IL TEATRO DELLA VITA-DOTT.SSA MONIA CIMINARI
Redazione-In quest’estate calda, che ormai sta per volgere al suo declino, mi sono imbattuta tra le righe di uno dei romanzi più noti di Elsa Morante “L’isola di Arturo”. Qui è centrale il rapporto trainante tra padre e figlio. “ La mia infanzia è come un paese felice, del quale lui è assolutamente regnante!” confessa il protagonista nel primo capitolo dicendo “egli era sempre di passaggio, sempre in partenza, ma nei brevi intervalli che trascorreva a Procida io lo seguivo come un cane…..”. Il libro racconta le varie vicissitudini che portano il bambino, orfano di madre e quasi abbandonato a se stesso, alla faticosa conquista dell’età adulta. La Morante non ci dice nulla sulla vita adulta di Arturo, non lo vediamo crescere. Il futuro resta indefinito, perché crescere significa perdere i sogni e l’energia dell’adolescenza per entrare nel mondo <<irreale>> degli adulti. Come dice la poesia iniziale di dedica che apre il volume <<fuori del limbo non c’è eliso>>, vale a dire che nessun Eden, nessun accogliente giardino ci aspetta una volta che siamo usciti dall’adolescenza. Tuttavia l’immagine ambigua ed enigmatica della figura paterna insegna una cosa importantissima ad Arturo: la libertà. Arturo cresce come il padre selvatico ed indipendente. La sua formazione sembra il risultato della pedagogia anarchica prospettata da Jean-Jacques Rousseau. Il tema dell’infanzia e dell’adolescenza come momento di libertà da preservare ha nella scrittura della Morante un’impronta decisiva. Il mondo degli adulti è spesso incentrato intorno ad un meccanismo perverso, falso e ipocrita. Si gioca a fare la guerra economica, di potere, tra religioni, per non so quale ideale, seminando morte, violenza distruzione di vite umane, boschi, paesaggi, animali. Nel 1968 la Morante pubblica, quasi come presagio, una raccolta di poesie intitolata “Il mondo salvato dai ragazzi”. Un vero e proprio inno all’adolescenza e alla spontaneità dei ragazzi, unica speranza rimasta per preservare l’esistenza umana dal dominio degli<<infelici molti>>, cioè degli adulti. Il protagonista dell’isola di Arturo è invece uno dei <<pochi felici>>, uno di quei ragazzi liberi che salveranno il mondo con la loro grazia. A questo personaggio mi sono ispirata per interpretare una performance teatrale insieme a mia figlia Maria Vittoria nel teatro della comunità regia di Marco di Stefano e Tanya Khabarva che si è svolto il 3 Agosto scorso nel varco sul mare a Civitanova Mache. Arturo mi ha fatto venire in mente un altro personaggio abbastanza noto della mia cittadina che si chiamava Luciano Piccari ed era l’uomo che voleva volare. Con ali invisibili rigava inflessibile il cielo e sopra i rumori di un mondo incompreso ammirava incontrastato l’alba rispecchiarsi in una goccia di rugiada e quando andava verso il mare i gabbiani erano lì ad aspettare e lo seguivano nel suo volo planare. Molti avevano timore di lui per il suo aspetto grottesco: barba e capelli incolti, un cappellaccio, occhiali scuri, un giubbotto imbottito anche sotto il solleone. Io spesso lo osservavo nei suoi atteggiamenti infantili e vedevo in lui quella bambina che è sempre stata in me, che desiderava tanto volare: dapprima con il pensiero, la poesia, l’arte, la pittura, il teatro e che adesso si è fatta realtà, si è fatta vita, si chiama Maria Vittoria ed è la mia vittoria. Si perché il teatro della comunità è il teatro della partecipazione, il teatro dell’interattività in cui la gente comune, con le proprie attività, i propri desideri, può vivere il teatro dal di dentro, fare il teatro da protagonista. Questa formula, che per due settimane ha visto una relazione totale di coinvolgimento, nel far maturare le esperienze sociali, umane e artistiche dei partecipanti, sono state messe insieme dalla stessa comunità e dalla grande sensibilità ed energia di Marco di Stefano e Tanya Khabarova. Quindi il teatro come agorà, una grande piazza aperta a tutti perché il teatro è rappresentazione della vita, delle gioie, delle angosce, delle difficoltà, delle tragedie che l’uomo è chiamato a vivere ogni giorno. Conoscere dall’interno questo suo meccanismo fatto di sudore, sentimento, applicazione, confronto con la diversità, con i più piccoli, con i diversamente abili e con coloro che, portatori di un disagio fisico o mentale sono spesso isolati, emarginati, ignorati e che, invece, proprio per la loro cosiddetta diversità , possono essere fonte di arricchimento e crescita comune. Come sorgenti luminose di navi, ognuna ignota al destino dell’altra, ci siamo incontrati nel grande mare della vita precisi nel restituire il saluto quotidiano movendo quel cosmico immaginare che arriva a
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