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” IL BEATO CARLO I D’ASBURGO LORENA ” – DI RENATO LEBAN

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IL BEATO CARLO I

D’ASBURGO LORENA

Ultimo Imperatore d’Austria

Testo di Vincenzo Mercante

Riduzione di renato Leban

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LINEA GENEALOGICA Di CARLO I D’ASBURGO lorena

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Scrivere di quest’uomo diventato Imperatore d’Austria dopo la morte di Franz Joseph non è stato facile nè semplice. Carlo I ereditava una guerra non voluta nè desiderata dal giovane, anzi era sentita da lui come un peso sulla sua fede e sul suo mondo Cattolico. Egli aspirava ad un quieto vivere ed alla pace.

Scrivere sulla vita di questo personaggio non è compito facile, perchè dovrò parlare di diversi popoli che hanno vissuto nello stesso periodo storico e che hanno combattuto le intenzioni pacifiche di questo giovane Imperatore.

17 agosto 1887 è il giorno in cui Carlo Asburgo Lorena nacque e nulla indicava che la sua vita sarebbe stata stravolta da un duplice assassinio che toccò anche la vita di migliaia di persone. Mi sto riferendo a quelli dell’Arciduca Francesco Ferdinando e di sua moglie Sofia, trucidati a Sarajevo, in Serbia, per opera di uno studente irredentista serbo, Gavrilo Princip, il 28 giugno 1914.

Dal 25 al 30 luglio furono fatti dei tentativi per impedire che la guerra divenisse generale, ma la Russia, per sostenere la Serbia, ordinò la mobilitazione generale venendo in tal modo in conflitto con l’Austria e la Germania. Difronte a questo pericolo, la Germania dichiarò guerra alla Russia, il 31 luglio. La Francia, alleata della Russia, entrò anch’essa in guerra il 2 agosto e pochi giorni dopo anche l’Inghilterra, che si vedeva minacciare il suo predominio nel Mare del Nord, intervenne nel conflitto il 4 agosto.

L’Italia, nonostante facesse parte della Triplice Alleanza insieme alla Germania ed all’Austria, proclamò la propria neutralità per le seguenti ragioni: il trattato d’alleanza aveva carattere difensivo, non offensivo (articolo III), mentre in questa occasione era stata l’Austria stessa a provocare la guerra.

Primo anno di guerra, 1914: esito incerto per entrambe le fazioni belligeranti.

Secondo anno di guerra, 1915: il fronte occidentale rimase quasi sempre, come allora si disse, immobilizzato, perchè i tedeschi, impegnati nella guerra sul fronte orientale, preferirono mantenersi sulla difensiva. Gli inglesi ed i francesi, consapevoli delle loro deficienze di uomini e mezzi, attesero per completare la propria preparazione. La guerra durò a fasi alterne per altri tre anni e si arrivò ai trattati di pace, il Trattato di Versailles il 28 giugno 1919, con la Germania ed il Trattato di Saint Germain (località vicino a Parigi) nella quale si sancì lo smembramento dell’Impero Austro-Ungarico e la formazione delle nuove repubbliche d’Ausrria, Ungheria, e Cecoslovacchia. Inoltre, i territori italiani del Trentino Alto Adige e della Venezia Giulia furono ceduti all’Italia. I territori della Croazia, Slovenia, Bosnia ed Erzegovina furono ceduti alla Serbia con il nome di Regno dei Serbi, Croati, e Sloveni, che successivamente divennero parte della Yugoslavia. E qui finisce il prologo della storia di Carlo I, che parla di come si sia trovato a diventare imperatore di un paese dove la monarchia veniva combattuta dai massoni, che erano antipapisti e non volevano un imperatore Cattolico, particolarmente più Cattolico di Franz Joseph d’Asburgo, il quale si era preso delle libertà non proprio accettate dalla chiesa Cattolica come avere un’amante con la quale aveva generato quattro figli, mai riconosciuti ufficialmente, mentre era sposato con Elisabetta Wittelsbach, la celebratissima Sissi. Ella aveva già concesso a Franz Joseph di avere un’amicizia particolare con l’attrice Katharina Kiss Von Ittebe born Schratt, a cui Franz Joseph lasciò 100.000 fiorini come “piccolo aiuto” e cinque anni più tardi le fece consegnare mezzo milione di fiorini a suo nome.

L’amore per Sissi fu un grande amore di gioventù, ma poi ella si allontanò gradualmente da lui finchè, dopo la scoperta che Franz Joseph aveva la sifilide, si rifiutò di avere rapporti intimi con lui.

Desidero ricordare con un ringraziamento Ernesto Bignami che ci ha fornito alcune notizie dal suo Esame di Storia (Parte Terza), per quanto riguarda la Prima Guerra Mondiale, che senza di lui avremmo avuto difficoltà a ricordare tutti quei terribili eventi, i quali furono anche i problemi più difficili da risolvere per Carlo I d’Austria. Purtroppo, quasi subito dopo il Trattato di Saint Germain, iniziò l’esilio di Carlo I e di sua moglie, Zita di Borbone Parma, Imperatori d’Austria.

Ed è da quel preciso momento che io scriverò la storia di Carlo I, già raccontata da Vincenzo Mercante, dal quale non potevo fare a meno di attingere alcune notizie ormai storiche e perciò di non avere possibilità di libertà letterarie.

Era il 19 novembre 1921 quando dall’incrociatore Cardiff discese la famiglia imperiale a Funchal, Arcipelago di Madera in Portogallo. Quel 19 novembre cadeva di sabato e l’Imperatore, mirando sereno il piccolo porto cosparso di imbarcazioni, alzò lo sguardo verso le colline prospicenti e si imbattè in due campanili, indicanti la presenza di una chiesa. Bisogna dire che il sabato si presentò molte volte nella vita di Carlo I come giorno speciale. La Cresima, lo sposalizio, l’incoronazione a Imperatore erano tutti eventi avvenuti di sabato.

La destinazione dell’esilio era stata tenuta nascosta quasi sino alla fine, poi all’improvviso venne detto: Madera. Avevano viaggiato fino a Costantinopoli (attuale Istanbul), e poi attraversato il Mar Mediterraneo e passato lo Stretto di Gibilterra con un tempo di burrasca. Certo, di novembre non ci si poteva aspettare il sole. Come già detto, era il 19 novembre, la festa di Santa Elisabetta, ed ecco finalmente apparire l’isola dell’esilio. La coppia imperiale guardò fissamente la costa che passava davanti ai loro occhi. Si fece un grande giro attorno ad una lingua di terra ed ecco finalmente apparire su uno sfondo di montagne la città ed il porto di Funchal. La cosa che colse l’attenzione di Carlo I d’Austria fu la costruzione sul monte di una chiesa con due campanili ed egli esclamò:

-“Quanto ci ricorda le nostre chiese di montagna! Certo è una chiesa della Madonna. Presto, andiamo su!”-

La nostalgia delle chiese della loro terra risvegliò in loro il desiderio di visitarla e di scoprirla. Era la chiesa di “Nossa Senhora do Monte”, Nostra Signora del Monte.

Il giorno 19 novembre, come già detto, era giorno di sabato, uno dei molti sabati ricchi di importanti avvenimenti nella vita dell’Imperatore. Fu anche di sabato quando egli fece il primo tentativo di restaurazione del regno: il re, tornato in patria, entrava in Ungheria un sabato, e fu sempre di sabato quando fece quella ripulsa, così piena di consegenze, di rinunciare al trono d’Ungheria. Ancora in un sabato doveva aver luogo il passaggio al nebbioso clima del monte nella sua nuova dimora e fu ancora di sabato, il primo aprile 1922 nel quale Dio chiamò a sé il suo servo.

Nel novembre 1918 Carlo I contrasse quella febbre Spagnola che mietè milioni di vittime in ogni angolo d’Europa. Ne portò le conseguenze fino all’aprile del 1919, con uno stato fisico di spossatezza, aumentata dalle difficoltà respiratorie. Questo non lo spinse a ritenersi una vittima del cattivo destino; non era mai allignato nella sua mente questo concetto, neppure riferito alle vicende belliche. Educato a riconoscere la presenza di un Dio che lo vegliava giorno e notte e nelle cui braccia riposava il futuro dei popoli, gli sembrava di percepirne la presenza sia in quella rigogliosa natura che avvolgeva il castello, sia nelle tumultuose ed incredibili disavventure che in quei giorni stavano sconvolgendo non solo il Parlamento, ma pure le strade della sua amata Vienna. Ma ritorniamo a Madera e a Nostra Signora del Monte, un santuario dedicato alla Madonna del monte. Esiste una tradizione, chiamata privilegio sabatino, secondo la quale la Madonna farebbe coincidere esclusivamente con il sabato gli avvenimenti che segnano la vita dei Suoi fedeli, essendo il sabato il giorno a Lei dedicato universalmente dalla pietà popolare.

Una doppia ala di popolo, con aria curiosa ed affettuosa insieme, accompagnò gli esiliati alla dimora prefissata,Villa Vittoria, appena sufficientemente adatta ad ospitare una coppia nobiliare in esilio. Ciò che maggiormente recò grande soddisfazione ed alleggerì i disagi esterni e l’umiliazione interiore fu il comportamento delle autorità ecclesiastiche. Per espresso ordine del Papa Benedetto XV, il vescovo di Madera mise a disposizione degli esiliati l’altare della propria cappella privata per la celebrazione della Santa Messa, concedendo nel contempo la facoltà di conservare permanentemente il Santissimo Sacramento in una stanza di Villa Vittoria, fatto particolarmente apprezzato da un Imperatore che in tutti i suoi spostamenti aveva richiesto una cappellina in cui ritirarsi a riflettere prima di assumere decisioni importanti. Spesso durante la giornata di ventiquattro ore Carlo si recava a vedere se la lampada del Santissimo avesse bisogno d’olio, e intanto rimaneva a lungo in silenzio a contemplare il piccolo tabernacolo e a colloquiare con l’Onnipotente. Affidandosi totalmente alle mani del suo Signore, l’Imperatore stava gradualmente acquistando un senso di immensa fiducia nella Provvidenza, sicchè a coloro che lo interrogavano sull’avvenire dava sempre, con espressione sicura, la medesima risposta:

-“Farò ciò che vuole il Buon Dio”-

Questo era lo spirito di Carlo I quando arrivò a Funchal, ed egli esaltò questo suo spirito sino a diventare parte reale del suo corpo e del suo essere: un corpo ed una mente, un tutt’uno.

Confesso umilmente che non sarei stato capace di immedesimarmi con lo Spirito come è stato capace di farlo Carlo I d’Austria, Imperatore devoto e Cattolicissimo, credente e vivente in simbiosi con il Buon Dio, capace di accettare tutto ciò che gli diede, sofferenze e dolori senza che egli si lamentasse mai, e sopportare un oceano di contrarietà! Onestamente, non sarei stato capace di accettare tutto ciò. No, io non ho mai avuto il dono di una forte e ferma fede in un Dio che voleva vedere soffrire i Suoi figli e che li spingeva ad una meta di umiltà e sofferenze per una gloria che non si poteva conoscere nè aspirare. Io faccio difficoltà a scrivere la storia di questo personaggio e provo compassione per lui ed i suoi cari che condivisero tutto ciò, sempre accettando quello che il Signore dava loro. Penso onestamente che Carlo I d’Austria si sia meritata l’elevazione alla Beatificazione agli Altari.

Bravissima e degna di lode è la sua signora, l’Imperatrice Zita, che seppe comportarsi con grande fermezza e tenerezza nei confronti del marito e con grande dignità seppe, durante tutta la sua vita, essere fedele a lui ed alla sua causa, nè cambiò atteggiamento al momento del dolore, nè dopo la dipartita di lui.

Ora vorrei parlarvi di un aspetto molto importante: la mancanza di denaro e di sostegno da parte dei suoi collaboratori. Quando furono fatti i Trattati di Saint Germain gli oppositori di Carlo I d’Austria furono attenti e scupolosi nel togliergli qualsiasi opportunità finanziaria o la scelta del luogo di esilio. A Madera la situazione economica diveniva sempre più precaria. Il personale di servizio era limitato al minimo: una cuoca, un cameriere, ed altre due persone per svolgere tutte le mansioni.

Per prima cosa, nei giorni seguenti il loro arrivo a Madera, Carlo I condusse i figli al santuario mariano di Nossa Senhora do Monte ed alla chiesa mariana di Terreiro da Luta, ripetendo più volte a loro, con convinzione, le parole:

-“A noi va meglio di quanto meritiamo”-

Intanto, un benestante patrizio del luogo, venuto a conoscenza delle forti difficoltà economiche della famiglia in esilio, aveva offerto a Carlo un’abitazione a Quinta do Monte, luogo avvolto da nebbie continue nella stagione invernale. Per di più mancava di luce elettrica mentre per il riscaldamento era a disposizione solo legna verde e l’acqua era esclusivamente fredda, limitata solo al primo piano e la cucina. Si dovettero prendere in prestito mobili, biancheria, e vasellame. Il tempo cominciava ad essere bello soltanto verso maggio o giugno, mentre nella stagione invernale prevalevano pioggie, nebbia, ed un altissimo tasso di umidità.

Ora iniziamo a parlare della malattia di Carlo I. Possiamo iniziare da quel 9 Marzo 1922 che si presentava veramente adatto per scendere a Funchal per due motivi: splendeva un sole caldo in un cielo azzurro, e poi si doveva scegliere qualche giocattolo essendo domani il compleanno del figlio, l’Arciduca Carlo Lodovico. Il ritorno a casa fu alquanto difficile e Carlo si appoggiava soventemente al braccio del principe ereditario Otto, mentre a sinistra lo sosteneva sua figlia,l’Arciduchessa Adelaide. Particolarmente difficoltoso risultò l’ultimo tratto di strada, divenendo verso sera il clima piuttosto umido e freddo. Il suo corpo fu percosso da brividi insistenti che continuarono anhe il giorno successivo, nonostante egli mostrasse un forzato calore nel festeggiare Carlo Lodovico. Nei giorni successivi non rinunciò alla solita passeggiata, immerso nel pensiero che ogni espressione della natura palpitava qualcosa di divino.

-“Tutto loda il Creatore”- pensava asserto mentre rientrava a casa ed andava a controllare se la lampada del Santissimo non si fosse spenta, ma in realtà per sentirsi a tu per tu con Gesù Eucarista. Il 14 marzo si mise a letto prima del solito: la stanchezza ed una tosse, a tratti piuttosto robusta, gli avevano causato il bisogno di stendersi. Nei giorni che seguirono una forte costipazione lo costrinse a letto.

Il 19 marzo la liturgia festeggia San Giuseppe così, a ricordo del nonno Francesco Giuseppe, ebbe la gioia di avere la celebrazione della Messa nella sua stanza. Ricevuta l’Eucarestia, rimase a lungo in silenzio adorante. Coltivava intensamente un’atteggiamento stupito di fronte al Cristo che aveva dato la Sua vita per lui. Rifaceva con grande trasporto spirituale il sacrificio di sé stesso per il benessere dei suoi popoli. Sapeva che era piccola cosa in confronto al sacrificio di Gesù, ma conosceva pure che importante non era tanto l’azione in sé stessa, ma il fine dell’azione. Se prima aveva rivolto l’attenzione alle molte cose da fare, ora era immerso nella dedizione della propria esistenza a Dio, dando al proprio vivere il significato di un atto d’amore.

Era cosciente della relazione tra l’Eucarestia, celebrata nell’Ultima Cena, ed il sacrificio nel Getsemani, sacrificio perfetto, dedicazione totale di Cristo uomo alla volontà ed all’amore del Padre. Nel corso della sua esistenza aveva alimentato in sommo grado il proposito di voler piacere a Dio solo, ed era stato perciò partecipe, in un certo modo, della stessa volontà di Gesù Cristo di accondiscendere ai piani salvifici del Padre Celeste.

-“Non la mia, ma la tua volontà sia fatta, o Dio Onnipotente. Accolgo tutto ciò che mi accade come mandatomi da Te e perciò tutto è bene, tutto è buono.”- pregava muovendo leggermente le labbra.

Solo il 21 marzo accettò la visita del medico, rifiutata qualche giorno prima per motivi economici. Allo stato di debolezza faceva sottofondo una forte polmonite che stava aggredendo il periocardio. Per averlo più facilmente sotto controllo , Zita fece portare il marito dal primo piano al pianterreno, in una stanza più comoda, occupata fino allora dalla figlia Maria Teresa. Fu necesaria una portantina, segno evidente che le forze gli stavano venendo meno. L’imperatrice Zita cominciò a vegliarlo giorno e notte, essendo aumentate sia la febbre che la tosse. La gente cominciò a parlare della malattia di Carlo ed i cittadini di Funchal passavano davanti alla sua casa e, agitando le loro mani, lo salutavano e gli facevano gli auguri di pronta guarigione, come pure faceva il personale di servizio della loro casa, entrando ed uscendo dalla stanza, ma Carlo li invitava a stare lontani da lui per non essere infettati.

Il 26 marzo era domenica e l’Imperatore volle, com’era sua abitudine, ascoltare la Santa Messa che venne celebrata nella stanza attigua. Si fece rileggere il Vangelo della moltiplicazione dei pani e ricevette con raccoglimento la Comunione, suscitando la meraviglia di Zita. Durante la notte aveva deglutito lentamente un biscotto, rompendo la regola del digiuno assoluto.

Forse leggendo sul volto della moglie una certa perplessità, disse con tono pacato:

-“Al Confiteor mi è parso di avere presso di me il Signore, che mi incoraggiava di chiedere la Comunione. Io esitavo, ma alla fine non potei non cedere davanti alla Sua insistenza.”-

La febbre non accennava a scendere sotto i quaranta gradi, perciò il medico gli praticò un’iniezione di trementina nella gamba destra, quindi un’altra nella sinistra il giorno dopo. Gli causarono un dolore acutissimo ed un’infiammazione alle ginocchia. Io non sono un medico, ma so anche che la trementina viene usata per pulire i pennelli dalla pittura ad olio e perciò posso capire quale errore commisero i dottori e quanto abbia sofferto l’Imperatore Carlo I. Anche la schiena si stava ricoprendo tutta di piaghe, sicchè muoverlo un po’ nel letto gli procurava intensi dolori.

Alla moglie, nell’assistenza di Carlo, dava sovente il cambio la Contessa Mensdorff, ma Carlo, per pudore, nei piccoli spostamenti nelle lenzuola preferiva sempre Zita. Intanto la notizia della sua malattia aveva fatto il giro dell’isola e dovunque si facevano preghiere per la sua guarigione.

Nella notte del 27 marzo il malato riuscì ad inghiottire un po’ di gelatina, poi un peggioramento improvviso fece temere il peggio. Con un filo di voce Carlo disse:

-“So che ho rotto il digiuno e non potrei fare la Comunione, ma ne sento un immenso desiderio. Lasciatemi poi esposto qui davanti al Santissimo Sacramento.”-

Intervenne Monsignor Pal Zsamboki: i due si fissarono in silenzio, poi Carlo si confessò, chiese la Comunione e l’Unzione degli Infermi. Premeva fra le mani con affetto il crocefisso, non smettendo mai di stringerlo al petto e di baciarlo con trasporto. Lo assistevano Zita ed il primogenito Otto.

Seguirono attimi di singhiozzi della moglie e dell’erede, mentre dietro la porta nella stanza attigua gli altri figli e la poca servitù si asciugavano le lacrime. Sembrava che Carlo avesse ripreso le forze ed allora fece chiamare Otto, sebbene fossero le dieci di sera. Il principe ereditario si inginocchiò appena oltrepassata la porta, ma il padre lo volle a fianco del letto e gli disse:

-“Voglio che ti rimanga un ricordo ed un esempio per la vita affinchè un giorno sappia anche tu cosa si deve fare in queste circostanze”-

Pallido, Otto si rialzò, baciò a lungo la mano del padre che gli sorrise e fra fiotti di lacrime ebbe a esclamare:

-“Ora capisco perchè la Madonna fosse così addolorata sotto la croce”-

Otto, chiamato presso il padre una seconda volta, lasciò scritto di quell’evento:

-“Mio padre mi ha voluto presso di lui a mezzogiorno del primo aprile 1922, venti minuti prima della sua morte. Quando sono arrivato la sua unione con Dio era tale che non si è accorto della mia presenza. Aveva davanti a sé il Santissimo Sacramento che il Padre Zsamboki teneva fra le mani. Mio padre aprì gli occhi e guardò l’Eucarestia. L’ho sentito pregare ancora nei suoi ultimi istanti. Non smetteva di ripetere: -“Gesù mio, misericordia.”- L’ho anche sentito dire: -“Gesù mio, vieni”-. Il suo volto, devastato dalla sofferenza, assunse un’espressione del tutto serena e gioiosa, come fosse illuminato dalla visione del cielo dove stava per entrare. Ha pronunciato in un ultimo sospiro il nome di Gesù e si è abbandonato nelle braccia di mia madre Zita. Abbiamo davvero pensato che stavamo assistendo alla morte di un santo.”-

I medici intanto constatarono che l’infiammazione aveva aggredito ambidue i polmoni e gli praticarono iniezioni di canfora e di caffeina. Aumentando la sofferenza, verso sera se ne uscì con questa frase:

-“Ringrazio il Buon Dio di avermi fatto vedere la fine di questo giorno. Non avrei mai pensato che ci dovessero essere giornate dolorose e penose!”-

Zita all’improvviso si rese conto del lancinante soffrire del suo sposo, ed ebbe pure la netta sensazione di quanto veramente profondo dovesse essere il grado di sopportazione della malattia.

Il 28 marzo Carlo si sentì in dovere di informare il Primate dell’Ungheria, Jan Czernoch, ed il Cardinale di Vienna, Friederich Gustav Piffl, del suo stato di salute, manifestando nei loro confronti quella inveterata venerazione verso l’autorità ecclesiastica che aveva segnato tutta la sua vicenda di Imperatore. Pregò poi la moglie di leggergli le notizie più interessanti di un giornale di Vienna, integrandoli con la lettura di altri giornali in portoghese. Al rifiuto di Zita, accortasi che l’attenzione alla comunicazione delle notizie lo stancava, Carlo riprese un’insolita energia ed esclamò:

-“Tu sai che la stanchezza non importa niente: è mio dovere tenermi al corrente. Non cercare il mio diletto, ti prego leggi!”-

Ma la mente non resse e cominciò a vaneggiare, evidenziando quali preoccupazioni si agitassero nel suo intimo: l’avvenire della moglie e dei figli, le sofferenze dei suoi popoli, i doveri d’Imperatore, il non aver sgomberato la Transilvania prima dell’entrata dei rumeni, la penuria di generi alimentari per vecchi e bambini, i corpi straziati dei soldati al fronte. Riprendeva poi coscienza, sempre interessandosi dello stato di salute di due figli influenzati.

Mercoledì 29 marzo. I medici riscontrarono una piccola crisi cardiaca e come rimedio applicarono sul petto bende contenenti semi di lino con senapa. Carlo ne percepì con un certo fastidio l’odore, ricavandone un motto alquanto ironico:

-“Ora mi imbrattate il letto che finora ho tenuto pulito.”-

Poi ricominciò a vaneggiare parlando con i medici in fracese, con i familiari in tedesco, con la Contessa Mensdorff in ceco. Muoveva in continuazione le mani sopra le coperte, mentre le gambe rimanevano immobili, quasi avessero compreso che ogni movimento gli procurava lancinanti dolori. Assorto in un dormiveglia che a volte durava ore, soffriva in silenzio ogni medicazione, non chiedendo alcun conforto a chi attorniava il suo letto. Di questo erano testimoni i presenti, ma lui cercava di rassicurarli:

-“Ho promesso al Buon Dio di sottostare a tutte le cure dei medici e per suo amore sarò ubbidiente in tutto.”-

Non si lamentò nemmeno quando un fiasco di acqua bollente gli scivolò addosso alla ferita del piede. Una smorfia di dolore gli strinse le labbra, ma lui con pacatezza si rivolse alla moglie dicendo:

-“Ti prego di levare dal mio piede quella cosa che tanto mi ustiona.”-

La febbre, sempre oltre i quaranta gradi, gli procurava una fastidiosa e continua sudorazione, tanto che pregò più volte l’Arciduchessa Maria Teresa di procurargli qualche rimedio. La donna gli indicò il crocifisso dicendo:

-Per noi ha sudato tanto sangue.”-

Non voglio commentare una risposta simile, priva di sensibilità. Carlo I cominciò invece a chiamare uno per uno i suoi figli, poi gli parve che fossero giunti degli austriaci e desiderava riceverli così alzando le mani cercava di salutarli ripetendo:

-“Sono tanto debole, non posso, mi stanco tanto.”-

Poi immaginava d’essere attorniato da un gruppo di studenti che chiedevano spiegazioni sul governo degli Asburgo e ad alta voce ripeteva:

-“Che sciocchezza, non c’è niente da fare, non si conclude nulla! E anche tu, mia povera Elisabetta, quanto devi soffrire! Dove sono gli altri figli? Sono al sicuro al Monte? Quanto è buona cosa confidare nel Santissimo Cuore di Gesù!”-

Dopo una pausa, e quasi salutando gli astanti, disse:

-“Ci ritroveremo tutti di nuovo nella braccia del Redentore. Tutta la mia aspirazione è sempre riconoscere chiaramente in tutte le cose la volontà di Dio e seguirla, e ciò nella maniera più perfetta. Caro Redentore, prego, prego, prego… Caro Redentore, proteggi i nostri cari bambini”– li cita tutti per nome insime al piccolissimo che nascerà tra breve.

-“Preservali nel corpo e nell’anima, falli piuttosto morire che lasciarli commettere un peccato mortale. Amen. Sia fatta la Tua volontà. Amen. Non è forse bene che uno possa avere una tale fiducia nel Sacratissimo Cuore di Gesù? Altrimenti tutto questo non sarebbe sopportabile. Ho da pregare per così tanto e devo soffrire così tanto affinchè i miei popoli si ritrovino di nuovo. Perdono a tutti coloro che lavorano contro di me. Continuerò a pregare e a soffrire per loro. Gesù vieni, vieni!”-

Venerdì 31 marzo il respiro si fece a volte affannoso. Gli fu offerto l’ossigeno fatto giungere da Funchal dentro sacchetti che duravano solamente sette minuti. Poi gli furono applicate sei ventose, aumentando il dolore di una schiena già ulcerata e dilatandone le piaghe da decubito. A nulla servì una spalliera per sollevargli il capo e collocarlo un po’ seduto. La testa non si reggeva da sola, sicchè bisognava sostenergliela. All’Imperatrice che lo esortava alla paziena rispose alquanto meravigliato:

-“Stancarsi? Lamentarsi? Ma quando si accetta la volontà di Dio tutto è bene, tutto è buono. Voglio dirti con franchezza che io tendo sempre in tutti gli accadimenti a conoscere e seguire la volontà di Dio e precisamente nel modo più perfeto.”-

Intanto Zita aveva iniziato a recitare le preghiere invece del marito, ma fu interrotta da Carlo.

-“Io prego per tante intenzioni, ma forse non prego mai abbastanza. Ricordo continuamente lo Scisma di Boemia perchè il Signore vi ponga fine. Ora avrei desiderio di un bicchiere d’acqua, ma non voglio che tu abbia per questo ad alzarti e stancarti. Vedi, sono sempre in bilico tra il mio immenso amore per te e per i figli da una parte ed il mio egoismo dall’altra.”-

Mentre sorbiva alcune goccie d’acqua provava un segreto rimorso di dover disturbare. Sentiva un bisogno spasmodico di espettorare, ma ne aveva ritegno. Chiedeva prima se fossero presenti i bambini, temendo di contagiarli. Preso da continua insonnia si fece dare da Zita l’immagine del Sacro Cuore di Gesù che teneva sotto il guanciale e supplicò:

-“Ti prego, caro mio Signore, fa che io dorma.”-

Preso da un intontimento dei sensi riposò per circa tre ore.

Durante la sua ultima malattia il dominio di sé stesso, la ferma tenacia, la forza d’animo inesauribile di Carlo si mostrarono così chiaramente come non mai. I medici ne erano ammirati, edificati, di non aver mai visto prima una simile forza d’animo. Era poi inspiegabile il fatto che l’infermo riuscisse a dominare le proprie facoltà spirituali e di pensiero, nonostante la febbre alta, i tormenti fisici e morali, il malessere, le indicibili sofferenze.

Nella notte tra venerdì 31 marzo e sabato 1 aprile l’Imperatore volle stringere più a lungo del solito il crocifisso tra le mani, tenute giunte grazie all’aiuto della Contessa Mensdorff, pregando intensamente, quasi assorto. L’indebolimento del cuore e la febbre con i suoi continui sbalzi lo prostrarono talmente che riusciva a rispondere solo con il sorriso a quanto gli veniva comunicato. Monsignor Zsamboki accorse immediatamente, benedisse l’infermo, e gli comunicò l’arrivo della benedizione papale. Verso le sette e un quarto improvvisamente le braccia si irrigidirono per vari minuti. Respirava con estrema difficoltà e le mani stavano diventando fredde. Piangendo, il medico sentenziò:

-“Ancora due ore. Tutto è perduto se qui non avviene un miracolo.”-

Mentre gli rassettavano il letto il corpo fu percosso da un grande freddo ed un forte tremore che Carlo cercava di trattenere e quasi minimizzare, scusandosi per quel malessere involontario. In un momento di lucidità chiamò accanto al capezzale la moglie e la Contessa, le ringraziò più volte sussurrando per vari minuti la parola grazie, infine con voce chiara esclamò:

-“Dichiaro ancora una volta nullo il manifesto di novembre e senza effetto, perchè mi fu estorto. Nessuno può togliermi l’incoronazione a re d’Ungheria!”-

Saputo che era sabato volle immediatamente la Comunione, poi chiamò sereno Zita che mentre faceva poggiare delicatamente il capo del marito sulla propria spalla sinistra, lo udiva ripetere con voce flebile:

-“Ho pregato fino a questo momento: voglio tornare nella mia casa con te. Fa che mi lascino dormire. Sei stanca? Dovresti riposarti un po’, andare a passeggio….Il re di Spagna ti aiuterà, me l’ha promesso, e tu accetta la sua ospitalità. Io devo soffrire tanto affinchè i miei popoli possano di nuovo trovarsi uniti.”-

All’invito dell’Imperatrice di chiedere al Buon Dio la guarigione, Carlo rispose con:

-“Se ciò sarà la volontà di Dio.”-

Mentre i brividi crescevano d’intensità e scuotevano quel povero corpo, il malato cominciò a recitare l’Atto di Dolore.

-“Mio dio, di questi e di tutti i miei peccati ed imperfezioni mi pento con tutto il cuore perchè con essi ho offeso Te e Ti ho dato disgusto. Caro Salvatore, proteggi i nostri figli: Otto, Madi, Robert, Felix, Karl Ludwig, Rudolf, Lotti ed il piccolo, volendo indicare quello che sarebbe nato. Custodiscili Tu nel corpo e nell’anima. Fa che desiderino morire piuttosto che commettere un peccato mortale. Amen.”-

Il venir meno delle forze gli fece reclinare il capo all’indietro e restò a lungo con gli occhi semichiusi, rivolti verso Zita, a cui con accenti dolcissimi, accarezzandole la mano, disse:

-“Io ti amo immensamente.”-

Dopo la somministrazione dell’ossigeno che lo sollevò alquanto, con voce ferma esclamò:

-“Gesù, per Te vivo, Gesù, per Te muoio. Vieni caro Gesù.”-

A circa mezz’ora dalla fine, fissando stancamente Monsignor Zsamboki, manifestò il desiderio di essere comunicato. Il cappellano gli amministrò il Viatico, poi riprese in mano l’Ostensorio continuando a tenerlo fisso verso il morente. Il volto di Carlo, che fino ad allora era stato serio e stanco, divenne radioso e brillò dall’allegrezza, come trasfigurato da una visione beatifica che doveva rimanere tale fino al trapasso. Passarono alcuni momenti di silenzio angoscioso quindi, con parole chiare, disse:

-“Venga Otto”- forse perchè il principe ereditario vedesse e testimoniasse come moriva un Imperatore cristiano d’Asburgo. Mentre la Contessa Mensdorff si affrettava a far entrare il principe ereditario, Carlo aveva cominciato a recitare con il viso pallido e gli occhi appesantiti:

-“Ave Maria, gratia plena…”-

-“Non affaticarti!”- lo supplicò Zita –“il Signore è qui, ti tiene fra le Sue braccia. Abbandonati tutto a Lui.”- e gli suggeriva:

-“Gesù, per Te io vivo…”-

Il moribondo si sforzava di ripetere le parole muovendo lentamente le labbra:

-“Si, tra le braccia del Salvatore, io con Te, io e i miei figlioli con Te.”-

Essendosi esaurito l’ossigeno, l’Imperatore non poteva più respirare e si lasciò cadere, completamente esausto, sulla spalla dell’Imperatrice che pregava gli angeli ed i santi di accogliere l’anima del marito, mentre Otto, inginocchiato ai piedi del letto, ora piangeva sommessamente, ora singhiozzava. Monsignor Zsamboki allora avvicinò l’Ostensorio con il Santissimo fino a sfiorare il volto di Carlo.

-“ Ecco”- disse –“il Salvatore è qui.”- ed il moribondo fissò come potè l’Ostia Santa, poi alzò lo sguardo verso il cielo e rimase immobile con un sorriso celestiale.

Veramente l’Imperatore non pensava più alle cose di questa terra. Si sforzava di seguitare a pregare. La sua fronte era coperta dal sudore della morte. Monsignor Zsamboki gli recitò ancora le preghiere dei moribondi, accostando la bocca al suo orecchio, ma la voce dell’Imperatore appena si poteva udire. Il cuore palpitava ognor più rapido, il volto diventava sempre più pallido, sempre più lento e con rantoli era il respiro. L’Imperatrice gli offrì di baciare il crocifisso dei moribondi, ma egli non aveva più forza per baciarlo, solo pronunciò il nome di Gesù. Circa dieci minuti prima di morire, essendo sfinito, disse:

-“Non ne posso più!”-

L’Imperatrice lo incoraggiò dicendo:

-“Viene il caro Salvatore e ti prende.”-

E allora egli disse sospirando: -“Gesù vieni.”-

Con volto illuminato ripeteva:

-“Sia fatta la Tua volontà Gesù. Gesù vieni, si si… Gesù.”-

Pareva un dialogo tra Gesù e l’Imperatore. Poi il respiro diventò irregolare. Con l’ultimo respiro pronunciò la parola Gesù!

Erano le 12 e 23 minuti del 1 aprile 1922, di sabato. Il cuore dell’Imperatore non batteva più. Fu seppellito nella chiesa del pellegrinaggio di Nossa Senhora do Monte, che si trovava vicino alla villa. Se non fosse stato per il Toson d’oro intorno al collo dell’uniforme militare, la salma sarebbe potuta essere quella di un qualsiasi ufficiale austriaco e la cerimonia funebre quella di un uomo povero. Non c’era una carrozza tirata da cavalli, per non parlare di automobili, per trasportare la bara che venne invece caricata su un basso carretto a due ruote, trainate dagli uomini della sua modesta corte. Soltanto la folla era lì a indicare che non si trattava di un comune funerale. L’intera popolazione di Funchal sembrava salita fino alla chiesa in cima alla collina per assistere alla sepoltura, seguendo la vedova che aveva con sé tre figli maggiori. Madera aveva intuito che, con la morte dell’Imperatore in esilio, l’isola era entrata nella storia.

20 ottobre 2023 – Renato Leban

Boy wearing a sailor suit Carlo I da bambino, nel 1889

Matrimonio di Carlo I con la Principessa

Zita Borbone Parma, il 21 ottobre 1911

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undefined Imperatore Carlo I d’Austria

undefined La famiglia imperiale con il primogenito Otto

Gli otto figli di Carlo I e Zita

Otto, Adelheid, Robert, Felix, Karl Ludwig, Rudolf, Charlotte, Elisabeth

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Il beato Carlo d'Austria e la moglie Zita condividono il segreto di una  vita felice

La coppia Imperiale, Carlo I e Zita

Funchal, arcipelago di Madera, Portogallo agli inizi del 1900

File:Funchal Madeira, Portugal (ca. 1919-1929).jpg

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