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IL SUMO E LA MISCHIA DEL RUGBY (QUARTA PARTE)

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Redazione-Il sumo, una delle forme di lotta corpo a corpo più antiche arrivate fino a noi e attualmente sport più popolare e rappresentativo del Giappone, da alcuni decenni ha cominciato a suscitare l’interesse anche di altre nazioni grazie ai tornei di sumo che si tengono in Australia, Europa e Stati Uniti.

E sebbene la sua popolarità non sia al livello degli altri sport più praticati e seguiti dal grande pubblico, con molta probabilità, è ben presente nell’immaginario collettivo occidentale come lo sport di lottatori insolitamente poderosi che partendo dalla caratteristica posizione abbassata che li pone faccia a faccia, si lanciano repentinamente l’uno contro l’altro con tutta la forza d’urto delle loro possenti masse muscolari per atterrare o spingere fuori dall’area di combattimento (chiamata doyho) l’avversario.

A differenza di quanto avviene in altri sport di combattimento quali ad esempio il Karate, nel sumo non sono ammessi colpi impulsivi (calci o pugni) di conseguenza la modalità prevalente di combattimento è quella del “corpo a corpo”.

Considerata la grande importanza che nel sumo ha la resistenza del corpo, l’entità dell’impatto tra i corpi degli atleti e i tempi della loro interazione meccanica, dove insorgono delle forze consistenti tese a trasmettere delle accelerazioni in direzioni opposte, può risultare interessante da un punto di vista della fisica analizzare le forze risultanti nel momento del contatto dei due corpi impegnati in questa antica lotta giapponese.

A questo punto analizzando le azioni del rikishi (lottatore di Sumo) nel momento in cui è impegnato a generare una forza che “spinga” l’avversario, possiamo trarre indicazioni per fasi di gioco di sport collettivi come il rugby in cui i giocatori, legati l’uno all’altro, esercitano una forte pressione sugli avversari con lo stesso coordinamento motorio che sta alla base dell’azione del rikishi che spinge l’avversario fuori dal doyho o a terra.

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Simulazione didattica Sumo a scuola Liceo Leonardo Pescara

Comunque, essendo queste forze muscolari agenti nel contatto diretto tra due corpi opportunamente vincolati tra loro considerate come forze meccaniche per poterne valutare la grandezza, è necessario partire dall’analisi di alcuni aspetti di base che determinano la nozione di forza.

La forza è un ‘entità vettoriale” che viene caratterizzata da grandezza, direzione, verso e punto d’applicazione. Nella tensione muscolare applicata da un atleta sul corpo dell’avversario per cambiarne la posizione o lo stato di movimento, la forza misurata in Newton ha la possibilità di imporre uno spostamento.

L’effettivo spostamento del corpo dell’atleta e la grandezza della forza applicata caratterizzeranno il lavoro effettuato che a sua volta cambierà l’energia del sistema misurata in Joule.

E’ naturale che quando uno degli avversari utilizza una forza muscolare per scomporre l’equilibrio dell’altro e farlo cadere, l’altro reagisce utilizzando tutta la forza di cui dispone per stabilizzare la posizione del proprio corpo e, da parte sua, far perder l’equilibrio all’avversario.

Queste contrastanti forze (dei muscoli) che i lottatori dopo aver stabilito il contatto applicano sia in attacco che in difesa, si sommeranno vettorialmente riducendo di conseguenza l’entità dell’azione complessiva.

Per di più su un corpo in lotta, come d’altronde su ogni corpo fisico, oltre alle forze muscolari dell’avversario agiscono anche altre forze esterne in grado di comprometterne la sua posizione nello spazio. Una di queste forze esterne con le quali l’ambiente agisce sui corpi è la forza di gravità che determina anche il carattere dell’intera attività motoria umana agente sempre nel campo gravitazionale.

A causa di questa forza che ha un’azione continua nella vita quotidiana si possono realizzare oggetti inanimati in equilibrio solo se si realizzano con tre o più gambe: il tavolo a due gambe cade.

Il “sistema corpo umano” con il baricentro attorno all’ombelico e con i soli due appoggi delle gambe, rappresenta un sistema in equilibrio instabile che continuamente deve autoregolarsi attraverso movimenti compensatori indirizzati a impedire che il baricentro esca dai limiti della superficie d’appoggio.

In tale posizione infatti il corpo cadrebbe assecondando la gravità terrestre. Il cadere scaturisce ogni volta da nient’altro che dal perdere improvvisamente l’equilibrio toccando conseguentemente terra con una parte del corpo diversa dai piedi.

Malgrado ciò, c’è anche da dire, che il campo della forza di gravità in perpetuo funzionamento ha influenzato lo sviluppo strutturale e funzionale dell’organismo umano che, attraverso la sua capacità di adattamento alle caratteristiche fisiche dell’ambiente, ha sviluppato dei fondamentali organi dell’equilibrio quali ad esempio l’apparato vestibolare costituito da due parti: gli organi otolitici e i canali semicircolari.

Gli organi otolitici contengono recettori sensibili sia alla direzione della forza di gravità, e pertanto alla direzione dell’asse verticale, sia all’accelerazione lineare della testa. Mentre i canali semicircolari hanno recettori che captano i movimenti rotatori (accelerazioni angolari) della testa.

Altri fondamentali recettori sono quelli situati nelle articolazioni, che consentono di percepire la posizione relativa dei vari segmenti corporei, nonché i recettori muscolari e tendinei sensibili allo stato di contrazione o di tensione di muscoli e tendini. Le “informazioni sensitive” raccolte dagli organi e dai recettori sopradescritti saranno inviate al sistema nervoso centrale per l’esecuzione di una strategia motoria atta a recuperare l’equilibrio continuamente interrotto.

Ma nel momento in cui due lottatori si agganceranno l’uno con l’altro, i due corpi diventeranno un unico Sistema con le forze contrapposte su quattro appoggi (le 4 gambe) e quindi un sistema con caratteristiche analoghe a una struttura iperstatica, cioè molto stabile ai fini di un equilibrio statico.

Tuttavia nel successivo lavoro corpo a corpo tutti e due i lottatori cercheranno di imporre un cambiamento a questa posizione apparentemente statica, bloccata.

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Azione a 4 gambe MILANO Sumo Open 2017

Cosi ad esempio, nel Sumo il lottatore modulando la sua posizione, cambiando la direzione della spinta, cercherà di portare un’azione incisiva sull’avversario per farlo indietreggiare o farlo cadere, vincendo cosi l’incontro. Le azioni impiegate possono essere di spinta, di rotazione, di traino o di compressione. In ognuna di esse l’analisi del vettore di forza produrrà una risposta di spostamento misurabile.

Ma le caratteristiche dinamiche di queste azioni sopradescritte appartengono non solo ai movimenti che si osservano in due atleti impegnati in incontri di lotta, quando tra i due corpi sia stabilito un grande contatto. Perché il coordinamento del movimento di due corpi costituenti un sistema meccanico dove l’unità motoria dell’attaccante è strettamente legata a quella dell’avversario stimola il confronto con un aspetto del gioco che rappresenta, in qualche modo, la metafora e la sintesi di uno sport come il rugby: la mischia ordinata. Espressione concreta della forza, dell’organizzazione e dell’unione di una squadra.

In generale si può dire che dal punto di vista biomeccanico la mischia ordinata costituisce un insieme di coattivatori di forza che, opportunamente vincolati tra di loro, sono in grado di originare una azione meccanica di spinta attraverso i movimenti completamente coordinati di tutti e otto i giocatori partecipanti.

Una mischia ordinata cosi strutturata formerà funzionalmente un sistema meccanico analogo al corpo di un lottatore di Sumo che coordina con precisione tutte le parti del proprio corpo per spostare in avanti o atterrare lo sfidante.

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Palestra Liceo Leonardo, simulazione mischia prime linee

A tal proposito nell’organizzazione di spinta di una mischia ordinata, uno degli aspetti fondamentali è quello delle “legature” tra i giocatori partecipanti, piloni e tallonatore, seconde e terze linee, che dovranno risultare solide affinché le azioni di otto forze di spinta siano unite e coordinate con una precisione analoga a quella risultante da un solo corpo.

Solo cosi la squadra avversaria vedrà una testuggine compatta capace di esprimere un vettore di spinta efficace ed efficiente in relazione alle caratteristiche della forza prodotta (direzione, verso, punto di applicazione e intensità).

Da ciò si comprende che se l’assetto di spinta dei giocatori non è ottimale, essendo molto forte la correlazione tra intensità della spinta e relativi angoli alle articolazioni, sbagliare anche di pochi gradi l’angolo di direzione della spinta (non orientando in maniera precisa i segmenti corporei nello spazio) rischia di produrre una inefficace applicazione della forza ed un elevato dispendio energetico.

Tutto questo, con molta probabilità, condizionerà negativamente il rendimento dei giocatori che terminata la fase di mischia ordinata dovranno anche correre a placcare, a formare raggruppamenti, saltare in touche o proteggere i saltatori e, soprattutto nella fasi di gioco aperto chiudere gli spazi in cui può inserirsi un avversario.

Ne consegue la necessità di un training fondamentale, in sede allenamento o di preparazione di un incontro, per intervenire sulla struttura tecnico-fisica e atletica dei giocatori di un pacchetto di mischia al fine di realizzare una spinta globalmente efficace.

E proprio nella messa a punto di esercizi specifici un allenatore di rugby potrà essere aiutato da questa antica lotta giapponese a impostare vantaggiose strategie motorie, atte a migliorare le capacità dei propri atleti nelle azioni di spinta richieste dalle molteplici situazioni tattiche (contrasti nei raggruppamenti spontanei, nelle mischie ordinate ecc.). Come constatato da John Kirwan, nel ruolo di ex C.T. (ex Commissario Tecnico. dell’ItalRugby) nel periodo in cui era alla guida della nazionale di rugby giapponese.

http://www.sumo.it/2008/04/sumo-%26-rugby.html

(vedi nota 11 sotto)

Infatti, valutando le caratteristiche biomeccaniche delle azioni di lotta di un rikishi, dalla fase di posizionamento alla fase successiva di “attacco e scontro” comprendenti le tecniche relative al “prendersi e strattonarsi”, è possibile osservare una somiglianza con il comportamento cinematico del giocatore di rugby relativamente alle posizioni che questi assume nelle situazioni di “ingaggio rugbistico” per il raggiungimento della massima spinta.

https://www.onrugby.it/2013/06/17/la-mischia-gallese-va-in-giappone-per-imparare-dal-sumo/

(vedi nota 12 sotto)

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I rikishi di maggior livello del Sumo Giapponese si presentano per l’incontro in modo cerimoniale

Sia il rikishi che il rugbista nei movimenti di spinta contenuti principalmente sul piano sagittale adottano nella prevalente azione estensoria della muscolatura degli arti inferiori (caviglie, ginocchia, anche) analoghi angoli di spinta. Sia il rikishi che il rugbista devono garantire un efficace impegno della muscolatura del tronco che rappresenta, per entrambi, la fonte principale delle risorse meccaniche necessaria all’equilibrio del sistema “atleta in spinta”.

E pur non procedendo ulteriormente nella descrizione e valutazione delle forme analoghe di movimento presenti nelle discipline del sumo e del rugby, assolviamo al compito di questo sintetico lavoro di ricerca che vuole essere, dunque, quello di offrire criteri di carattere generale comuni da applicare alla metodologia di allenamento della forza degli atleti di queste due discipline messe a confronto. Proprio in questa prospettiva di studio degli effetti della forza nell’interazione reciproca di due o più corpi che si è svolta, nel corrente anno scolastico 2017-18, l’attività di sperimentazione didattica del liceo Leonardo da Vinci di Pescara che ha interessato gli studenti di alcune classi quinte ed i giocatori delle giovanili del Sambuceto Rugby e della Polisportiva Abruzzo Rugby di Chieti.

Poiché anche se è vero che sia il sumo che il rugby non possono essere consideratati sport basati esclusivamente sulla forza (ma anche sull’agilità, la coordinazione, la rapidità…), tuttavia c’è da dire che gli atleti di queste due discipline potranno esprimere le necessarie competenze motorie in maniera appropriata solo attraverso un lavoro muscolare in cui la forza rivesta un ruolo fondamentale.

Il rugbista e il rikischi, prima ancora di essere resistenti devono essere soprattutto forti se pensiamo anche al livello di stress cui è continuamente sottoposto il loro intero apparato muscolo-scheletrico.

In una partita di rugby i gesti che richiedono una espressione di forza sono inquantificabili: pensiamo alle tante accelerazioni effettuate dai giocatori in gran parte su distanze dai 4 ai 10 metri (più precisamente misure di 7+/-3 metri) in tempi che si aggirano da meno di un secondo a poco più di un secondo (misure di 1+/-0.3 secondi), le ripetute frenate con successivi e repentini cambi di direzione o di senso. Notevole poi è l’impegno tensivo muscolare nelle fasi di lotta per la conquista della palla nei raggruppamenti spontanei (maul e ruck) e nelle mischie ordinate.

Tutti queste azioni sono solo alcuni esempi della motricità specifica del rugbista che per essere realizzate a una certa intensità richiedono una componente di forza notevole.

Anche nel sumo, i lottatori devono essere soprattutto dotati di forza esplosiva e massimale. Al rikischi la forza esplosiva consente soprattutto di poter esprimere, partendo da una situazione iniziale di assoluta immobilità, una potenza devastante che potrebbe gia di per sé porre fine all’incontro in un secondo per atterramento dell’avversario. Nel caso ciò non avvenga, una volta esser “scattati” ed entrati in contatto, i due lottatori si troveranno impegnati nell’esecuzione delle varie mosse di traino, di spinta, unitamente a proiezioni e “prese con sollevamento” che richiederà al loro sistema loro neuromuscolare la capacità di esprimersi a livello di forza massimale per mezzo degli arti inferiori del tronco e delle braccia.

Filmato lotta silvio-alunno

Pertanto, tralasciando l’allenamento orientato allo sviluppo dell’aspetto metabolico (efficacia della potenza aerobica e anaerobica) che assicura un minore decremento di efficienza nella ripetizione di azioni motorie eseguite alla massima intensità, tratteremo solo alcuni aspetti rilevanti per l’allenamento della capacità di forza massima e delle diverse espressioni di forza necessarie al rikishi e al giocatore di rugby.

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Mischia del rugby le azioni di spinta

Continua nel prossimo articolo tratteremo :

Incremento della forza massima nei Rugbisti e nei lottatori di Sumo

Intanto vedete il prodotto della azione didattica su www.sumo.it il pigrecoday nel sumo

Ed www.youtube.com/watch?v=QtpXf_EIoqo

Ed www.youtube.com/watch?v=aFVNKCDHjQo

In cui i ragazzi legano sport c liberta’

Al prossimo articolo (continua nella parte cinque)

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Kirwan allena il Giappone col sumo

L’ex c.t. dell’Italia, il neozelandese John Kirwan, oggi alla guida del Giappone, ha iscritto 17 dei suoi giocatori di prima e seconda linea a una sessione di sumo di 90 minuti contro alcuni vecchie glorie della disciplina. “Ci sono molte cose da imparare – ha detto l’ex All Black – nella mischia potremmo utilizzare anche noi le loro tecniche, soprattutto la velocità”. I giocatori, in realtà, non sono apparsi del tutto entusiasti. “Questi sono enormi” il commento di Hitoshi Ono. Kirwan comunicherà a giorni la lista dei convocati per il primo Cinque Nazioni asiatico, al quale parteciperanno anche Corea del Sud, Kazakhistan, Hong Kong e una selezione dei Paesi del Golfo. Il torneo è previsto tra fine di aprile e maggio.

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Una vittoria e un clamoroso ko: il Galles torna dal Giappone con questo score. Certo i Dragoni erano privi dei tantissimi chiamati nei British & Irish Lions, ma a Tokyo e dintorni questo risultato se lo ricorderanno a lungo.
Ma durante la loro permanenza nel paese del Sol Levante alcuni giocatori della mischia gallese ne hanno approfittato per prendere alcune lezioni dai… lottatori di sumo! A farlo sapere è stato il pilone Rhys Gill che ha sottolineato le somiglianze tra l’ingaggio rugbistico e diverse fasi della lotta giapponese: “C’è la potenza nelle gambe ma anche molta tecnica – ha detto il giocatore al WalesOnLine – possiamo imparare molto da loro. Generalmente si pensa che non siano atleti veri e propri, ma si allenano tantissimo, sono delle macchine. Sono forti e incredibili”.

Continua

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