LA DEPRESSIONE NELL’ANZIANO-PROF.RE ANTONIO LERA
Redazione-Una delle cose più complesse in Medicina è rappresentata dalla gestione del paziente anziano depresso. La depressione è una patologia molto diffusa nella popolazione anziana (>65 anni) con una prevalenza che si identifica tra l’1% e il 35%. Un indice così elevato di prevalenza è riconducibile a un’aumentata vulnerabilità dell’anziano sul piano biologico e psicosociale (lutti e perdite) che si accompagna a un conseguente decremento dell’autostima e del supporto familiare e sociale. La depressione ha insorgenza tardiva e mostra un fenotipo differente rispetto alla patologia depressiva a insorgenza precoce. La depressione senile ha una maggior tendenza alla cronicizzazione, presenta un lungo periodo di latenza della risposta al trattamento e spesso i suoi sintomi residui sono persistenti. In questi soggetti la sintomatologia per lo più è caratterizzata dalla presenza di episodi di agitazione, da sintomi somatici quali disturbi gastrointestinali e facile affaticamento e da alterazioni cognitive che, in alcuni casi, evolvono in forme dementigene; raramente vengono riferiti, nelle fasi iniziali, sentimenti di tristezza e disforia. I sintomi somatici più frequenti sono: perdita dell’appetito, perdita di peso, riduzione della libido, stipsi e disturbi del sonno che non hanno una spiegazione su base organica. L’irrequietezza motoria si associa frequentemente a sentimenti d’ansia molto accentuata e spesso somatizzata, a timori ipocondriaci con l’ossessione della paura della morte, a contenuti depressivi relativi alla disabilità e alla perdita di autonomia e a idee deliranti centrate sulla convinzione di essere vittima di furti, tradimenti o maltrattamenti. L’associazione con stati d’ansia connota la patologia depressiva di un maggior grado di severità e induce una sua più lenta risposta ai trattamenti farmacologici. I deficit neuropsicologici che si riscontrano con maggiore frequenza nella depressione a insorgenza tardiva riguardano differenti domini cognitivi: memoria episodica abilità visuo-spaziali, fluenza verbale e velocità psico-motoria. Anche per lo specialista è spesso difficile comprendere se si tratti di Depressione o Demenza Iniziale, in quanto i sintomi spesso sono coincidenti: rallentamento psicomotorio, labilità emozionale o incapacità di espressione delle emozioni, insonnia, pianto, perdita di peso, pessimismo. Tuttavia, a mio avviso sintomi utili per diagnosticare la presenza di depressione associata a Demenza sono nella fase precoce, anedonia, perdita di stima e speranza, lamentosità e ansia; mentre nella fase avanzata, rifiuto, espressioni verbali di disagio. Non trovo invece particolarmente significativi né sufficienti sintomi come l’apatia, la labilità emotiva ed i sintomi vegetativi. I farmaci antidepressivi oggi disponibili sono molti e con grandi potenzialità, in quanto soggetti che non rispondono ad una determinata terapia possono essere trattati con antidepressivi con differente meccanismo d’azione. Inoltre, nel caso in cui siano presenti effetti collaterali molto fastidiosi, è possibile ricercare l’aumento della tollerabilità cambiando farmaco. Non c’è alcuna ragione teorica per preferire una classe di antidepressivi come farmaci di prima scelta. E’ la combinazione delle considerazioni cliniche e dei meccanismi d’azione dei farmaci ad orientare verso l’antidepressivo da utilizzare. La scelta ha almeno tre elementi principali di riferimento: 1. meccanismo d’azione del farmaco; 2. risposte a precedenti trattamenti antidepressivi; 3. classificazione clinica dell’episodio depressivo. La scelta del farmaco dipende dai sintomi prevalenti. In genere, i trattamenti antidepressivi iniziano a manifestare l’effetto terapeutico dopo un periodo di latenza oscillante tra le due e le quattro settimane. Tale periodo costituisce una fase delicata per i possibili ulteriori aggravamenti dell’umore, per la demoralizzazione del paziente a causa dell’apparente inefficacia della terapia e per la possibile presenza di effetti collaterali. Nelle prime settimane di terapia può, inoltre, manifestarsi la “Sindrome da attivazione”, che consiste nell’aumento della vigilanza, dell’attivazione motoria ed emotiva ed a volte anche dei sintomi della serie ansiosa. Tale sindrome è conseguente all’aumento, nelle cellule nervose, della quantità di serotonina e noradrenalina dopo le prime assunzioni di farmaci; tale effetto tende ad attenuarsi spontaneamente nel corso del trattamento e risponde positivamente all’associazione di ansiolitici. Gli effetti collaterali sono diversi per classe farmacologica di appartenenza e profilo generale di azione recettoriale.La valutazione delle modificazioni indotte dal trattamento antidepressivo costituisce una delle fasi più delicate della conduzione della terapia. Si possono distinguere: • fase del periodo di latenza: dura fino ad un mese, durante il quale la posologia del trattamento è gradualmente incrementata, fino a raggiungere livelli ritenuti efficaci e/o tollerabili; • fase della risposta terapeutica: dura in media 1-2 mesi, durante i quali il quadro clinico depressivo inizia a migliorare fino a essere giudicato clinicamente superato; • fase del consolidamento dell’effetto terapeutico, dura da 2 a 4 mesi, in cui il paziente è più o meno asintomatico rispetto alla precedente condizione depressiva, ma necessita ancora di trattamento farmacologico a pieno dosaggio; • fase di mantenimento e sospensione, di durata variabile in rapporto a frequenza, gravità e resistenza alla risposta alla terapia. In tale fase viene effettuata la riduzione graduale della posologia fino alla sospensione. La corretta valutazione della risposta terapeutica è il parametro che orienta le modificazioni della posologia. In linea generale, la riduzione prematura o la sospensione in un paziente in corso di miglioramento, ma non ancora libero dai sintomi, può determinare la riacutizzazione del quadro clinico (effetto rebound). La sospensione della terapia con antidepressivi deve essere un obiettivo potenziale nella cura di tutti i pazienti depressi, compreso il paziente anziano. In linea generale deve essere effettuata più precocemente nel paziente con disturbo bipolare, esposto al rischio di viraggio verso episodi critici di opposta polarità. La sospensione deve essere programmata solo dopo un adeguato periodo di mantenimento e stabilizzazione della remissione dei sintomi. E’ importante che le dosi siano ridotte in modo molto graduale.
PROF. ANTONIO LERA DOCENTE UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DE L’AQUILA