” UMANESIMO E RINASCIMENTO ” – PROF.SSA GABRIELLA TORITTO
Redazione- Con il termine “Umanesimo” si definisce un movimento culturale sviluppatosi dalla fine del 1300 fino a poco oltre la metà del ‘400. Si è tratta di un’esperienza culturale in primo luogo italiana con il suo centro di massima fioritura a Firenze, punto di riferimento della vita letteraria già dalla fine del 1200. Anche altri centri italiani, come Milano, Venezia, Roma e Napoli, hanno un ruolo determinante per lo sviluppo dei nuovi ideali intellettuali e filosofici umanistici, stimoli di un’attività culturale e letteraria del tutto rinnovata.
L’Umanesimo è la premessa del Rinascimento e diviene un modello per tutta l’Europa, con esiti notevoli soprattutto in Inghilterra, Francia e Spagna.
Nel corso del 1400 si verifica una vera e propria svolta della civiltà. Cambiano la visione del mondo, le espressioni letterarie e artistiche, gli studi scientifici. Ha inizio una nuova era che nella tradizionale periodizzazione storica viene definita Rinascimento. In tale svolta l’Italia è all’avanguardia e anticipa di molto gli altri paesi europei. Quando la penisola è già tutto un fermentare di nuove esperienze rinascimentali negli altri paesi europei, come la Francia, la Germania, l’Inghilterra, si è ancora in pieno Medioevo.
Medioevo e Rinascimento non sono da considerarsi contrapposti. Ogni processo storico è un flusso continuo di mutamenti e di trapassi lenti e impercettibili. Già nei secoli precedenti il 1400 si possono individuare le intuizioni, le concezioni, le innovazioni stilistiche e metodologiche nel pensiero, nella letteratura e nelle arti, che fanno presagire gli sviluppi futuri. E’ pur vero, tuttavia, che sia nel 1400 sia nel 1500 si constatano zone di resistenza in cui sopravvivono modi di pensare e di esprimersi tipici del Medioevo. All’interno dello stesso Rinascimento esistono due fasi di periodizzazione da distinguere: la prima fase, detta dell’Umanesimo, coincide all’incirca con il 1400 ed è l’epoca della rinascita dell’ interesse per l’antichità, della riscoperta dei classici e della filologia, degli studia humanitatis, dell’imitazione; la seconda fase, con il Rinascimento vero e proprio, occupa i primi decenni del 1500 in cui vi è il consolidamento della nuova civiltà, del trionfo del classicismo e della cultura cortigiana, della piena maturità espressiva nella letteratura e nelle arti. Si tratta di un periodo unico, con tratti comuni in tutte le sue espressioni e senza fratture al suo interno.
A fine 1400 e nei primi del 1500 si verificano eventi storici risolutivi: la grande crisi e la perdita dell’indipendenza da parte degli Stati italiani; le scoperte geografiche con le inevitabili conseguenze economiche e culturali; l’affermarsi delle armi da fuoco e la rivoluzione delle tecniche militari con tutti i riflessi che ne derivano per la società; la diffusione della stampa a caratteri mobili metallici e la conseguente rivoluzione nei mezzi di comunicazione culturale; la Riforma protestante. Le discipline e gli ambiti in cui si sviluppa il sapere umanistico sono molto numerosi. Essi riflettono: l’ottimismo del tempo rispetto alle possibilità e alle capacità dell’uomo; l’entusiasmo degli intellettuali verso una fase che avvertono come una rinascita dopo i “secoli bui” del Medioevo.
Il Medioevo acquista una valenza dispregiativa da questo momento con il rinnovamento dei saperi e della cultura del primo Quattrocento. Proprio la voce “umanesimo” suggerisce alcuni fattori chiave della visione degli intellettuali quattrocenteschi, rispetto alla quale appare centrale una rinnovata fiducia nelle capacità e nelle possibilità dell’uomo.
In netto contrasto con la cultura medievale, dominata da una prospettiva verticale, per cui l’uomo guarda fuori e sopra di sé alla ricerca del Divino (screditando quindi l’esperienza terrena), l’erudito umanista e rinascimentale crede nella capacità umana di autodeterminarsi ed essere artefice della propria sorte. L’uomo cioè ha la possibilità e il dovere intellettuale di comprendere il mondo che lo circonda e di modificarlo secondo i propri fini: da questa tensione alla conoscenza, che distingue la natura umana rispetto a quella animale, rinascono gli studia humanitatis, che traggono un’essenziale linfa vitale dalla riscoperta dei classici latini e greci. Inoltre, dopo la caduta dell’Impero Romano d’Oriente (1453), molti intellettuali bizantini si trasferiscono in Occidente, portando con sé preziosi volumi e soprattutto una viva competenza della lingua greca, quasi perduta nelle zone occidentali durante la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, durante le incursioni, i saccheggi e le occupazioni dei barbari durante lo stesso Medioevo. Secondariamente, muta l’approccio nello studio delle opere autorevoli. Lette con rispetto, ma anche con spirito critico, esse divengono oggetto di uno studio attento, alla ricerca della forma originale del testo, al di là delle modificazioni che l’opera poteva aver subito nel corso del tempo. Sono dunque poste le basi per la nascita della filologia moderna. I classici diventano con l’Umanesimo modelli sia per i loro contenuti (gli insegnamenti filosofici, morali e scientifici che offrono) sia per lo stile e la forma con cui sono proposti. Ne derivano un nuovo gusto estetico e nuove modalità di espressione letteraria, anche a livello di tematiche e generi che si ispirano ad un ideale classicista. L’importanza dei modelli antichi e di quelli latini dà origine ad argomenti di riflessione e di polemica destinati ad avere grande vitalità anche oltre il 1400 e il 1500: ci si chiede fino a che punto debba spingersi l’imitazione dei maestri e comincia lentamente a definirsi il problema dell’originalità e dell’autorialità dei testi. All’autorevolezza delle opere classiche si accompagna in un primo momento l’assoluto dominio del latino: le opere letterarie, scientifiche e filosofiche sono redatte nella lingua antica latina, riscoperta nella sua purezza grammaticale, mentre le lingue volgari, che tanta parte avevano avuto nella letteratura due-trecentesca , conoscono una grave battuta d’arresto. Solo dopo la metà del XV secolo intellettuali come Leon Battista Alberti cominciano ad interrogarsi sulla dignità della “lingua materna” anche per questioni tecniche e di elevato profilo intellettuale, riportando ad una situazione di equilibrio l’uso dei diversi idiomi e, in ultima analisi, la vittoria delle lingue romanze sul latino.
Sono questi i prodromi della secolare “questione della lingua”, che nel Cinquecento avrà il suo massimo sviluppo. Cambia anche l’approccio materiale ai testi, con i libri sempre più concepiti come strumento vivo, da fruire per approfondire il proprio sapere e diffonderlo presso gli altri. Per sottolineare l’importanza nazionale della “questione della lingua” e dei mezzi per diffonderla, basti ricordare che, dopo le Prose della volgare lingua di Pietro Bembo, l’argomento verrà ripreso a metà Ottocento da Alessandro Manzoni sia con l’edizione del 1840 dei Promessi Sposi sia con il saggio Dell’unità della lingua.
Già alla fine del 1200 si delinea negli Stati italiani una nuova forma di governo, la Signoria. Le Signorie nascono quando le istituzioni comunali sono ormai indebolite dai conflitti fra le varie fazioni comunali oppure in caso di necessità di pace e di stabilità che induce i cittadini a consegnare il potere delle loro città nelle mani di un Signore. Il Signore funge da arbitro, da mediatore delle contese. In quest’ultimo caso le Signorie sorgono con una legittimazione popolare, sebbene le istituzioni di governo siano realmente svuotate ed esautorate. Il Signore si avvale di consigli di persone a lui fedeli e da lui scelte, obbedienti in tutto e per tutto alla sua volontà. Il Signore ama circondarsi di artisti e protegge l’arte e la cultura. Nasce il fenomeno così chiamato mecenatismo, da Mecenate, il ministro dell’imperatore romano Augusto che proteggeva i letterati e dirigeva la politica culturale dell’impero. Il mecenatismo è il fenomeno più tipico della società e della cultura rinascimentale.
Allo splendore intellettuale che contraddistingue l’Umanesimo e il Rinascimento si contrappone lo spegnimento della dialettica politica e della vita civile, in confronto al fervore che caratterizza l’età comunale. Il cittadino diviene un suddito. Viene meno la partecipazione dei cittadini alla conduzione del potere politico. Ne scaturisce una fisionomia politica degli Stati rinascimentali in cui appare netta la divisione fra il palazzo del potere e la vita dei cittadini. Il Signore vive in una dimensione separata e distante dal corpo della società. Anche Firenze, da sempre orgogliosa della fiorentina libertatis e critica nei confronti delle “tirannidi” di città come Milano, alla fine assiste all’affermazione della signoria dei Medici, alla scomparsa del fervore repubblicano, sopraffatta dallo spirito cortigiano del tempo. Sotto le Signorie i territori cittadini si espandono a discapito delle città più vicine. Inevitabili allora sono le guerre. Solo nel 1454 con la pace di Lodi inizia un periodo di stabilità che dura fino al 1494.
Diversamente dagli altri Stati europei, nonostante la fioritura artistica e lo sviluppo economico, in Italia non si determina un’unità statale/nazionale. Ragion per cui verso fine secolo si verifica una grave crisi politica e gli Stati italiani perdono la loro indipendenza.
Se gli ultimi anni del 1300 conoscono una forte depressione, carestie, epidemie, un inevitabile calo demografico e l’abbassamento del tenore di vita delle popolazioni europee, nel corso del 1400 si ha una graduale e netta ripresa economica, una riconversione degli investimenti nelle attività agricole, un ritorno alla terra. Anche la grande borghesia cittadina, protesa ad assomigliare sempre più all’aristocrazia tradizionale, “scopre” la “terra” come bene di investimento. La grande borghesia cittadina possiede già importanti ricchezze: dai gioielli ai tessuti preziosi, ai palazzi, alle ville. Tale ricchezza, assieme al mecenatismo, è alla base dell’eccezionale fioritura artistica del periodo.
Durante l’Umanesimo e soprattutto nel Rinascimento si diffonde uno stile di vita edonistico, alla ricerca del piacere, del godimento squisito, della gioia di vivere, del lusso esteriore. C’è un’elite che trascorre gli ozi in feste, in ambienti splendidi, circondati da opere d’arte, che “sa vivere” secondo boccaccesca memoria del Decameron; mentre la grande massa della popolazione resta estranea a tanto fervore e benessere, addirittura continua a vivere nelle stesse misere condizioni esistenziali del 1200, nonché con le credenze religiose e superstiziose del Medioevo che imperano negli strati sociali più bassi.
Nel panorama della società del 1400 Firenze costituisce un caso a sé poiché mentre altrove sono ormai consolidate le Signorie, essa conserva le istituzioni repubblicane e continua a mantenerle, seppure solo formalmente, anche dopo l’instaurazione della signoria di Cosimo de’ Medici. Così a Firenze nel primi decenni del 1400 sopravvivono forme di produzione della cultura che prolungano quelle dell’età medioevale. Il luogo deputato alla produzione culturale è la Cancelleria della Repubblica dove lavorano i più prestigiosi intellettuali del tempo che vanno elaborando la nuova cultura umanistica, ricercando manoscritti degli autori antichi, curando l’edizione corretta di quei testi, scrivendo opere in latino classico. Fra tali insigni letterati vi sono Leonardo Bruni, Coluccio Salutati, Poggio Bracciolini. Altro luogo deputato alla produzione della cultura umanistica è la corte, luogo di incontro di gentiluomini, intellettuali, artisti, scienziati che si raccolgono attorno al Signore. Gli intellettuali hanno il compito di elaborare, definire, esprimere in forma compiuta e perfetta gli ideali dell’elite colta. Oltre al compito di elaborare i valori costitutivi dell’ambiente e di celebrarne la magnificenza, lo scrittore e gli artisti hanno anche il compito dell’intrattenimento e della decorazione.
Le opere degli scrittori, i poemi cavallereschi, mitologici, pastorali, la stessa poesia lirica amorosa sono lette pubblicamente per allietare gli ozi della corte. Gli artisti decorano saloni e cappelle con affreschi, statue, tavole, progettano palazzi, ville, giardini. Altro elemento essenziale della vita di corte è la festa, organizzata spesso con un grande apparato scenografico e minuziosi rituali. Momento culminante della festa è lo spettacolo teatrale, il cui allestimento è curato dai letterati di corte che elaborano i testi e la messa in scena, e dagli artisti che si occupano delle scenografie. Nell’organizzazione cortigiana della cultura vi sono dei rischi. Il maggiore è rappresentato dalla separatezza degli intellettuali dalla società e dal loro distacco dalla realtà causati dall’aristocratismo elitario di quella civiltà, dal circuito chiuso fra produzione-fruizione poiché lo scrittore si rivolge ad una schiera elitaria di persone di cultura, escludendo ogni comunicazione e contatto con il resto della società, considerata subalterna.
Altro luogo deputato alla produzione della cultura umanistica sono le Accademie. Da una parte ciò comporta una radicale riorganizzazione delle biblioteche pensate per accogliere lettori e studiosi, e non solo per custodire oggetti preziosi. Un riferimento essenziale in tal senso è Francesco Petrarca che già in pieno Trecento ipotizza la possibilità di costituire, attraverso un lascito testamentario, il primo nucleo di una biblioteca comunale e cittadina. D’altro canto, gli eruditi amano anche forme più dirette di condivisione del sapere e si scambiano con generosità copie di testi trovati in luoghi remoti, ma anche opere proprie o revisioni critiche e filologiche dei classici appena realizzate. Nascono le Accademie, che sono luoghi totalmente altri dalle università.
Biblioteche e tipografie, i luoghi cioè in cui l’erudito umanista opera in modo più diretto, cercando, studiando o scrivendo testi poi preparati per l’edizione, costituiscono anche due dei principali ambiti di ritrovo per gli intellettuali. La vita culturale trova poi occasione di sviluppo nelle corti, grazie al mecenatismo dei signori, motivati sia dalla curiosità personale per la letteratura e le scienze, sia dal desiderio di accrescere il proprio prestigio grazie alla presenza di uomini colti nel loro entourage.
I “cenacoli” come le Accademie traggono ispirazione dall’antica Accademia Platonica, come dimostra il nome della più celebre associazione del tempo, la fiorentina Accademia Neoplatonica, fondata da Marsilio Ficino nel 1462 e rimasta in attività fino al 1523. Essa ebbe uno straordinario prestigio annoverando tra i suoi membri Lorenzo de’ Medici e Pico della Mirandola e persino Niccolò Machiavelli.
Tale clima di apertura è uno degli elementi più caratteristici dell’Umanesimo ed anzi contribuisce allo sviluppo e alla diffusione dei nuovi ideali e delle nuove metodologie al di là dei singoli ambienti cittadini. A tal proposito, un elemento determinante è anche l’invenzione della stampa ad opera di Johannes Gutenberg, di cui si ricorda soprattutto la Bibbia stampata per la prima volta a Magonza nel 1455 (la celebre Bibbia a 42 linee).
Nel corso del tempo la maggiore reperibilità dei testi e il loro costo più accessibile favoriscono un accrescimento del numero di lettori, anche se senza dubbio l’analfabetismo rimane un problema diffuso presso la stragrande maggioranza della popolazione europea. I lettori possono essere schematicamente distinti in tre gruppi: gli eruditi, che fruiscono dei testi in termini culturalmente approfonditi; i cortigiani, che godono del piacere della letteratura e della cultura di cui riconoscono anche il prestigio sociale; i lettori comuni, che cominciano ad avere accesso alle opere più semplici sia per piacere sia per acquisire un’educazione di base.
L’intellettuale cortigiano, un po’ meno l’intellettuale cittadino (quello ad esempio fiorentino come Coluccio Salutati) è subordinato al potere; non è più autonomo; non è più libero nell’esplicazione e nell’espressione della propria professionalità e molto della sua libertà espressiva dipende dal Signore che serve. L’intellettuale cortigiano tuttavia ha un ruolo preminente nella società del tempo. Ha un’alta concezione di sé; è depositario dei valori più alti della civiltà e forma i ceti dirigenti. E’ anche molto mobile nello spazio.
L’Italia di allora è ricca di sedi e di corti signorili e di un’intensa vita intellettuale: Milano, Mantova, Venezia, Ferrara, Urbino, Firenze, Roma, Napoli. Il continuo spostamento degli intellettuali ed artisti favorisce la circolazione e un vivace scambio culturale fra le corti stesse. Vi sono sì lettori, fruitori di quella cultura, di quelle idee, ma si tratta pur sempre di una produzione a circuito chiuso, ossia sono sempre le elites a sapere e a potere leggere; il pubblico “basso” è completamente estraneo alle idealità e alle idee umanistiche poiché non possiede gli strumenti basilari per acculturarsi.
Il pieno Umanesimo è anticipato dal lavoro di alcuni autori e pensatori del Trecento. Essi hanno posto le premesse della svolta con il loro impegno intellettuale, l’interesse critico e filologico per i classici, la concezione più ampia del sapere, la visione moderna dell’uomo da una parte e della sua espressione letteraria dall’altra. Tra gli autori più rilevanti del periodo tra Umanesimo e Rinascimento sono da annoverare i numerosi eruditi che si impegnano nella ricerca filologica, nello scavo dei fondi librari e nella rinascita delle lettere latine e che sono definiti autori dell’Umanesimo latino: Coluccio Salutati, Leonardo Bruni, Poggio Bracciolini, Lorenzo Valla.
Marsilio Ficino, eruditissimo e illustre filosofo, interessato anche alla magia e al sovrannaturale, è uno dei massimi rappresentati della cultura del suo tempo. Testimonianza del suo spiccato interesse per il Neoplatonismo e la filosofia antica è il “Libro dell’amore”, che in un’ottica sincretica non esclude il misticismo cristiano (per il quale sono centrali i padri della Chiesa, in primo luogo Sant’Agostino), e include per certi aspetti anche l’interesse per l’occulto (Ficino fu infatti traduttore anche del Corpus Hermeticum, attribuito a Ermete Trismegisto). Ficino oltre che essere studioso e traduttore delle opere di Platone contribuisce alla diffusione di testi che fino a quel momento potevano essere padroneggiati solamente da eruditi e studiosi di greco antico.
Si ricordano inoltre Leon Battista Alberti, Pico della Mirandola, Luigi Pulci e soprattutto, in quanto particolarmente rappresentativi del clima letterario dell’epoca, Angelo Poliziano e Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico. Lorenzo de’ Medici è anche un generoso e accorto mecenate, cui non a caso si deve una spinta essenziale allo sviluppo e alla diffusione della cultura umanistica. Leon Battista Alberti è architetto, ma nella sua produzione si possono trovare testi di natura differente, come apologhi e dialoghi in cui si presentano tematiche morali e di riflessione sull’incidenza della fortuna nella vita. Il suo testo più celebre è costituito dai quattro tomi Della famiglia, un dialogo inventato tra i membri della famiglia Alberti, che verte sull’importanza della famiglia, scoglio solido a cui aggrapparsi per far fronte al turbinio della politica e della sorte e, al tempo stesso, cellula fondamentale dell’ordinamento sociale. Leon Battista Alberti sceglie il volgare per le sue opere principali ed è autore della prima grammatica del volgare, la Grammatichetta vaticana. Di Angelo Poliziano il testo più rappresentativo è l’incompiuto poema delle Stanze per la Giostra, che, nel suo intento encomiastico, prende spunto da una vittoria in torneo di Giuliano de’ Medici per sviluppare una narrazione di carattere in parte amoroso e in parte militare, in cui la componente mitologica greca è senza dubbio centrale, a fianco della ricca erudizione. Lorenzo de’ Medici, lucido politico e signore di Firenze, è anche letterato e poeta, autore ad esempio del poemetto idillico della Nencia da Barberino e della “carnascialesca” Canzone di Bacco. Documento prezioso dell’attenzione alla tradizione volgare è la Raccolta Aragonese, antologia dei primi secoli della poesia toscana inviata da Lorenzo de’ Medici a Federico d’Aragona in dono.
Nel 1400 si verifica l’affermazione definitiva di una lingua nazionale, che è identificata nel fiorentino. Va anche chiarito però che tale lingua unitaria, nazionale, è ad uso e consumo di una ristretta cerchia di intellettuali, mentre la lingua di uso comune per il resto della popolazione è costituito dai vari dialetti, infinitamente frammentati.
I generi letterari più diffusi sono: la lettera, il trattato, il dialogo, le opere pedagogiche, le opere politiche, la storiografia, la memorialistica, la riflessione letteraria, le opere comico-burlesche, i poemi cavallereschi, le novelle, i testi mitologici, i poemi pastorali, i temi d’imitazione.
Nel complesso sono numerosissimi i generi della letteratura umanistica, comprese forme di narrativa giocosa e divertente, come i primi poemi epico-cavallereschi, tra i quali spiccano per importanza e particolarità l’Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo e il Morgante di Luigi Pulci.
Grande interesse è rivolto verso l’ambito civile, compreso quello pedagogico, in virtù della centralità attribuita alle attività umane, ma anche la morale e la spiritualità sono oggetto di costante riflessione, nel tentativo di creare una sintesi tra la nuova concezione dell’uomo al centro del mondo e la perdurante fede nel Divino. Il Quattrocento, infatti, è un secolo di ortodossia cristiana, con cui si scontra tuttavia in parte la diffusa passione per la magia e l’esoterismo. Diffusissimo è poi lo studio della filosofia, la riscoperta del platonismo, dopo secoli di preferenza per la Scolastica e per Aristotele. Nuovo impulso giunge anche alle arti figurative ed in particolare all’architettura, che unisce l’amore per il bello alla ricerca del funzionale a livello tecnico. Straordinaria è poi la rinascita delle scienze, che condivide con gli studi filosofici la presunzione di poter conoscere a fondo il mondo e l’universo.
L’Umanesimo è in effetti l’età delle cosiddette scienze esatte. Esse mirano a risultati oggettivi e confutabili, basati su esperimenti pratici. La figura più rappresentativa di tali interessi è probabilmente Leonardo Da Vinci, la cui attività tocca i più svariati campi dello scibile, dalla pittura all’architettura, dalla fisica all’anatomia.
Infine in letteratura l’attenzione si sposta sulla persona, di cui sono indagate le capacità, le inclinazioni e le motivazioni. In tal senso precursore essenziale dell’Umanesimo è stato Giovanni Boccaccio con il suo Decameron, in cui l’ingegno e le capacità pratiche dell’uomo, anche in contrasto con la Fortuna, sono guardati con grande simpatia ed interesse. Già Petrarca, però, prima di Boccaccio, anticipa i prodromi del nuovo tempo. Francesca Petrarca per il suo tempo è una nuova figura di intellettuale sia rispetto agli scrittori del Duecento sia rispetto a Dante. Anticipa l’intellettuale che dominerà nei periodi successivi. Non è più l’intellettuale comunale, legato ad un preciso ambiente cittadino ma è una figura cosmopolita, senza radici in una tradizione municipale. E’ un intellettuale che tende ad un ideale non più municipale bensì nazionale in senso culturale e letterario, non politico.
Il cosmopolitismo si manifesta in una continua ansia di viaggiare, nel variare continuamente il luogo di soggiorno come Avignone, Parma, Milano, Venezia, Padova. L’espressione letteraria e le tematiche sono a loro volta influenzate dall’accrescimento dei campi di studio: accanto alla poesia e alla narrativa, acquisisce sempre più spazio la stesura di trattati, dedicati all’approfondimento in tutti quei campi cui si è rivolta l’indagine erudita.
Particolare interesse hanno gli studi storiografici, sollecitati da una diversa applicazione del desiderio di comprendere l’uomo e il mondo che lo circonda, e dall’esempio di autori classici allora riscoperti, come Erodoto (484-425 a.C.) e Tucidide (460-395 a.C.), o come Livio, le cui opere sono conosciute nel Medioevo soltanto in proporzioni molto limitate. Si pongono così le basi per una vera e propria storiografia.
F.to Gabriella Toritto
FONTI:
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