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” MARIO SETTA, UN UOMO LIBERO ” DI VALTER MARCONE

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Redazione- Il 27 gennaio del 1945 le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz. È stato scelto questo giorno per commemorare ogni anno la Shoah e lo sterminio di oltre 6 milioni di ebrei,250 mila zingari Rom e Sinti,250 mila tedeschi con disabilità, 3,3 milioni di soldati sovietici visti come slavi “subumani”,( i Nazisti ritenevano che fossero parte della “minaccia giudeo-bolscevica). Inoltre altri gruppi forniscono vittime all’Olocausto. Tra questi vi erano avversari politici, reali o presunti, Testimoni di Geova, uomini accusati di aver compiuto atti omosessuali e persone considerate “asociali”. Centinaia di migliaia di vittime imprigionate e uccise nei campi di concentramento. Morirono di fame, malattia, lavori forzati , maltrattamenti, o pura e semplice esecuzione. e non solo ebrei .

Il 27 gennaio di ogni anno , istituita con la risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 1 novembre 2005, la giornata dedicata alla memoria celebra l’Olocausto. L’ Italia ha formalmente istituito la giornata commemorativa, nello stesso giorno, alcuni anni prima della corrispondente risoluzione dell’Onu ( 1)

Per la giornata della memoria voglio ricordare su queste pagine la figura di Mario Setta recentemente scomparso. Professore al liceo scientifico di Sulmona, scrittore, ricercatore, uomo di cultura e anima del “Sentiero della libertà”, Setta ha reso un grande contributo alla storia e alla memoria collettiva. Quella partigiana, in particolare, con il suo attivismo in campo editoriale e la traduzione e pubblicazione di diari e racconti della fuga dei prigionieri dal Campo 78 durante la seconda guerra mondiale, quella “Resistenza umanitaria” su cui aveva costruito il “Freedom Trail”.

lI Sentiero della Libertà è un trekking di 60km che parte da Sulmona (AQ) e arriva a Casoli (CH). Il tracciato è suddiviso in 3 tappe ed è percorribile in 3 giorni, sui sentieri che attraversano la Majella (il secondo massiccio muntuoso dell’Abruzzo, dopo il Gran Sasso).

Questo trekking ripercorre la via di fuga utilizzata da migliaia di prigionieri della Seconda Guerra Mondiale attraverso il Parco Nazionale della Majella. Era utilizzata da migliaia di prigionieri alleati e di giovani italiani che lottavano per la liberazione d’Italia, divisa dalla Linea Gustav dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. L’idea di ripercorrere le strade utilizzate dalla resistenza nasce dal liceo scientifico Enrico Fermi di Sulmona. I ragazzi negli anni ’90 aprirono una ricerca sui POW (Prisoners Of War) detenuti in Abruzzo. La ricerca ha portato a scorpire un libro “Escape from Sulmona”, di Donald I. Jones, che racconta delle vicende avvenute durante la guerra. Ricostruendo gli avvenimenti sul libro, è stato creato “il Sentiero della Libertà”.

Il Sentiero della Libertà/Freedom Trail nasce nel 2001 e ha origine dall’incontro, avvenuto nei primi anni Novanta, tra J. Keith Killby, ex-prigioniero inglese, ed Ezio Pelino, preside del Liceo Scientifico Statale E. Fermi di Sulmona.

Killby aveva costituito nel Regno Unito il Monte San Martino Trust, per ricambiare l’aiuto ricevuto dagli italiani e in particolare dagli abruzzesi durante la Seconda Guerra Mondiale. Ha proposto al Liceo E. Fermi di collaborare con la Fondazione traducendo alcuni libri di memorie di ex-prigionieri che avevano vissuto quel periodo proprio a Sulmona e dintorni. Nel corso degli anni, grazie ad alcuni insegnanti come Rosalba Borri, Antonio Bruno Quadraro, Maria Luisa Fabilli e Mario Setta, il Liceo ha continuato le traduzioni e le ricerche sulla storia degli ex-prigionieri inglesi e italiani che avevano vissuto quegli anni nella Valle Peligna fino ad imbattersi nella storia del Presidente emerito della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, che aveva percorso in prima persona quei sentieri verso la salvezza da Sulmona a Casoli.

Sulla base delle interviste e dei testi delle memorie anglo-americane fu elaborato un piano di lavoro secondo il metodo di storici come Lucien Febvre e Fernand Braudel, “La storia è l’uomo”, per riscoprire il passato nel contesto geografico, sociologico, psicologico della gente di Sulmona e della Valle Peligna. Furono esaminate bibliografie ,documenti originali e interviste e si procedette ad una sintesi .

La ricerca, protrattasi per alcuni anni, ma sempre come work in progress, produsse un primo volume, uscito nel 1995 col titolo “E si divisero il pane che non c’era”. Il libro era un lavoro corale, a cura di Rosalba Borri, Maria Luisa Fabiilli, Mario Setta. Infatti scrive uno dei protagonisti di questa ricerca : “ Per quanto mi riguarda, nello scriverlo al computer, non facevo altro che piangere. Le storie erano talmente vere ed emozionanti che mi sconvolgevano psicologicamente. I giudizi furono subito particolarmente lusinghieri. Il quotidiano Il Giorno, che gli dedicò la pagina della cultura, ne parlò come di “un libro ricco, dettagliato e di formidabile forza emotiva”. Ne mandammo una copia a Carlo Azeglio Ciampi, allora ministro dell’economia. Gliela spedì dalla scuola il vice-preside Nicola De Grandis che ricevette una lettera da Ciampi in cui scriveva:

“Per quanto mi riguarda personalmente, la lettura mi ha rinnovato alla memoria pagine indimenticabili dell’inverno 1943-44, in cui ho potuto sperimentare la grande generosità della popolazione abruzzese”.

Nel discorso per l’inizio dell’anno scolastico, tenuto a Roma, all’Altare della Patria, il 24 settembre 2000, Ciampi, allora Presidente della Repubblica Italiana, disse: “Provate a scrivere voi la storia d’Italia; raccogliete le memorie dei vostri paesi, delle vostre città. I vostri insegnanti potranno aiutarvi. Alcune scolaresche hanno già realizzato progetti del genere: ho letto un bel libro sulle vicende del 1943-44 a Sulmona”.

Parteciparono alla redazione finale anche gli storici Costantino Felice e Walter Cavalieri .(2)

Si legge ancora sul sito dell’Associazione : “Fu creato un Laboratorio di storia a livello di Distretto Scolastico tra Sulmona e Castel di Sangro, con l’approvazione del Ministero della Pubblica Istruzione. Fu proposto al Laboratorio di focalizzare la ricerca sulle traversate da Sulmona a Casoli durante il periodo di guerra, dal settembre 1943 al giugno 1944. La proposta proveniva da alcune associazioni di ex-prigioneri inglesi in modo da realizzare una marcia che partendo da Sulmona raggiungesse il fiume Sangro, meta storica per gli alleati nella seconda guerra mondiale. Si discusse il progetto, analizzando le difficoltà. Nasceva così l’idea del Freedom Trail. Le associazioni degli ex prigionieri di guerra come il Monte San Martino Trust (segretario Keith Killby) e l’ELMS (Escape Lines Memorial Society, segretario Roger Stanton) avrebbero collaborato con il Liceo. Il percorso avrebbe avuto quattro tappe: Sulmona-Campo di Giove-Palena-Gamberale-Castel di Sangro, in modo da unificare simbolicamente le due vie: da Nord-Sud (i sentieri dei POW verso la Libertà) e da Sud-Nord (la Liberazione dell’Italia da parte degli Alleati). Il fiume Sangro rappresentava per gli Alleati un importantissimo richiamo alla memoria, dal momento che il generale Montgomery aveva dato come titolo del suo libro “Da El Alamein al fiume Sangro”.Fu stabilita la data per il mese di maggio 2001, esattamente per i giorni 17-18-19-20 maggio. Nel frattempo continuava la ricerca sulle traversate e sulle fughe dal campo di concentramento di Fonte d’Amore verso le linee alleate. Furono raccolte numerose testimonianze e una più approfondita bibliografia sull’argomento. Carlo Azeglio Ciampi il 18 maggio 1999 era diventato Presidente della Repubblica Italiana. “

Il 17 maggio 2001 il Presidente della Repubblica Ciampi, nella straordinaria cornice di piazza Garibaldi, la piazza Maggiore della città, con un discorso rivolto a giovani e veterani, italiani e anglo-americani, dette il via alla Marcia da Sulmona a Castel di Sangro A supporto storico della manifestazione Il sentiero della libertà/Freedom Trail. Infatti Il sentiro della libertà  Un tratto di strada con Carlo Azeglio Ciampi, venne stampato un libro a cura del Liceo dalla casa editrice Qualevita.

In definitiva come scrive Mario Setta :”l’obiettivo era quello di consegnare ai giovani quell’ideale di libertà, ottenuta con i sacrifici e il sangue dei caduti anglo-americani e degli italiani che si schierarono nelle loro file, da nord a sud e da sud a nord. Il Freedom Trail come metafora della lotta per la libertà. Di ieri, di oggi, di sempre. Il 12 giugno 2003, viene presentato a Roma il volume Il sentiro della libertà Un tratto di strada con Carlo Azeglio Ciampi, nella sala dei Presidenti di palazzo Giustiniani. Interviene Marcello Pera, presidente del Senato, che esprime apprezzamento per l’iniziativa editoriale e si sofferma sull’importanza della microstoria, definendola “crocicchio e paradigma della grande storia”. Ma, pur sottolineando con forza la libertà dell’interpretazione storiografica, lancia un appello perché i giovani contribuiscano a “ricostruire una storia d’Italia condivisa e comune”, superando le divisioni del passato, per una educazione civile e politica. La sfida, lanciata con molto fair play, non poteva restare senza risposta. E così fu. I due relatori, Gabriele De Rosa e Claudio Pavone, famosi storici per professionalità e competenza, non si sottraggono alla discussione ed esprimono apertamente le loro opinioni, affermando che le interpretazioni storiche sono e non possono non essere diverse. La storia non è una scienza esatta. E proprio per questo la memoria non è unica, né si può facilmente unificare. Non è vero che i morti siano tutti uguali. O meglio, le loro ragioni. Perché chi è morto dalla parte dei nazi-fascisti non è uguale a chi è morto per la patria, lottando con gli alleati per liberare l’Italia. Per arrivare ad una storia, ad una memoria condivisa, sarebbe necessario un incrocio di conversioni. Solo attraverso una forma di dialogo, in cui ogni persona ed ogni istituzione riconoscessero limiti ed errori, si potrebbe arrivare alla memoria comune, alla storia condivisa.

L’8 settembre 2003 diamo vita all’Associazione Culturale Il Sentiero della Libertà/Freedom Trail con sede presso il Liceo Scientifico Fermi di Sulmona. Vengo eletto presidente dell’Associazione e Adelaide Strizzi, vice presidente. Ezio Pelino, presidente onorario. Scopo dell’Associazione è quello di programmare e contribuire alla realizzazione della Marcia. Ma, anche alla cura delle pubblicazioni sulla memoria degli ex-prigionieri, per la collana “E si divisero il pane che non c’era”.

E ancora si legge sul sito dell’Associazione : “ Ciò che incuriosisce, e forse sbalordisce, è la vasta produzione di testimonianze e di memorie che raccontano l’epopea della solidarietà abruzzese: Uys Krige, John Esmond Fox, Donald Jones, Jack Goody, John Furman, William Simpson, John Verney, Sam Derry, J P. Gallagher, Dan Kurzman, John Broad, Hans Catz, Tony Davies, Ronald Mann, Guy Weymouth, Joseph Frelinghuysen, John Miller, Martin Schou, Stan Skinner, Gladys Smith. Pagine dense di episodi drammatici e toccanti, comici e romantici: ci furono ex-prigionieri nascosti per mesi nelle grotte, nelle cantine, travestiti da donne, fatti passare per sordomuti e quelli che, dopo la liberazione, contrassero il matrimonio con le figlie dei loro benefattori. Ancora oggi, figli o parenti di ex prigionieri di guerra tornano a Sulmona e nelle vicinanze per conoscere o ritrovare le persone e le famiglie che li avevano salvati.

Nel 2004, fu realizzato il progetto “Sulle strade della Brigata Majella, un lungo cammino per la libertà”, promosso dai Sindacati pensionati unitari, SPI-CGIL Abruzzo, in collaborazione con la nostra associazione. Fu presentato il libro La guerra in casa 1943-1944, la Resistenza Umanitaria dall’Abruzzo al Vaticano, traduzione dall’inglese del libro di William Simpson, A Vatican Lifeline ‘44. Lo storico inglese Roger Absalom, nostro amico e consulente, scomparso il 9 ottobre 2009, autore d’una ricerca accurata e completa sui Prigionieri di guerra alleati in Italia, tradotta solo di recente col titolo L’alleanza inattesa (Uguccione Ranieri di Sorbello Foundation, 2011) aveva scritto alcune pagine di presentazione al libro di Simpson, che esaltano le gesta di umanità compiute dalla gente abruzzese.

Le edizioni della marcia Il Sentiero della Libertà/Freedom Trail sono continuate regolarmente ogni anno. Nel 2009, a causa del terremoto che ha colpito L’Aquila e l’Abruzzo, abbiamo rinviato la manifestazione al mese di settembre. E ci fu una buona partecipazione, soprattutto da parte dei giovani delle nostre zone. Nel 2010, su proposta del sindaco di Casoli, facemmo la traversata a ritroso, con partenza da Casoli e arrivo a Sulmona, ripercorrendo il tragitto della Brigata Maiella.

Nel 2011, in occasione della Undicesima edizione, 28-29-30 aprile 2011, è uscito in traduzione italiana, a cura degli studenti del Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II di Roma, il famoso libro di Sam Derry, The Rome Escape Line, col titolo Linea di fuga 1943-1944, Sulmona-Roma-Città del Vaticano (ed. Qualevita), che racconta la fuga degli ex prigionieri alleati verso Roma e la storia dell’Organizzazione, creata all’interno del Vaticano per aiutare i fuggiaschi. Il libro si presenta come n. 5 della collana di memorialistica E si divisero il pane che non c’era. Una testimonianza di prima mano, scritta da un protagonista, che racconta le drammatiche vicende abruzzesi e romane, dal settembre 1943 al 4 giugno 1944, giorno della liberazione di Roma. La prefazione al libro di Antonio Parisella, presidente del Museo storico di via Tasso a Roma e la premessa di Silvia Fasciolo-Bachelet, coordinatrice del progetto, mettono in evidenza l’interesse pedagogico e l’importanza storica dell’opera, realizzata in collaborazione tra il Convitto Nazionale di Roma, l’Associazione “Il sentiero della libertà/Freedom Trail” di Sulmona e il Museo storico di via Tasso a Roma.

Con la nascita dell’associazione, le edizioni della Marcia vengono programmate annualmente. Dopo la presidenza del prof. Mario Setta e del prof. Giovanni Bachelet, accetta l’elezione la dott.ssa Maria Rosaria La Morgia, giornalista RAI, nonché storica e coinvolta culturalmente nell’iniziativa. La vice presidente, prof.ssa Adelaide Strizzi, con l’incarico dagli inizi, resta costante nella cura delle varie edizioni. Nel frattempo l’associazione lascia la sede del Liceo Scientifico e diventa autonoma, riuscendo ad organizzare le varie edizioni della Marcia fino alla XX del 2019, non realizzata a causa del Coronavirus, in attesa di riprendere l’iniziativa negli anni successivi, alla luce dell’importanza storica e formativa e nel rispetto delle regole anti-covid.

Ma si deve a Mario Setta l’attualizzazione di un concetto storico caro alla scuola francese quella

del “ documento / monumento che Le Goff sintetizza così : “La memoria collettiva e la sua forma scientifica, la storia, si applicano a due tipi di materiali: i documenti e i monumenti. Infatti ciò che sopravvive non è il complesso di quello che è esistito nel passato, ma una scelta attuata sia dalle forze che operano nell’evolversi temporale del mondo e dell’umanità, sia da coloro che sono delegati allo studio del passato e dei tempi passati, gli storici.
Tali materiali della memoria possono presentarsi sotto due forme principali: i monumenti, eredità del passato, e i documenti, scelta dello storico.” e del metodo di storici come Lucien Febvre e Fernand Braudel, “La storia è l’uomo”, per riscoprire il passato nel contesto geografico, sociologico, psicologico.

Mi riferisco e voglio parlare del Campo di concentramento 78 di Fonte d’Amore di Sulmona come omaggio alla memoria di Mario Setta che quel campo ha fatto conoscere al nostro paese anche attraverso la rievocazione, gli eventi e le manifestazioni del Cammino della libertà che da Casoli portava i prigionieri del campo attraverso il fronte nelle linee degli alleati. L’impegno profuso nel ricordare quegli avvenimenti, anche attraverso approfondimenti diversi rimane oggi un monito profondo contro gli orrori della guerra, specialmente in questo momento in cui viviamo una guerra alle porte dell’Europa dopo decenni e decenni di pace.

Mario Setta lo descrive così : “ Il Campo di Concentramento fu costruito per i prigionieri della prima guerra mondiale (1915-1918). Vi furono sistemati i prigionieri di nazionalità austro-ungarica, adibiti ad operazioni di rimboschimento, lavori agricoli e artigianali. L’epidemia, la “spagnola”, provocò la morte di oltre 400 persone, sepolte in seguito al sacrario di guerra austro-ungarico nel cimitero comunale di Sulmona. Durante la seconda guerra mondiale (1940-1945), al Campo fu assegnato il n. 78 e divenne luogo di detenzione dei prigionieri alleati anglo-americani, catturati prevalentemente nella campagna d’Africa. Secondo una mappa del settembre 1943 pubblicata da The Red Cross and St. John War Organization i prigionieri di guerra (POW, Prisoner Of War), detenuti nei campi di concentramento italiani erano più di centomila. Lo storico inglese Roger Absalom, il maggiore esperto sui prigionieri di guerra alleati in Italia, parla di circa 80.000 prigionieri alleati in Italia. Al Campo 78 ve n’erano oltre tremila.(3)

E poi sempre nello stesso articolo passa la mano a JOHN ESMOND FOX, che scrive :

«Come arrivammo intravidi il campo che stava ai piedi della montagna, in aspro contrasto con la ricca campagna della valle. Non avevo mai visto un campo, in precedenza, e avevo trovato difficile anche immaginarlo… La facciata del campo era quella tipica di ogni caserma, con posti di guardia e uffici. […] Ora eravamo veramente chiusi da alte mura e da alte montagne, controllati da guardie armate sulle torri di controllo. Avvertivamo una sensazione di ineluttabilità e la maggior parte di noi sembrava rassegnata al fatto di dover restare lì per tutta la durata della guerra. Il luogo appariva uggioso, senza colore, senza il canto degli uccelli e il cinguettio monotono dei passeri; mi chiedevo quanto si potesse durare con una esistenza così opprimente. della baracca era un labirinto di letti a due piani, alti circa due metri, disposti così vicini che andare da una parte all’altra richiedeva una grande destrezza… […] E’ strano rilevare come uomini di varia estrazione sociale, diversi per lingua e costumi, credo e razza, imprigionati insieme per qualche crudele capriccio del fato, dominati con la forza, privati e spogliati della propria individualità e ridotti al solo comune denominatore di esseri umani, siano capaci di gettar via l’orgoglio e il pregiudizio per un legame di amicizia, trovando uno scopo di vita e lottando contro un comune nemico. Penso che questo sia uno degli aspetti della vita che può essere soltanto sperimentato, sfortunatamente, in circostanze infelici come queste. Che miracolo sarebbe se un simile cameratismo o spirito di corpo, chiamatelo come volete, prevalesse nella vita di tutti i giorni. Il mondo allora davvero sarebbe ad un passo dall’estrema utopia dei nostri sogni più cari».(J. E. Fox, Spaghetti and Barbed Wire tradotto in italiano con il titolo Spaghetti e filo spinato, a cura del Liceo Scientifico Statale Fermi di Sulmona, ed Qualevita, Torre dei Nolfi, 2002).

A DONALD I. JONES che sembra quasi aggrapparsi ad Ovidio per farne un modello ed un maestro di vita:«Ovidio scrisse nelle “Metamorfosi”: Tempus edax rerum = il tempo tutto divora; egli nacque a Sulmona nel 43 a.C., eppure le sue parole risuonavano vere nel 1943 nel campo dei prigionieri di guerra di Sulmona… Il campo di prigionia, o per dare la sua denominazione precisa, Campo dei prigionieri di guerra n.78, era situato a circa 5 miglia da Sulmona, in un piccolo villaggio chiamato Fonte d’Amore. Che nome per un campo di prigionia! […] Lo stesso campo era di forma rettangolare, circondato da un alto muro di pietra e, come se questo non fosse stato sufficiente, le autorità italiane avevano cementato cocci di vetro rotto in cima al muro e avevano aggiunto due alti recinti di filo spinato lungo il perimetro… Il campo era diviso in cinque reparti: uno per gli ufficiali, uno per i sergenti… gli altri tre per gli altri ranghi… Grazie al regolare invio dei pacchi della Croce Rossa, che si aggiungevano alle insufficienti razioni italiane, sopravvivemmo nel periodo tra l’ottobre del 1942 e il settembre 1943 a Sulmona ed eravamo in buona salute».(D. Jones, Escape from Sulmona, tradotto in italiano con il titolo Fuga da Sulmona a cura del Liceo Scientifico Statale Fermi di Sulmona, ed. Qualevita, Torre dei Nolfi 2002).

Come pure a JOHN FURMAN, trasferito a Sulmona dal Campo n. 21 di Chieti, che scrive:«Partii con un convoglio il pomeriggio del 23 settembre; e circa due ore dopo arrivai in un campo, cinque miglia a nord di Sulmona. Lì ci ritrovammo con gli amici partiti coi convogli precedenti, e ci affrettammo a farci descrivere tutti i particolari delle fortificazioni del campo, che erano riusciti a osservare. Un certo numero di ufficiali – compreso all’incirca fra dieci e cinquanta – aveva messo in atto un piano di fuga la notte precedente. Alcuni erano stati catturati mentre tentavano di evadere. Di conseguenza, i tedeschi avevano passato la giornata a rafforzare difese e fortificazioni. E avevano aumentato le sentinelle, piazzate le mitragliatrici, messi a fuoco i riflettori. […] Dopo un’ispezione generale, ci rendemmo conto che andarcene stava diventando un affare tutt’altro che semplice. Tutto quanto il territorio entro il quale eravamo tenuti prigionieri era circondato da un doppio recinto di filo spinato. Le sentinelle vi facevano la guardia, armate di torce e di altri mezzi anche più offensivi. Al di là del recinto esterno, erano piazzate le mitragliatrici con un buon campo di tiro» (John Furman, Be not fearful, in italiano Non aver paura, Garzanti, Milano 1962).

E anche a WILLIAM SIMPSON che non metterà piede nel campo di Fonte d’Amore, perché poco prima di arrivare, salta dal camion e si dà alla fuga. Racconta: «Quando svoltammo dalla strada principale… afferrai una barra sopra la testa, saltai sul sedile, poggiai il piede sinistro sulla coscia del londinese e mi accucciai. Da quel lato c’era una siepe alta. Il cuore mi batteva. Le marce grattavano. Il camion incominciò ad accelerare. Gelai. Era un suicidio. Il londinese, sforzandosi di tenere ferma la sua coscia, mi vide barcollare. “Vai, salta!” urlò. Mi lanciai fuori, oltre la siepe. Il pensiero del mitra della guardia attutì il mio impatto con il suolo. Rotolando, mi ricordai delle guardie sulle motociclette. C’era un fossato poco profondo oltre la siepe. Vi scivolai dentro, con la faccia a terra. I sidecar stridettero, abbordando la curva e rimbombarono mentre mi passavano accanto a distanza di pochi piedi. Il rumore svanì. Piegai un braccio, una gamba; si muovevano. Alzandomi, tolsi la terra e la paglia dalla mia uniforme inglese e dai pantaloncini color kaki, più adatti per il deserto. In quel piccolo campo il fieno era stato appena tagliato». (William Simpson, A Vatican Lifeline ’44, tradotto in italiano col titolo La guerra in casa 1943-1944. La resistenza umanitaria dall’Abruzzo al Vaticano, a cura del Liceo Scientifico Statale Fermi di Sulmona, presentazione di Roger Absalom, ed. Qualevita Torre dei Nolfi, 2004)

E infine a UYS KRIGE uno dei più grandi scrittori sudafricani, autore di poesie, racconti, opere teatrali. Amico di Ignazio Silone, che parla di lui nella prefazione al dramma “L’avventura di un povero cristiano”, scrive un’opera dal titolo “The way out”, tradotta in italiano con il titolo “Libertà sulla Maiella” (ed. Vallecchi, Firenze 1965), nella quale narra dettagliatamente la sua prigionia al Campo ’78 e la sua fuga, accolto dai contadini di Villa Giovina a Bagnaturo, dai pastori alla “casa delle vacche”, e in seguito a Campo di Giove, a Palena, a Gamberale fino al Molise, dove si ricongiungerà con gli alleati. Nel Campo di prigionia di Fonte d’Amore, il 15 gennaio 1942, Krige scrive questa poesia dal titolo “Midwinter”, “Pieno inverno”.

Svanite le montagne, svanito il Gran Sasso,

ogni dirupo, desolato, scosceso, roccioso e scuro, 

inghiottito dalla nebbia; 

e scomparse anche le collinette da poco formate,

appena accumulate e già imperlate

di ghiaccio, qui, nell’angolo del cortile,

non più grande del mio pugno. […]

Siamo giunti alla fine di tutti i nostri giorni, 

di tutte le nostre notti; in queste 

quattro pareti di un cupo rosso marrone di giorno, di un nero

come la pece di notte,

non c’è possibilità alcuna di andare avanti né indietro.

Questa è la nostra vita, la nostra morte-in-vita;

questa tristezza, questo pallore spettrale

su ogni branda a mezzogiorno, questo freddo

al culmine del giorno gelido come il ghiaccio

ma che brucia, che brucia

proprio come l’abbraccio della guerra, l’amaro bacio della battaglia

che divampa.

Il campo di concentramento 78 di Fonte d’Amore si trova a qualche chilometro da Sulmona nella omonima località ed è uno dei campi di prigionia di guerra più grandi dell’Abruzzo, nonché uno dei meglio conservati. Durante l’occupazione tedesca, Sulmona assunse un ruolo importante per la mobilità delle truppe e dei materiali bellici, per via dello snodo ferroviario delle quattro linee dirette a Roma (via Avezzano), Pescara, Napoli (via Castel di Sangro), e Terni (via L’Aquila). Sulmona si trovava inoltre nei pressi della “linea Gustav” fortificata dai tedeschi da Ortona fino a Cassino, Il campo numero 78 di Fonte d’Amore venne costruito per imprigionare i militi anglosassoni, provenienti soprattutto dalle operazioni belliche in Africa, e venne realizzato ampliando un campo di guerra già esistente per le operazioni belliche del 1915-18.

Il campo di prigionia fu inaugurato nel 1940 e continuò la sua attività fino al settembre 1943.

Ma Mario Setta non era solo il propugnatore della memoria storica ma il protagonista di una travagliata stagione di incomprensioni tra la gerarchia della Chiesa ed alcuni suoi figli consacrati sacerdoti per la Diocesi di Sulmona insieme ad altri due sacerdoti Pasquale Iannamorelli e Raffaele Garofalo . Tra le colpe di Mario Setta l’appoggio ai referendum su aborto e divorzio o le sue critiche pubbliche per i tariffari applicati alle celebrazioni dei sacramenti che gli costarono la sospensione dal servizio sacerdotale, divenuto poi “a divinis” nel 1982 quando si candidò nella lista del Pci alle amministrative di Sulmona. Era stato, al tempo, negli anni Settanta, interprete di un diverso cristianesimo: vicino alla gente, agli operai, alla società che cambiava e che vedeva nascere la coscienza di classe, contro una Chiesa che invece appariva ed era ingessata e ortodossa.

Ma è lo stesso Mario Setta a raccontarsi .

“Ho raccontato la mia vita in una autobiografia dal titolo “Il volto scoperto”, concludendo il mio 75ᵒ compleanno. Ora, avviato all’84ᵒ anno, la stessa età di papa Francesco, con questo articolo, intendo soffermarmi sulle ingiustizie e le sevizie subite. Dichiaro innanzitutto che io ho amato la Chiesa, scegliendo da ragazzo di entrare in seminario. Da prete, a Roma, mi sono occupato dell’assistenza e promozione sociale della categoria degli operai edili. Per loro ho creato una casa di ospitalità per pendolari. Ho combattuto con i sindacati per i diritti e l’elevazione sociale dei lavoratori.

Nelle lotte dei lavoratori delle fabbriche, con altri due amici preti, abbiamo solidarizzato contro lo sfruttamento e la repressione da parte di datori di lavoro, disumani e bestiali. Avevamo creato, col titolo di laurea statale, una scuola serale gratuita per operai, in linea con l’esperienza della “Lettera a una professoressa” della scuola di Barbiana, creata da don Milani, che qualcuno di noi conosceva personalmente. Dopo circa cinque anni di una simile azione pastorale, il vescovo usa il suo potere per punirci. Pasqualino, l’amico prete, parroco a Pettorano, è obbligato a lasciare la parrocchia. A me dà l’obbligo di restarvi, togliendomi il contributo statale della congrua, allora la mensilità economica per i preti, nominando un altro parroco, che non sarà mai presente. Vi resto ancora per tre anni, aiutato e sfamato dai miei familiari e dalla gente. Solo alla vigilia del mio allontanamento, l’amministratore diocesano mi porta una busta di plastica piena di denaro liquido, dicendomi che si trattava della somma delle congrue accumulate in quegli anni. Resto sconcertato, impietrito e rispondo decisamente di rifiutare quell’elemosina, ingiustamente accumulata dalla Curia vescovile.

Con i vari vescovi con i quali ho avuto rapporti di servizio mi è andata sempre male. Il primo, Francesco Amadio, dopo la nomina a parroco, mi impone di tenere chiusa la casa parrocchiale. Cosa che non feci ed entrammo subito in contrasto. Periodicamente mi inviava lettere -raccomandate – di richiamo e di rimprovero per l’attività pastorale.

Ho celebrato la mia ultima Messa il 7 aprile 1979. Di pomeriggio. Era il sabato precedente la Domenica delle Palme. Avevo quarantatré anni. Quella domenica non ci furono i bambini a gridare “Osanna” con le palme d’ulivo tra le mani. Arrivarono i carabinieri, sul sagrato della chiesa, perché il nuovo prete potesse celebrare la Messa, in pace. Si temeva qualche sommossa dei parrocchiani.

Non ero presente. La sera del sabato ero tornato dai miei genitori, perché avevo trovato la porta della casa parrocchiale sprangata. Si chiudeva così un periodo di nove anni, vissuto in una parrocchia nei dintorni di Sulmona. Piccole frazioni sotto il Morrone: Badia, Fonte d’Amore, Case Lupi, San Pietro, Bagnaturo. Non si chiudeva solo la mia esperienza di parroco.

Si chiudeva definitivamente la mia vita di prete.”

Interrompe per un attimo il racconto di questo suo lungo cammino sia clericale che laica per riprendere con più vigore precisando ed integrando le pagine di quella che lui riteneva una autobiografia ,il libro dal significativo titolo “Il volto scoperto” .

Infatti continua così : “Da allora, sono passati quasi quaranta anni. Sto correndo verso gli 84 e riprendo il discorso lasciato 9 anni fa, all’età di 75 anni, quando ho scritto “Il volto scoperto”. Desiderio di raccontare e integrare ciò che ho già scritto: la mia duplice vita, clericale e laica, ma anche voglia di fare chiarezza a me stesso. Un esame in pubblico. La mia risposta di “presente” alla chiamata della mia amica morte. Amica perché mi è capitato di incontrarla, munita di rivoltella, il 9 maggio 1974, durante l’evasione di Horst Fantazzini. Oggi a 50 anni di distanza dalla prima volta che venni a Sulmona, posso dire che questa città mi ha massacrato e resuscitato, schiacciato e sublimato, ispirandomi la stesura del libro “HOMO, Elogio di Eva”, una critica poetico-teologica al dogma del peccato originale. Una città che mi ha permesso ricerche storiche straordinarie, pubblicate nel libro “E si divisero il pane che non c’era”, o quelle sul Campo 78, il campo di prigionia per gli alleati, o anche quelle sulle fughe dei prigionieri, centrate sul sentiero della libertà, come quella di Carlo Azeglio Ciampi, divenuto poi Presidente della Repubblica Italiana.

Una ricerca, che ha dato il via alla Marcia internazionale Il Sentiero della Libertà/Freedom Trail.

Nell’allontanarmi, il 7 aprile 1979, avevo indirizzato una lettera ai parrocchiani, in cui scrivevo: «Tra voi ho vissuto situazioni drammatiche, che hanno lasciato segni incancellabili nella mia vita, hanno scavato profondamente il mio cuore. Ma ho imparato ad avere fiducia negli uomini, in ogni uomo. Non esistono nemici, perché i nemici ce li creiamo noi. Gli altri sono sempre possibili amici o fratelli da comprendere. “

La riflessione e il racconto a questo punto vira da tutt’altra parte e approfondisce e impreziosisce una scelta di vita portata in fondo anche fino alle estreme conseguenze.

Scrive ancora : “ Ho imparato che la fede deve essere vissuta e incarnata in se stessi, non ridotta a bagaglio di parole, che si può lasciare dovunque si vuole, senza mai rimetterci del proprio. E credere significa essere liberi: liberi dalle certezze, liberi dal denaro, liberi dalle sicurezze, liberi da ogni dogmatismo ideologico. La più grande lacerazione che ho vissuto in questi anni è stata la ricerca di una risposta al dilemma che mi dilaniava: o la gente o l’istituzione. Ho scelto la gente. Scelgo voi: gli uomini che lavorano, che si sacrificano, che vivono la precarietà della giornata.

Con mio profondo rammarico ho constatato quanto l’organizzazione ecclesiastica sia lontana dal popolo, spesso strumento di oppressione. Non odio gli uomini dell’istituzione: non odio il vescovo, non odio i preti. Li amo. Sono miei fratelli. Sono vostri fratelli che vivono, inconsapevolmente, sulla propria carne, una grande tragedia: nello stesso tempo vittime e carnefici, oppressi e oppressori. Credevo e mi sforzavo di fare della casa del prete la casa di tutti, della mia vita di prete una vita per gli altri. Mi avevano insegnato che il prete era chiamato a diventare un “uomo-mangiato”, divorato dagli altri, secondo la definizione di un santo sacerdote, padre Chevrier. In pratica ho constatato il contrario: è il prete che divora gli altri. Forse sarò stato un ingenuo, un illuso. Non me ne pento. Continuerò ad esserlo. Continuerò a credere nell’Amore Universale, come legge fondamentale dei rapporti tra gli uomini. Continuerò a lottare per una società più giusta, più fraterna, convinto come sono che la vita abbia senso solo se donata» (da “Il volto scoperto”).”

Ritorna poi come un feed back agli anni della formazione e della scelta forzata di destinare le sue energie ad altro mondo, quello della scuola e della società civile . Un percorso solidale con gli altri, con l’altro da sé e con un mondo che purtroppo ha subito la barbarie della guerra nazista e della resistenza che lui ha raccontato in diversi modi .

“Nei tre anni da supplente senza congrua ho continuato i miei studi iniziati alla Pontificia Università Gregoriana e proseguiti alla Università di Urbino, conseguendo la laurea in Sociologia e in Filosofia. Accettai la candidatura come esterno nelle liste del PCI comunali. All’accettazione il vescovo risponde con la “sospensione a divinis”. Fui eletto consigliere, ma vi rimasi solo due anni. Cercai di partecipare e vincere ai concorsi per l’insegnamento scolastico, ma non mi venne assegnata la cattedra, perché penalizzato dall’art. 5 del Concordato, essendo incorso nella sanzione canonica di “sospensione a divinis”. Quindi, niente lavoro. Sono costretto ad emigrare in Germania, a Stuttgart. Amici italiani emigranti mi dicono che al Consolato italiano cercano un italiano laureato. Vado, parlo e vengo interrogato dal direttore che mi assume immediatamente. Vi passo alcuni mesi. Torno in Italia, accompagnando un gruppo di ragazzini che studiavano in un collegio italiano. In quel periodo venivo convocato dai presidi in Italia per supplenze. Entrai di ruolo nella scuola, per vincita di concorso alle Superiori, nel 1985. Era stata appena abolita la norma dell’art.5 del vecchio Concordato del 1929. Infatti, il 18 febbraio 1984 veniva firmato il secondo Concordato, che riprendeva e correggeva quello dell’11 febbraio 1929 tra Chiesa e Stato, inserito e approvato integralmente come art. 7 nella nuova Costituzione Repubblicana. Firmavano, a Villa Madama, per lo Stato italiano Bettino Craxi e per la Chiesa il cardinale Agostino Casaroli. In un discorso del 20 marzo 1985, per la ratifica degli accordi, Craxi auspicava “il superamento della dimensione concordataria”, precisando che la riforma attuata dal suo governo doveva considerarsi come “revisione-processo”. Una linea politica morta e sotterrata.

Da allora non solo sono stato libero, ma mi sono sentito finalmente libero.

( 1 )Prima di arrivare a definire il disegno di legge, si era a lungo discusso su quale dovesse essere considerata la data simbolica di riferimento: si trattava di decidere su quali eventi fondare la riflessione pubblica sulla memoria. Erano emerse in particolare due opzioni alternative. Il deputato Furio Colombo aveva proposto il 16 ottobre , data del rastrellamento del ghetto di Roma (il 16 ottobre 1943 oltre mille cittadini italiani di religione ebraica furono catturati e deportati dall’Italia ad Auschwitz): questa ricorrenza avrebbe permesso di focalizzare l’attenzione sulle deportazioni razziali e di sottolineare le responsabilità anche italiane nello sterminio. Dall’altra parte vi era chi sosteneva (in particolare l’ Associazione nazionale ex deportati politici nei campi nazisti ) che la data prescelta dovesse essere il 5 maggio , anniversario della liberazione di Mauthausen, per sottolineare la centralità della storia dell’antifascismo e delle deportazioni politiche in Italia. Infine, anche in ragione della portata evocativa che Auschwitz – oramai simbolo universale della tragedia ebraica durante la seconda guerra mondiale – da anni rappresenta per tutta l’Europa, si è optato per adottare il giorno della sua liberazione, avvenuta il 27 gennaio.

Gli articoli 1 e 2 della L. 20 luglio 2000 n 211 definiscono così le finalità e le celebrazioni del Giorno della Memoria:

«La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.
In occasione del “Giorno della Memoria” di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere .

(2)https://www.ilsentierodellaliberta.it/

(3)https://www.verbumpress.it/2021/12/17/il-campo-78-dei-prigionieri-di-guerra-a-sulmona/

BIBLIOGRAFIA

1• AA.VV. (Rosalba Borri, Maria Luisa Fabiilli, Mario Setta) “E si divisero il pane che non c’era”, nuova edizione a cura dell’Ass. Cult. “Il Sentiero della Libertà/Freedom Trail”, 2009

2• Liceo Scientifico Statale Fermi di Sulmona, “Il sentiero della libertà. Un tratto di strada con Carlo Azeglio Ciampi”, ed. Qualevita 2001; ora “Il sentiero della libertà. Un libro della memoria con Carlo Azeglio Ciampi”, Laterza, Roma-Bari 2003.

3• John Esmond Fox, “Spaghetti e filo spinato”, a cura del Liceo Scientifico Statale Fermi di Sulmona, II edizione, 2002.

4 • Donald Jones, “Fuga da Sulmona”, a cura del Liceo Scientifico Statale Fermi di Sulmona, ed. Qualevita, 2002.

5• William Simpson, “La guerra in casa 1943-1944. La Resistenza Umanitaria dall’Abruzzo al Vaticano”, a cura del Liceo Scientifico

Statale Fermi di Sulmona, presentazione di Roger Absalom, 2004

6 • Sam Derry, “Linea di fuga 1943-1944, Sulmona-Roma-Città del Vaticano”, a cura del Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II di Roma e Ass. Cult. “Il sentiero della Libertà/Freedom Trail”, 2011

7• John Verney, “Un pranzo di erbe”, a cura dell’Ass. Cult. “Il Sentiero della Libertà/Freedom Trail”, ed. Qualevita, 2014.

8• John F. Leeming, “Sempre domani”, trad. di Franca Del Monaco, a cura dell’Ass. Cult. “Il Sentiero della Libertà/Freedom Trail”, ed Qualevita, Sulmona, 2018.

9• Maria Rosaria La Morgia e Mario Setta (a cura di), “Terra di Libertà, storie di uomini e donne in Abruzzo durante la seconda guerra mondiale”, ed.Tracce, Pescara, 2015.

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