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” LUCREZIA BORGIA ” – PROF.SSA GABRIELLA TORITTO

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Redazione – Lucrezia Borgia fu una dei figli di papa Alessandro VI.  Fu anche una delle donne più discusse dell’età medioevale. Infatti molti studiosi si interessarono a lei, ritraendola nei modi più controversi. Ad esempio vi fu chi  la accusò di dissolutezza assoluta e chi, come Ferdinando Gregorovius, storico e medievista tedesco del diciannovesimo secolo, che la descrisse vittima di avvenimenti storici e personaggi inarrestabili e spietati, di gran lunga più grandi di lei.

Lo stesso suocero Ercole d’Este la stimò come “Pallade per la morigeratezza dei costumi”.

Impietosi furono con lei Francesco Guicciardini, Giovanni Pontano, Jacopo Sannazzaro, i quali, oltre ad infangarla, le attribuirono gravi responsabilità che la poverina non ebbe e che sarebbe stato meglio far ricadere sul padre, papa Alessandro VI, peraltro simoniaco, e sul fratello Cesare, vera personificazione del Male.

Lucrezia, sorella del terribile Cesare Borgia, detto il Valentino per le origini valenciane e figlio illegittimo del pontefice, non fu mai in grado di compiere scelte autonome poiché era giovanissima, anzi ancora bambina, quando fu “data in pasto” dal padre ad improbabili mariti.

Pur appartenendo ad una nobile ed intoccabile famiglia, Lucrezia rappresentò quella schiera di giovani donne che nel Medioevo non ebbero alcuna autonomia, che non furono riconosciute nella loro dignità di persone, che furono mantenute in una condizione di segregazione e di soggezione.

Lucrezia, figlia anch’essa di Vannozza Cattanei, come i fratelli Cesare, Giovanni e più tardi Goffredo, nacque nel 1480 e trascorse gli anni della propria infanzia affidata alle cure di Adriana de Mila, cugina del papa.

Ricevette una buona educazione, pur restando succube sia del padre Rodrigo sia del fratello Cesare. A soli 11 anni, nel febbraio del 1491, fu promessa sposa a Gaspare d’Aversa. L’anno successivo, all’età di 12 anni, senza che venissero annullati i precedenti patti, fu data in matrimonio con grande festeggiamenti a Giovanni Sforza, signore di Pesaro, Conte di Cerignola, a causa di impellenti interessi politici della sua famiglia (12 giugno 1493).

Dopo un biennio trascorso serenamente a Pesaro senza che le nozze venissero consumate, data l’immaturità della sposa, Lucrezia rientrò a Roma su ordine del padre. Nell’ “Urbe” la vita era più vivace e movimentata e lì, ostaggio del padre, dovette assecondare gli abietti disegni politici che sia Alessandro VI sia il fratello Cesare avevano su di lei, mossa e strumentalizzata come una pedina sullo scacchiere politico del tempo.

Nel giugno del 1497 la vita di Lucrezia fu improvvisamente travolta da una vicenda rimasta misteriosa: la morte violenta di Giovanni di Gandia, uno dei suoi fratelli, il cui cadavere fu ritrovato nel Tevere dopo avere trascorso una serata con l’altro fratello Cesare, ospiti della madre Vannozza.

L’anno successivo nacque un bimbo, Giovanni Borgia, soprannominato l’infante romano, la cui paternità fu attribuita a Cesare Borgia e persino allo stesso papa Alessandro VI, mentre il nome della madre rimase ignoto per sempre. In quel tempo molti ritennero che quel bimbo fosse figlio della stessa Lucrezia.

La donna, ancora molto giovane, non aveva finito la sua travagliata esistenza, inconsapevole pedina del cinico padre. Quest’ultimo, ancora una volta per i suoi spietati calcoli ed interessi, ora rivolti verso Napoli, annullò le precedenti nozze della figlia dopo di che la diede in moglie al duca di Bisceglie, Alfonso d’Aragona.

Il matrimonio fu incredibilmente pomposo ma durò poco poiché il fratello di Lucrezia, Cesare Borgia, uomo politico spregiudicato, determinato e pronto a tutto per il potere, si alleò con i Francesi senza preoccuparsi delle conseguenze di quella sua scelta politica. Decidendo di interrompere ogni legame con gli Aragonesi di Napoli, segnò la vita di Lucrezia, inconsapevole di ciò che stava per accadere.

Accortosi del pericolo derivante dalle scelte politiche del cognato, Alfonso fuggì da Roma nell’agosto del 1499, lasciando Lucrezia in attesa di un erede. Anche la donna abbandonò la città su ordine paterno, dopo essere stata nominata governatrice di Spoleto, Foligno e Nepi.

Successivamente, sempre nello stesso anno, i due coniugi si ricongiunsero a Roma, dove Lucrezia il primo novembre mise al mondo il figlio Roderigo, futuro duca di Sermoneta.

Frattanto Cesare Borgia volle portare a compimento i suoi piani con i nuovi alleati francesi, timorosi dei legami di Roma con gli Aragonesi. E, non potendo annullare il matrimonio della sorella, in particolar modo dopo la nascita dell’erede Roderigo, maturò l’infausto disegno politico di eliminare definitivamente il cognato Alfonso.

L’inizio del XVI secolo segnò per la famiglia Borgia un affollarsi di avvenimenti foschi, luttuosi.

Il 27 giugno 1500 Alessandro VI rischiò di morire sotto la volta di un camino crollato all’interno dell’appartamento pontificio in Vaticano, restando ferito. Come riferisce lo storico Gregorovius, se in quell’occasione i santi del cielo si interposero fra un muro e quel Papa peccatore, nessuno impedì che diciotto giorni dopo “si compisse un grande misfatto contro un innocente”.

Il 15 luglio 1500, intorno alle ore 23:00, Alfonso dal suo palazzo si accingeva a raggiungere la moglie Lucrezia in Vaticano quando uomini mascherati e armati di pugnale lo ferirono al capo, alle braccia e alle cosce. Il principe, grondando sangue, riuscì a trascinarsi fino agli appartamenti del Pontefice. Alla vista del marito sanguinante e quasi moribondo Lucrezia svenne. Alfonso fu portato in una sala da un cardinale, il quale gli impartì l’estrema unzione ma, data la giovane età e l’ottima costituzione fisica, il ferito sopravvisse.

Ancora una volta nella storia dei Borgia rimasero avvolti nel mistero i nomi degli aggressori ma soprattutto il nome del mandante.

In tutta Roma si mormorò ripetutamente che di certo gli aggressori dovevano essere gli stessi che avevano assassinato il duca Giovanni di Gandia. Cesare Borgia, dal suo canto, non visitò mai l’ammalato e lo si sentì dire con grande ironia che ciò che non era accaduto a mezzogiorno “poteva bene accadere la sera”. 

Mentre Alfonso, convalescente, si riprendeva lentamente, il 18 agosto dello stesso anno fece irruzione nella sua camera un attentatore misterioso che costrinse dapprima e con la forza Lucrezia ad allontanarsi, quindi, richiamato il suo capitano Micheletto, fece letteralmente sgozzare Alfonso.

Si udirono atterrite proteste, le grida dell’aggredito mentre Lucrezia rimase letteralmente impietrita dalla paura ed incapace di qualsiasi reazione. Non riuscì neppure ad articolare una parola. Dopodiché non sentirono più né grida, né lamenti.

Stando alle fonti a noi tramandate, vi fu solo un grave silenzio che incuteva terrore e agghiacciava le membra.

Lucrezia non si mosse per salvare il marito ed è difficile pensare che potesse fare qualcosa. Né vi furono elementi comprovanti che fosse a conoscenza del piano criminoso, né che l’assassinio del marito risalisse in qualche modo a lei.

Il fratello Cesare invece come si comportò? Non rinnegò l’uccisione del cognato che a suo avviso aveva tramato contro di lui e aveva provato a farlo colpire alle spalle dai suoi arcieri.

La verità non fu mai svelata, né si seppe mai se Lucrezia fosse a conoscenza di qualcosa. Nella Roma di allora quel misfatto fu comunque di dominio pubblico.

Si raccontò che papa Alessandro cercò di salvare il genero Alfonso di Bisceglie ma che non mostrò alcun dolore per l’orrendo delitto e nessuna pietà per il defunto. Al papa non fu rivolto alcun rimprovero o accusa. Del resto nulla era stato detto o fatto dopo la morte del figlio Giovanni, duca di Gandia.

Lucrezia, come le fonti del tempo ci hanno tramandato, si ripiegò su se stessa e per un certo periodo rimase muta e ostile al fratello e al padre che considerò responsabili dell’accaduto. A quel sanguinoso delitto nessun evento seguì se non il trasferimento obbligato della donna a Nepi con un seguito di seicento cavalieri. Lì l’infelice giovane avrebbe dovuto riprendersi dallo shock e dal terrore che l’assassinio del consorte le aveva provocato.

Nel frattempo alla giovane erano arrivate numerose proposte di matrimonio. Nonostante le luttuose vicende vissute, ella rimaneva pur sempre un partito ambitissimo. Così Lucrezia agli inizi di dicembre del 1500 tornò a Roma dove rifiutò tutte le proposte a lei pervenute per accettare il disegno avviato dal padre Alessandro VI che avrebbe voluto unirla a nuove nozze con il duca Alfonso d’Este.

Si trattava di una nuova unione, totalmente estranea alla donna, ma tesa a rinforzare il pontefice romano e la famiglia Borgia, in particolare Cesare e le sue conquiste in Romagna con l’appoggio della solida casata estense.

Il progetto ebbe un avvio lento e complesso poiché Ercole d’Este, padre del futuro sposo, non vedeva di buon occhio che il figlio Alfonso chiedesse la mano della figlia del papa, una “pretendente” la cui integrità morale era discutibile, né gli pareva opportuno che il figlio accettasse un’unione che poteva diventare anche pericolosa come lo era stata per il duca di Bisceglie. La fine drammatica, traumatica del precedente matrimonio di Lucrezia non poteva non provocare timori e quindi rendere dubbioso il capo della famiglia estense.

Alla fine il matrimonio fu celebrato in Vaticano il 30 dicembre del 1501. Lucrezia si liberò dei suoi possedimenti romani, ceduti all’infante romano e lasciò definitivamente la città eterna che le ricordava dolorose vicende personali e familiari. Desiderava chiudere un’infausta parentesi della sua vita e andare incontro ad un nuovo destino che si auspicava più felice.

Inoltre la giovane donna sperava che, allontanandosi da Roma, avrebbe reciso ogni legame con il padre e con il fratello. Fu felice della nuova unione e agli inizi del 1502 partì da Roma alla volta di Ferrara, accompagnata da un corteo importante, costituito da cardinali, da nobili, da magistrati capitolini e ambasciatori. Il corteo rappresentò l’importanza dell’evento, il prestigio di un personaggio vicino al papa e la accompagnò fino all’inizio della via Flaminia.

Il viaggio della sposa fu un vero trionfo politico poiché durante il percorso Lucrezia fu oggetto di omaggi e dichiarazioni di ossequio. Fece ingresso nella città di Ferrara dopo un mese di viaggio, il 2 febbraio.

Le cronache del tempo raccontano che la nobildonna passò attraverso una folla che apprezzò la sua bellezza, la sua eleganza e l’imponente seguito che la accompagnava. A corte tutti la accolsero con favore, conquistati dal suo aspetto avvenente, dalla sua giovinezza. A quel tempo Lucrezia non aveva compiuto neppure 22 anni, davvero pochi anche in un’epoca in cui le donne si sposavano presto e ancor prima diventavano madri perdendo le naturali grazie.

Lo stesso vecchio duca Ercole d’Este, il quale aveva espresso più di una riserva sulla giovane e su quell’unione e aveva ostacolato apertamente quelle nozze, ne divenne un ammiratore e la considerò cara come una figlia, soprannominandola “Giunone nel soccorrere, Pallade per la morigeratezza dei costumi e Venere per l’aspetto”.

Il consorte Alfonso ne fu subito “rapito” e si innamorò di Lucrezia, la quale scorse nella nuova unione la possibilità di cambiare definitivamente esistenza, di sottrarsi alla cinica volontà dei suoi familiari e volentieri si adeguò alle usanze della corte ferrarese e alle tradizioni culturali della casa d’Este, accogliendo artisti, poeti ed intellettuali che frequentavano i conviti e le feste che si svolgevano nel Palazzo Ducale. Si sparse persino la notizia di una grande simpatia provata nei suoi confronti da Pietro Bembo ma dalla corrispondenza fra i due non emerse nulla di più che sentimenti reciproci di devota amicizia.

Nel 1505 Alfonso salì sul trono e da quel momento in poi Lucrezia non dovette più temere alcunché. Consapevole dei suoi infelici trascorsi a Roma, ebbe l’accortezza di non occuparsi più di politica anche nei casi in cui erano in ballo interessi che riguardavano la sua famiglia, in particolare lo spregiudicato fratello Cesare. E fu molto prudente nell’evitare che sul suo conto circolassero pettegolezzi, data l’avvenenza che affascinava molti. Si senti finalmente “liberata” quando nel giro di poco tempo perse sia il padre sia il fratello. I lutti familiari migliorarono la sua vita, sottratta all’incubo del periodo romano.

A Ferrara la giovane duchessa fu più rispettata ma anche allora fu pur sempre una comprimaria, ruolo che probabilmente non la soddisfece.

Nel periodo ferrarese si avvicinò alla religione in cui trovò sempre più conforto tanto da ritirarsi in alcuni periodi in un monastero per profonde meditazioni, in special modo dopo avere perso un figlio, nato settimino. A tali periodi si alternarono quelli vissuti a corte fra feste e conviti, in cui primeggiò sempre fra le dame presenti per bellezza e portamento. Fu omaggiata da Ludovico Ariosto, Mario Equicoli, Giangiorgio Trissino e da altri artisti a lei contemporanei.

Nata forse sotto una “cattiva stella”, passò da feste eleganti a grandi dolori, da folli amori ad abbandoni forzati e non visse di sua volontà ma “appesa” alla volontà di altri.

Non fu risparmiata da pettegolezzi che nacquero su una presunta relazione fra lei e il cognato, duca di Mantova, Francesco Gonzaga, relazione confermata dalla gelosia di Isabella Gonzaga, moglie di Francesco.

La sua esistenza, segnata da molte disavventure e dalla morte di più di un figlio, finì in isolamento e in periodi di ritiro in convento dopo l’ennesimo lutto da cui fu “sfiorata”. Infatti il marito, il duca Alfonso d’Este, “giustiziò” con morte violenta colui che avrebbe favorito l’incontro amoroso fra la moglie Lucrezia e il cognato. Si trattò di Ercole Strozzi.

Non condusse di buon grado neppure i compiti di rappresentanza e di rapporti con i nobili e i frequentatori di palazzo che il marito le affidò.

Si ritirò in preghiera e nel 1519 morì di infezione puerperale nel giro di poche settimane, dopo avere messo al mondo Eleonora Maria, ultima figlia. Aveva trentanove anni.

Fu sepolta con l’abito di terziaria francescana nel monastero del Corpus Domini di Ferrara.

F.to Gabriella Toritto

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