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” L’ALBERO RAPPEZZATO ” DI RENATO LEBAN

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Redazione- C’era una volta, in una terra ricca di foreste di Pini, Abeti, Larici ed altri alberi uno in particolare di questi alberi. Era molto alto, faceva parte della famiglia degli Abeti.

Era un abete e quindi ormai aveva i suoi begli anni, ma non era cresciuto bene, aveva dei veri e propri vuoti fra i suoi rami, comunque era diventato alto e maestoso.

Nessuno aveva pensato mai di tagliarlo e di trasformarlo in un albero di Natale a causa di quelle sue manchevolezze. Eppure anche gli alberi hanno il loro orgoglio ed i loro sogni e le loro ambizioni.

Il nostro amico albero si era chiesto che fine avevano fatto i suoi tanti amici che venivano presi dagli uomini e portati via.

Gli anni passarono, il clima cambiò, le piogge vennero e si fecero copiose. La terra sotto le radici del nostro maestoso albero divennero sempre più rade sino a che un giorno il terreno gli scivolò dalle radici e lui piombò e rotolò con un grande fragore vicino alla strada, che portava al paese.

Al mattino seguente alcuni uomini della Forestale giunsero sul posto e videro l’albero che stava per

cadere in mezzo alla strada e quindi si armarono di seghe e di asce. Ma il loro capo ebbe un idea, e disse :

– Fermatevi! Perché non lo utilizziamo per la festa di Natale?

Un altro uomo disse:- “Ma capo, è troppo grande e poi è malconcio.”

Ma il capo non volle ascoltare, gli fece tagliare le radici e lo fece caricare su di un camion, come se fosse stato un pacco. Lo legarono e lo avvolsero con dei teli per contenere i suoi lunghi rami raggruppati.

Lo portarono giù nella valle, attraverso le grandi strade dove altre macchine correvano tutte in fila come se fossero tante formichine impazzite nel cercare il loro nido.

Poi ad un certo punto, il camion si fermò, l’albero pensò d’essere giunto al loro punto d’arrivo, ma la delusione fu tanta, poiché vide giungere altri camion e tanti uomini uscire ed entrare in un luogo dove c’era tanto rumore, poi le luci si spensero e tutto si calmò e tutti passarono la notte in quel luogo freddo e buio, forse un Motel.

Al mattino seguente ripartirono, ognuno per le loro diverse direzioni, un rumore incredibile e con un vociare pieno d’allegria e d’augurio. Velocemente scesero da quelle grandi strade per entrare poi in quelle più strette dei tanti paesetti.

L’Abete tutto stretto tra corde e teli non vedeva molto se non dalla parte più alta, che sbucava dalla parte finale del camion e per fargli un dispetto gli avevano persino appeso un cartello quadrato con delle strisce rosse e bianche che penzolava dalla sua punta.

Comunque, come si dice normalmente, anche loro giunsero in un paese, ai piedi di un monte, e vi trovarono una piazza mezza vuota, con un grande spazio libero. Là c’era un Duomo, un paio d’alberi di quercia, una casa appena costruita al centro, con ancora ben visibile un cartello: Vendesi! Poi alla destra c’erano due bar, una cartoleria, un negozio di computer ed alcuni altri negozi.

Il camion entrò nella piazza e l’uomo che aveva deciso di caricarlo fece scendere gli altri e disse:-

“Scaricatelo qui e fissatelo in quel finto pozzo!”

L’Abete fu trascinato senza complimenti a terra e poi liberato dai suoi teli, intanto un’auto-gru si posizionò vicino a quello che sembrava un pozzo, ma che era soltanto un muretto circolare con una panchina incorporata. Lo legarono per bene e poi lo alzarono in tutta la sua maestosa altezza sino a farlo stare in tutta la sua lunghezza al centro di quel finto pozzo. Fu fissato con altri legni e dei cavi. L’albero si guardò attorno per la prima volta e non fu molto entusiasta di quello che vide. La piazza era vuota, sembrava che non ci fosse anima viva solo quei uomini rudi e poco cortesi. Più in là c’era persino un monumento dei caduti con una statua di una giovane che piangeva, dietro di lei alcuni alberi simili a lui, ma che non lo degnarono neppure di uno sguardo. L’uomo che dava ordini si allontanò da lui e piegò la testa prima a sinistra e poi a destra, e poi disse:- “Ma è proprio mal messo, ha dei buchi e dei vuoti nel centro. No, non si può lasciarlo così.” L’abete si sentì sotto esame e quella che era stata per lui una realtà privata, personale e dolorosa ora era diventata un’

umiliazione pubblica. Avrebbe preferito rimanere da solo com’era stato prima la sù suoi monti dove nessuno gli aveva rimproverato nulla e dove tutti si facevano gli affari propri senza gridare agli altri le sue disgrazie. Gli uomini si radunarono assieme e cominciarono a parlare fra di loro, senza che l’abete potesse avere l’occasione di capire quello che si stavano dicendo. All’improvviso tutti se ne andarono e lo lasciarono lì incastonato in quel finto pozzo, inchiodato come in croce e ben tirato da cavi d’acciaio. L’Abete non riusciva a capire che cosa gli stesse accadendo, ma si rese conto che la sera era calata nuovamente e che l’orologio del campanile segnava le ore che passavano inesorabilmente. Accanto a lui passava una strada e le macchine che passavano correndo sembravano non aver minimamente interesse per lui, se ne andavano come formiche con due fari accesi davanti al loro stranissimo muso. Venne la notte e le macchine divennero sempre più rare, l’orologio del campanile ritoccò le ore ad una ad una sino a che il sole non fece capolino e poi si decise di illuminare la piazza.

Ritornò l’uomo che lo aveva giudicato ed umiliato così brutalmente e con lui c’erano gli altri suoi

compagni. Ognuno di loro aveva con sé dei rami di abete, presi chissà da quale povera vittima.

Non erano soli, con loro c’era anche un piccolo camioncino con tanto di gru meccanica, con una

cabina posta alla fine del braccio.

Lo stesso uomo burbero che aveva commentato il giorno prima la sua infamante umiliazione disse: “ Portate qui tutti i rami e metteteli alla base dell’albero. Poi metteteci delle transenne tutto attorno così la gente non si farà male.”

In quel momento per la piazza passo un pensionato canuto con tanto di barba bianca, si diceva che fosse un artista (ma chi non lo è in questi curiosi paesetti) si avvicino al capo degli uomini e chiese:- “Che farete con quei rami?”

– “Li metteremo lì dove mancano.”

– “E come, replicò il pensionato curioso ed un po’ sorpreso.”

– “Naturalmente con i chiodi ed il filo di ferro.”

Il pensionato canuto si sedette sorpreso ed incuriosito, ammirando un lavoro che non aveva mai

visto fare prima d’allora.

L’Abete capì al volo che cosa volevano fargli, si sentì umiliato ed offeso, e presagì il dolore che gli avrebbero fatto, ma non poteva far nulla poiché era ormai immobilizzato con i cavi d’acciaio ed i chiodi conficcati in quello strano contenitore.

La squadra dell’uomo che sembrava esserne il capo si diresse verso di lui e senza attendere altre

parole, due di loro salirono fra i suoi rami.

L’abete si sentì violato nella sua intimità più sacra.

Quelli rimasti a terra passarono i rami raccolti chissà da quale altro abete a quelli che ormai si muovevano come se fossero degli scoiattoli.

L’uomo che li dirigeva si allontanò e da lontano diede le indicazioni dove mettere i rami mancanti.

E subito gli operai del comune si misero ad inchiodare i rami e a fissarli con il filo di ferro.

Il pensionato canuto osservava attentamente ogni operazione e guardava il maestoso Abete che veniva crocefisso dai lunghi chiodi e immobilizzato dai fili di ferro. L’abete non si lamentò non disse nulla ma dalla sua corteccia caddero delle gocce di resina si proprio come se fossero il sangue di una persona. Il vecchio capì ed apprezzò il sacrificio estremo. Si alzò andò per andare a condividere con un gesto un apprezzamento all’albero, però fu fermato dal caposquadra che disse:- “Vada via da lì, è pericoloso.”

Il pensionato se ne andò non senza voltarsi ancora e in cuor suo sorridendo dicendo il suo grazie a quel grande abete. Quando il restauro fu finito l’Abete sembrò ritornare ai suoi antichi splendori sia nella sua splendida altezza che pienezza di rami. Poi venne decorato, illuminato e reso bello per tutti i bambini e gli adulti del piccolo paese. Il pensionato passò di lì diverse volte davanti a quell’Abete crocefisso con chiodi lunghi ed affilati e pensò con tristezza al povero albero, ma fu anche orgoglioso del lavoro ben fatto che gli uomini seppero fare con un albero che forse sarebbe stato buttato via solo come legna da ardere. Così facendo avevano salvato a loro modo lo spirito del

Natale e lo stesso albero aveva coronato sia pure involontariamente un sogno che aveva desiderato sin da piccolino quando si chiedeva che fine avevano fatto gli alberi più belli.

Ora ogni storia ha la sua piccola morale: Non dovremmo noi forse porci il problema di dire almeno un grazie, a questi milioni di alberi, che si sacrificano, per renderci un Natale più bello e gioioso? Credo proprio di si. Buon Natale quindi a tutti voi ed a tutti gli alberi del mondo.

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