi sempre di più le fonti del loro benessere. La decadenza dell’Italia moderna, da molti storici attribuita all’infiacchimento morale, è spiegata da Pietro Silva proprio con la svalutazione del Mediterraneo, derivata dalla scoperta delle nuove vie atlantiche e dalla avanzata dei Turchi: “… svalutandosi il Mediterraneo ed impoverendosi la vita Mediterranea, fu fatale che si indebolisse e decadesse anche l’Italia”
L’Età Moderna va dalla scoperta dell’America fino al 1815. Sono tre secoli e più di storia e abbraccia molti eventi: rivoluzione dei prezzi, correnti politiche, Illuminismo, Rivoluzione Francese, Razionalismo, correnti economiche.
Su quando finisca la Storia Moderna ci sono diverse versioni, alcuni pensano che finisca con la Rivoluzione Francese, altri con il Congresso di Vienna.
Anche la data della scoperta dell’America potrebbe non essere esatta. Secondo alcuni studiosi oscillerebbe tra due date: 1453 e 1492. Il 1453 vede fra l’altro la caduta dell’Impero Romano d’Oriente e la fine della guerra dei 100 anni. Per Bacone invece l’Età Moderna coincide con l’invenzione della stampa, della polvere da sparo e la scoperta dei corpi magnetizzati.
Nel 1492, quando contestualmente morì Lorenzo il Magnifico, l’Europa iniziò a confrontarsi con il nuovo mondo e conobbe una nuova epoca storica: l’Età Moderna. Nel campo economico l’enorme ricchezza di merci e spezie consolidò l’affermazione della borghesia e del mercante.
A metà 1500 molte città italiane conobbero un grande sviluppo. La navigazione ebbe sviluppi eccezionali. Tutti vollero raggiungere le Indie per commerciare e per procurarsi le spezie che all’epoca erano di primaria importanza per la conservazione dei cibi.
Spagnoli e Portoghesi gareggiarono con le loro flotte, alla ricerca di una via più veloce per raggiungere le Indie, esplorazione resa possibile dal fatto che a metà del XV secolo era già pronta la base economico organizzativa per l’espansione portoghese: la caravella. Cominciò ad essere rivista la mappa tolemaica del mondo secondo cui le navi potevano navigare direttamente dall’Africa alle Indie. Attraverso lo studio degli antichi classici si scoprì che un geografo greco vissuto intorno agli anni 60° a.C., Strabone, aveva incoraggiato l’idea che l’Africa potesse essere circumnavigabile. La circumnavigazione del continente africano apparve nella mappa del mondo disegnata nel 1459 da un monaco veneziano, fra’ Mauro. Gli strumenti per la navigazione si affinarono: la Spagna possedeva già la bussola, gli altri paesi avevano mezzi diversi per misurare la latitudine, come il quadrante nautico e la balestriglia.
L’espansione portoghese nel continente africano consentì lo sfruttamento di enormi risorse, come gli schiavi, l’oro della Guinea, l’avorio, il cotone, il pepe, lo zucchero di Madera. L’impero portoghese in Africa tuttavia presentò due limiti: la difficoltà da parte dello Stato di gestire razionalmente le risorse commerciali e coloniali; la forte dipendenza dai mercanti stranieri.
Dal suo canto la Spagna diede luogo all’occupazione delle Canarie. Proprio tale colonizzazione funse da tramite fra la Reconquista (la Guerra Santa contro i Mori che occupavano ancora una vasta area della Penisola iberica) e l’espansione castigliana e aragonese che determinò la nascita della Spagna moderna e la conquista dell’America.
Fra il 1477-1479 venne portata a termine la colonizzazione dell’arcipelago delle Canarie e nel 1479 fu siglato il trattato di Alcaçovas tra Portogallo e Spagna, secondo cui il Portogallo accettava di riconoscere i diritti castigliani sulle Canarie e la Spagna riconosceva i titoli portoghesi sulle altre isole dell’Atlantico e sulle coste africane a sud di capo Bojador.
Il principio che giustificò l’occupazione dei territori fu la fede, la guerra contro gli infedeli. Fu anche stabilito un principio destinato a essere applicato nella colonizzazione americana: Isabella di Castiglia, la regina, si riservò i diritti di signoria e sovranità sulle isole Canarie, nominò governatori, concedette ai capitani e agli artefici della conquista il potere di effettuare repartimientos, cioè divisioni dei bottini di guerra e delle cariche pubbliche.
Nonostante fosse più fragile dal punto di vista economico rispetto alla Spagna, il Portogallo riuscì a rafforzare l’autorità statale, a reprimere le spinte della grande nobiltà, a sfruttare attraverso una politica monopolistica, le risorse d’oltremare. Gli interessi della Spagna, invece, furono sospinti soprattutto verso il completamento della Reconquista, il consolidamento delle conquiste africane, la politica italiana.
Una volta conquistate le nuove terre, sorsero quesiti di natura giuridica e i giuristi inventarono la formula “terra nullius“, cioè terra non sottoposta ad alcuna signoria, disabitata o abitata da selvaggi senza ordinamenti né leggi.
Il XV secolo fu dunque il tempo dell’avventura, in particolare la più importante fu l’impresa di Colombo. Egli nacque a Genova da un artigiano tessile ed intraprese la via della navigazione al seguito di mercanti genovesi. Nel 1479 Colombo si trasferì in Portogallo. Il geografo umanista fiorentino Paolo dal Pozzo Toscanelli lo convinse della sfericità della Terra e Colombo elaborò il progetto di raggiungere le Indie Orientali partendo dalle coste atlantiche dell’Europa. Il progetto fu presentato a Giovanni II, re del Portogallo, ma la risposta del sovrano fu negativa poiché il re non era convinto della fondatezza dell’impresa e riteneva difficile continuare ad investire altre risorse al di fuori dell’espansione portoghese in Africa.
Colombo si rivolse allora ad Isabella di Castiglia e al di lei marito, Ferdinando il Cattolico. Il primo contatto, avuto nel 1486, ebbe esito negativo. Il secondo contatto, avvenuto nel 1491, vide l’approvazione all’esplorazione geografica di nuove rotte marittime per raggiungere l’Oriente.
Nel 17 aprile 1492 la Capitolazione di Santa Fè concesse a Colombo il titolo di ammiraglio, viceré e governatore delle terre eventualmente scoperte, ma, al tempo stesso, rivendicò al potere pubblico, allo Stato, alla Corona di Spagna la legittimità della spedizione.
La prima spedizione, salpata nell’agosto del 1492, fu effettuata con tre caravelle: La Santa Maria, comandata, da Colombo; La Pinta e La Niña, comandate da Alonso e Yanez Pinzòn.
Nel 12 ottobre 1492 Colombo avvistò la terra. Credette di trovarsi in Cina o in Giappone; in realtà approdò all’isola di Guanahani, ribattezzata San Salvador, nelle Bahamas. La seconda spedizione fu di proporzioni molto più grandi rispetto alla prima. Vi presero parte molti cavalieri che avevano partecipato alle imprese della Reconquista, pur non essendo nobili. Colombo tornò a casa con un piccolo carico di schiavi. Il 30 maggio 1498 Colombo partì per una terza spedizione con sole sei navi ed approdò al delta dell’Orinoco. Il bottino fu cospicuo. Con la terza spedizione toccò le sponde dell’America Latina. Nel frattempo a Santo Domingo, la base più importante del Nuovo Mondo, si verificarono disordini, violenze, epidemie che resero assai precaria l’amministrazione di Colombo, accusato di corruzione ed incarcerato, tanto da essere rinviato in Spagna incatenato nel 1500. Il navigatore genovese fu liberato dalla regina Isabella, la quale gli affidò un’ultima spedizione, in cui Colombo costeggiò l’Honduras, e, spingendosi ancora più a sud, si arenò. Fu così costretto a tornare in Spagna dove morì il 20 maggio 1506, abbandonato da tutti.
I prodotti provenienti dal nuovo modo, come ad esempio la patata, rivoluzionarono l’alimentazione dell’uomo europeo. Dal nuovo mondo arrivarono anche il cacao, il pomodoro, nuove specie di fagioli e zucche, l’argento che contribuì ad una riduzione dei prezzi.
Dopo la prima spedizione di Colombo si pose il problema della definizione delle aree di influenza fra Spagna e Portogallo. Sicché nel 1493 Papa Alessandro VI Borgia, con la bolla Inter cetera, assegnò alla corona di Castglia “ogni isola o terraferma scoperta o ancora da scoprire, avvistata o non ancora avvistata, a ovest e a est di una linea stabilita e tracciata dall’Artico o Polo Nord all’Antartico o Polo sud che passava cento leghe a ovest e a sud delle cosiddette Azzorre e Isole del Capo Verde che non fossero ancora di un altro re o principe cristiano”. I portoghesi però non accettarono la divisione sancita dalla bolla papale e nel 1494 il trattato di Tordesillas definì le zone d’influenza di Spagna e Portogallo: “l’oceano dal Polo Artico all’Antartico era diviso da un meridiano a 370 leghe a occidente delle isole di Capo Verde; alla sua destra, a oriente, era configurata la colonizzazione portoghese, alla sua sinistra, a occidente, quella spagnola”.
Nel trattare sulle scoperte geografiche del XV secolo non si può prescindere dalla personalità di Cristoforo Colombo. Dalla fine del XIX secolo storici spagnoli e francesi con grande accanimento hanno cercato di infirmare l’onestà e il valore dell’opera di Cristoforo Colombo. Gli spagnoli hanno sostenuto che il genovese fosse un volgare mentitore in quanto si fece credere italiano mentre in effetti aveva origini galiziane. I francesi gli negarono persino il diritto alla gloria della scoperta dell’America.
Ben presto, dopo il primo disorientamento, storici e scienziati di tutto il mondo hanno avuto modo di verificare l’inconsistenza delle tesi spagnole e francesi e di riconfermare stima e certezza dell’opera del navigatore genovese.
La scoperta dell’America costituisce il più grande fatto della storia dopo la venuta di Cristo ed è opera di due italiani, Paolo Dal Pozzo Toscanelli e Cristoforo Colombo. Al primo si deve l’idea, il pensiero, all’altro l’attuazione. Le esplorazioni geografiche del XV e XVI secolo si inquadrano nel desiderio dell’uomo rinascimentale di possedere appieno il mondo, ddi dominare la Natura.
Fra le varie prove dell’intenzione di Colombo di raggiungere le Indie c’è la lettera di Annibale De Gennaro, scritta da Barcellona il 9 marzo 1493 al fratello residente a Milano, con cui lo informava che Colombo “ad effetto che esso diceva di volere andare per lo mare magior et navigare tanto per dritta linea, per Ponente, per fine che venisse all’Oriente, che essendo lo mondo ritornado, per forza havea de voltare e trovare la parte occidentale” … “cussì fece… secondo che per littera esso scrive, la quale littera io ha vista”. Cioè Annibale De Gennaro informa il fratello di avere visto la lettera che Colombo scrive ai due ministri dei Re cattolici: Luis de Santangel e Gabriel Sanchez.
La corrispondenza fra Colombo e Toscanelli, che Vignaud ritiene completamente inventata da Bartolomeo Colombo, fratello di Cristoforo, é invece provata come autentica da fatti incontestabili. Inoltre ci sono diversi documenti che attestano la corrispondenza di Toscanelli sia con il re del Portogallo, sia con Cristoforo Colombo.
F.to Gabriella TORITTO
FONTI:
R. ALMAGIA’, Cristoforo Colombo visto da un geografo, Firenze, L:S: Olschki, 1992
C. BONANNO, “L’età medievale nella critica storica” – 1 – Liviana Editrice, Padova, 1983
J.H. PARRY, Le grandi scoperte geografiche, Milano, 1963
R. PORTNER, L’epopea dei Vichinghi, Milano, 1972