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BREVE CONFRONTO FRA FILOSOFIA OCCIDENTALE E ORIENTALE

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Redazione-Fra i molti stereotipi che abbiamo saputo creare, vi è quello secondo cui i modi di pensare occidentale e orientale sarebbero del tutto divergenti. Si è convinti, ad esempio, che la filosofia orientale non si sia mai separata dalla religione, che lo “spiritualismo” orientale si oppone al “naturalismo” occidentale, che il modo orientale di filosofare sarebbe prevalentemente caratterizzato da idealismo, irrazionalismo, introversione, cosmocentrismo, pessimismo, ai quali si opporrebbero materialismo, razionalismo, estroversione, antropocentrismo, ottimismo, ritenuti “tipici” dell’Occidente. Naturalmente anche in oriente vi sono correnti soggette a questi assurdi schematismi geo-filosofici.

Forme evolute di pensiero razionale erano presenti anche prima del VI secolo in culture del Vicino Oriente e del Mediterraneo.

La nascita della vera e propria filosofia tuttavia, si attribuisce alla Grecia, perché sono stati proprio i greci ad acquisire e sviluppare le conoscenze delle grandi civiltà antiche, divenendo una società più dinamica e articolata. L’Oriente, al contrario, era più incentrato sulla religione e l’obiettivo da raggiungere era la salvezza.

Attraverso l’acquisizione di queste conoscenze la Grecia ha sviluppato un’indagine razionale ed autonoma sul mondo che, poi, è stata presa come modello dai popoli del Mediterraneo e dell’Europa.

La nascita della filosofia nel mondo occidentale è intesa come l’indagine razionale, che si sostituisce al mito e alla religione: essa ha origine nella Grecia del VII-VI secolo a. C. e ha inizio con la scuola ionica. All’epoca la realtà greca era costituita da molte città-stato, cosiddette pòleis che godevano di un’indipendenza ed organizzazione politica, sociale ed economica. I greci tuttavia, erano consapevoli di avere un’identità comune, in quanto avevano la stessa lingua, i medesimi miti e religioni e condividevano i valori di fondo. La storia dei greci era stata condizionata sin dall’XI secolo da emigrazioni, dando luogo a quella che viene definita Magna Grecia.

Quelli che vengono considerati i primi filosofi (Talete, Anassimandro, Anassimene) nascono nelle colonie ioniche fra l’VII ed il VI secolo: in questo periodo si passa da una società agraria dominata da ricchi proprietari terrieri, a una società nella quale la manifattura e il commercio prendono il sopravvento; mentre nell’ambito politico si affermano le tirannidi, che anticipano la democrazia. Mentre il mito, caratterizzato da eroi e semidei, e la religione esprimono la visione del mondo aristocratico, nella nuova cultura si manifestano le istanze delle emergenti classi sociali quali la filosofia, basata sulla ragione, sul lògos, presenti in ogni uomo e accessibili a tutti. Essa, inoltre, si delinea come sapere critico e aperto alla ricerca.

I principali problemi che la filosofia si pone, a partire dalla scuola ionica, riguardano il divenire (il nascere, il morire e le trasformazioni) e la molteplicità, con le esigenze di individuare un principio immutabile e unitario del mondo: l’archè. Un principio che è, nello stesso tempo, origine e fondamento di tutti gli enti. Al termine greco, se ne accosta un altro: physis, la cui traduzione è “natura” vista come ciò che genera le cose e ciò a cui tutte le cose convergono una volta perite. Per gli antichi filosofi la natura è concepita come principio originario.

Per un pregiudizio collettivo occidentale si tende a pensare alla filosofia come una realtà esclusivamente tipica dell’Occidente, ma in verità sappiamo che sono esistite e nascono in continuazione molte “filosofie”, ma proprio l’eterogeneità e la varietà della tradizione rende  particolarmente complesso operare una netta distinzione fra ciò che è filosofico e ciò che non lo è.

Ad oggi è complicato dare una definizione univoca delle due filosofie: sono diverse in quanto seguono ragionamenti e concezioni differenti. Oltre alla distinzione linguistica, è utile ricordare che la filosofia orientale manca di una speculazione metafisica.

Non è mai stato provato con certezza che la filosofia occidentale riprenda il pensiero orientale, le cui nozioni fondamentali (l’anima e la reincarnazione) giungono in Grecia attraverso l’orfismo e i culti misterici. Nella prima metà dell’Ottocento per la prima volta abbiamo un confronto vero e approfondito fra le due culture, quella occidentale e quella orientale.

L’Oriente ha sempre esercitato un certo fascino sugli uomini europei, tanto che molti di essi si spinsero verso le loro terre ed alcuni scrissero dei diari nei quali sono descritti usi e costumi allora ancora sconosciuti, si pensi per esempio a “Il milione”di Marco Polo.

Solo nel XIX secolo iniziano ad esserci rapporti con l’Oriente: scambi commerciali e culturali, testi sulle religioni tradotti nelle lingue europee, tracce di alcuni filosofi quali Hegel, Schopenhauer, Nietzche, Bergson. Nel periodo fra il 1960 e il 2003 l’impatto con le religioni e le culture orientali diventa pratico e si risponde al desiderio di sperimentazione spirituale: tutto ciò viene spiegato dalla diffusione dalle attività di meditazione quali lo yoga, lo zen, le arti marziali.

I testi filosofici, appartenenti alla cultura occidentale, sono scritti con un linguaggio razionale mentre quelli antichi, con un linguaggio anche poetico. Questa caratteristica è fondamentale per far comprendere al lettore occidentale il messaggio filosofico attraverso un linguaggio ricco di rimandi simbolici.

Antonio Rosmini, filosofo, teologo e presbitero italiano, partendo dalla sua speculazione filosofica, intravede nella filosofia indiana alcuni possibili errori quali il razionalismo, il panteismo e l’ateismo e dedica loro un attento studio. Egli muove la sua riflessione a partire dalle traduzioni dei testi indù, scritti in sanscrito, una lingua colma di simboli ed espressioni poetiche, e ne conseguono i significati attribuiti dall’Autore ai termini Tat, Sat ed Asat.
Rosmini affronta il significato del termine sanscrito “Tat”. Lo spiega attraverso un ragionamento: <“colui” per enfasi significa “l’essere supremo”. Questa maniera di indicarlo annuncia due cose: la prima che é ineffabile, che non ha nome, e la seconda che è l’essere per essenza “colui che è”>.
Un secondo esempio è l’uso del termine “Sat”. Rosmini scrive: “Quando quell’essere si è reso manifesto per la creazione chiamasi Sat, l’entità, ma in quanto è coperto di forme, che sono una pura illusione, chiamasi, Asat, la non-entità”. Prendendo in analisi il testo sacro originale dell’Induismo, il Bhagavad Gīta, si può notare che il termine Tat è pronunciato da coloro che vogliono giungere alla Salvezza, compiendo sacrifici, meditazione e opere di carità, ma anche quando si vuole rendere grazie per la gioia e la felicità. D’altra parte, il termine Sat è usato per porre rimedio a sacrifici e metodi di meditazione compiuti in modo imperfetto o errato. Infine, la parola Asat definisce le azioni sacrificali, le preghiere e le opere di carità eseguite con distrazione.

 Nell’opera rosminiana “Del divino nella natura” viene citato il termine  “Atman”, inteso come individuo e soggetto. “E’ individuo perchè la Realtà necessariamente deve essere individuo se si deve unire con il Principio universale, deve essere libero”

scrive il sacerdote Xaviar Joseph Mulamootill.[1]

[1]La natura è divina, Xaviar Joseph Mulamootill.

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