RICADUTE PSICOLOGICHE E SINTOMI EVIDENZIATI DALLA MANCANZA DI LAVORO, DAL PRECARIATO E DALLA PROBABILE PERDITA-DOTT.RE RICCARDO ROMANDINI
Redazione-Rispetto agli impiegati che mantengono ben saldo il proprio posto di lavoro, coloro che perdono l’impiego a causa della chiusura della propria azienda hanno una probabilità maggiore dell’83% di veder peggiorata la propria condizione di salute. La probabilità aumenta invece del 43% nel caso di licenziamento imposto dal datore di lavoro.
Numerosi studi condotti in passato hanno mostrato come l’avere un impiego rappresenti una condizione essenziale per il mantenimento del benessere fisico e psicologico. Perdere il lavoro comporta infatti, oltre al danno finanziario, la privazione di un proprio status sociale che contribuisce generalmente al mantenimento di una buona salute mentale.
In un articolo apparso di recente sulla rivista British Medical Journal, Danny Dorling della University of Sheffield, in Inghilterra, sottolinea come questa condizione sia particolarmente evidente nei giovani, i quali tendono ad accusare la perdita del lavoro in maniera più accentuata rispetto agli adulti, riportando maggiormente sintomi d’ansia o disturbi di natura depressiva. Ed è proprio sui giovani che, secondo l’autore, dovrebbero concentrarsi gli sforzi della società moderna in un periodo di forte crisi economica come quello attuale.
La condizione del disoccupato
Numerosi studi hanno messo in evidenza quanto l’esperienza della disoccupazione possa incidere sullo stato di salute psicofisica, aggravando stati patologici e favorendo l’insorgere di disturbi di vario tipo. Infatti, le conseguenze della disoccupazione sulla salute, che spaziano dal campo psico-sociale a quello delle dipendenze fino alle malattie cronico – degenerative, toccano sia il piano economico (reinserimento compromesso, aumento dei costi sociali, ecc.) sia quello sociale colpendo direttamente le persone che stanno attorno al disoccupato in particolare la famiglia. In questo caso p.es., i figli subiscono non solo le conseguenze legate all’abbassamento del livello di vita ma anche le ripercussioni a livello di rapporti familiari. Facendo una ricognizione delle soluzioni ipotizzate per arginare i danni causati dalla disoccupazione emergono gli sforzi volti al reinserimento professionale (riqualifica, tecniche di ricerca di impiego o programmi di orientamento), mentre pochissime sono oggi le altre soluzioni messe in opera mirate al sostegno del disoccupato in quanto “persona in un momento di crisi” (quindi mirate alla riduzione dei rischi con un approccio preventivo) e non solo come “lavoratore alla ricerca di un impiego”. Infatti, anche se oggi il disoccupato è una figura meno anomala rispetto agli anni passati, la perdita dello status di lavoratore comporta ancora conseguenze difficili per l’individuo, soprattutto a livello della sua identità. Questa perdita costituisce una minaccia per l’integrità dell’immagine di sé, poiché è attraverso questa condizione che l’identità di un individuo si costruisce, s’afferma e si mantiene. Privato del reddito e dell’identità di una professione, il disoccupato si sente in basso alla scala gerarchica sociale. Assumere il ruolo del “perdente” costretto a dipendere dagli altri domandando le indennità allo Stato e talvolta a subire, con sentimenti di vergogna, i sospetti altrui di oziosità, è umiliante e a volte intollerabile. Questa difficile situazione provoca un grande stress, spesso seguito e accompagnato da sintomi psichici, fisici e dall’adozione di comportamenti a rischio. Molte sono le persone che perdendo il lavoro assumono comportamenti a rischio: si constata soprattutto un aumento del consumo di tabacco e di alcol e si accentua l’uso di medicinali; in alcuni studi si è riscontrata una tendenza ad ingrassare presso gli uomini disoccupati. La situazione economica sempre più precaria, la vergogna di essere in disoccupazione, i sentimenti di inutilità e di colpevolezza provocano un isolamento sociale progressivo che può condurre anch’esso alla depressione e potrebbe essere anche fonte di comportamenti a rischio.
I giovani disoccupati costituiscono un gruppo particolarmente a rischio. La disoccupazione giovanile è infatti associata a maggiori sintomi riguardanti lo stato di salute (sintomi psicologici, psicosomatici e fisici), ad una diminuzione delle attività sociali, ad un tasso di suicidi elevato e ad un peggioramento dei comportamenti che possono influenzare lo stato di salute – aumento del consumo di tabacco e alcol, dell’uso di canapa indiana e del tasso di criminalità.
Anche le famiglie dei senza lavoro risentono di questa difficile situazione e presentano un rischio maggiore di malattie fisiche, stress psicologico e separazione. Sono proprio lo stress, l’ansia, la mancanza cronica di sonno, la paura del domani, che provocano spesso una forte aggressività che, gestita male, può generare conflitti coniugali e familiari.
Il ricorso alle cure è direttamente legato alla disponibilità finanziaria dell’individuo. Quando ad essere colpite dalla disoccupazione sono persone appartenenti alle classi più agiate, l’utilizzo dei servizi di cura, soprattutto dei servizi specializzati, aumenta. Al contrario, nelle classi meno favorite economicamente la disoccupazione ha come effetto la diminuzione del ricorso ai servizi sanitari e priva questa popolazione di un sostegno medico e psico-sociale adeguato contribuendo alla sua ulteriore marginalizzazione, e al rischio di propagazione di malattie ed epidemie.
Differenti reazioni
Le reazioni che si succedono nell’individuo all’evento “disoccupazione” sono di vario tipo. Non si osserva infatti un andamento lineare bensì un’evoluzione secondo il periodo in cui vengono osservati. Sono state descritte numerose fasi che possono essere riassunte in quello che viene chiamato “ciclo di adattamento”.
- la fase immediatamente successiva all’inizio della disoccupazione è caratterizzata da uno “shock” o da “immobilismo” durante la quale la persona è sopraffatta dall’evento;
- successivamente l’individuo cerca di “minimizzare” quanto avvenuto; si tratta di una fase chiamata “ottimistica”, accompagnata da sensazioni di “alleggerimento” per il fatto di non doversi recare quotidianamente al lavoro;
- dopo pochi mesi subentra però una fase “depressiva” (fase “pessimistica”) nella quale sono presenti anche sentimenti di “rabbia” e di “ribellione”, e che porta ad una perdita di autostima fino ad arrivare ad un esaurimento della capacità di reazione;
- segue una fase di “fatalismo” ed “apatia” nella quale prevale una reazione di “razionalizzazione” e di “adattamento” alla nuova realtà.
Esiste anche una fase “anticipatoria” nella quale i sintomi sono legati alla minaccia della disoccupazione.
I decorsi individuali possono variare rispetto a questo modello, che si rivela però utile per meglio comprendere i vissuti personali ed individuare reazioni chiaramente abnormi e fonti di ulteriori patologie.
Strategie di adattamento negative
1. I sensi di colpa come difesa nei confronti della propria impotenza Regolarmente si riscontra fra chi è disoccupato la ricerca del “perché” di questa situazione. Non è raro che la causa venga individuata nei comportamenti assunti o nei tratti di personalità: “Siccome non sono stato abbastanza gentile o non sono stato capace di adattarmi non mi hanno voluto”. In questo modo ci si attribuisce un’influenza su quanto avvenuto ben maggiore della realtà, reagendo al senso di impotenza di fronte a quanto sta avvenendo. Il rischio è la perdita dell’autostima e la vergogna.
2. Il “sabotaggio” preventivo come protezione dalla delusione Si ha a volte l’impressione che, dopo un lungo periodo di disoccupazione, la persona alla ricerca di un lavoro “provochi” il fallimento dei vari tentativi. Dopo aver inoltrato numerose richieste l’atteggiamento di fondo è quello di chi si dice “Non ha nessun senso, continuo a presentarmi per nuovi posti ma ad ogni modo mi rifiuteranno sempre.” E spesso queste profezie si confermano. In questo modo ci si protegge dalla delusione, dalla frustrazione di rifiuti ripetuti.
3. La negazione della realtà In queste situazioni la gravità della situazione è minimizzata, tutto sembra facile, e nulla è cambiato rispetto alla situazione di occupazione, anzi “si sta meglio!”.
A breve termine questa modalità di adattamento può essere positiva, ma con il passare del tempo impedisce di affrontare realisticamente i problemi e di adottare comportamenti e decisioni che il contesto richiede.
Altro elemento da considerare come possibile causa di stress è la precarietà del lavoro, determinata dall’incremento dei lavori atipici.
In tale contesto, caratterizzato dunque da un aumento dei fattori di rischio di tipo organizzativo ed emozionali, è evidente che gli effetti dello stress/strain sui diversi apparati dell’organismo (cardiovascolare, psichico, metabolico ecc.) rappresentano oggi una delle cause più importanti di malattia e d’assenza dal lavoro.
Tale situazione è aggravata in Europa anche dal fatto che la popolazione lavorativa ha una età media abbastanza alta (31% dei lavoratori ha più di 45 anni) e ciò non è un fattore favorente la capacità di adattamento alle mutate condizioni di lavoro o ai futuri ulteriori cambiamenti.
La condizione del precario
Il lavoratore precario vive in uno stato di precaria sudditanza rispetto al datore di lavoro. Ciò ha dei lati molto negativi a cominciare dalla enorme opportunità di sperimentare la sofferenza della mancanza di sicurezza più totale circa il proprio futuro, vivendo nella completa ignoranza di ciò che gli accadrà, dal punto di vista lavorativo di qui ad un anno. Il lavoratore precario non può nemmeno permettersi di riflettere sul futuro, perché ciò gli procurerebbe un senso di vertigine intollerabile, e questo in particolare lo proietta a conoscere e vivere solo il presente, vivendo di ogni attimo come se fosse l’ultimo della sua vita professionale nella azienda in cui lavora.
Egli sperimenta anche la rabbia, se non determinata dalla violenza psicologica quotidiana che subisce sul posto di lavoro, quantomeno perché a differenza di un qualsiasi altro lavoratore subordinato prende coscienza del fatto che paga annualmente allo Stato meta della propria retribuzione, in tasse e imposte previdenziali per le quali è ben consapevole che non otterrà mai nessun servizio in cambio.
Alcuni studi realizzati sui giovani precari mettono in rilievo che la condizione psicosociale vissuta possa agevolare il presentarsi di attacchi di panico, depressione, stati d’ansia generalizzata, associati a stress, disturbi cardio-circolatori, problemi nervosi (Studi Osha, Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro). In alcune circostanze sono stati rilevati casi di tossicodipendenza, alcolismo e comportamenti compulsivi.
La condizione di blocco della creatività e volontà espressiva dei giovani è in grado di determinare anche comportamenti auto aggressivi, spiegabili con un’impossibilità di dare sfogo alla propria energia vitale, condizione imprescindibile per la costruzione di una vita personale e professionale.
In relazione alla capacità di costruire e quindi di creare previsioni circa l’efficacia della propria azione, il costruttivismo psicologico fondato da G.A. Kelly, sottolineava come le attività dell’uomo siano controllate proprio dalla sua capacità di anticipare gli eventi e prevederne il risultato, in funzione del quale egli rielabora le proprie aspettative in un processo di crescita continua del proprio “sistema di costrutti” (dove costrutto sta, appunto, per previsione). Laddove l’invalidazione delle aspettative non sia una costante nella costruzione del sistema, quest’ultimo si arricchisce di nuove risorse e, attraverso di loro, cresce e si sviluppa determinando la conseguente attività dell’individuo.
Quando le invalidazioni delle proprie aspettative sono però frequenti e costanti, si innesca un meccanismo di difesa che, limitando l’azione dell’individuo, circoscrive le possibilità di nuove delusioni. L’imprevedibilità della vita cui sono soggetti i lavoratori precari rappresenta per quest’ultimi un ostacolo esistenziale che può “bloccarne” e limitarne l’azione.
“Si va rafforzando una sorta di mal di vivere perché l’incertezza del lavoro e la precarietà continua finiscono per far morire la speranza nel futuro, le nuove generazioni sono circondate da questo tipo di contesto lavorativo e senza dubbio sono più esposte al malessere
Ma oltre a ravvisare un legame tra i nuovi pericoli per i lavoratori (soprattutto lo stress e le conseguenti malattie psicosomatiche) e i nuovi equilibri economici e organizzativi, nella ricerca viene riscontrato anche un collegamento tra la maggiore competitività sul luogo di lavoro e gli episodi di bullismo e molestie; infine la sottolineatura di un altro aspetto: la connessione tra lo scarso equilibrio della vita professionale e quello della vita privata e famigliare.
Situazioni che fanno del lavoratore precario un soggetto a rischio e concorrono ad aumentare i danni alla salute derivanti dal lavoro. Sintomi che spingono gli operatori del settore, come l’Agenzia europea, a ribadire la necessità di trovare presto soluzioni e terapie: un maggiore controllo degli ambienti di lavoro e un incremento reale di garanzie e tutele. In altre parole: nuove, differenti politiche per un lavoro diverso, stabile e sicuro.
Il licenziamento nuoce anche ai «superstiti»
La doppia faccia della crisi economica: è dura per chi viene licenziato, ma anche per chi resta le cose non vanno molto meglio. Colpa dei turni, che rischiano di moltiplicarsi, come il carico di lavoro. Ma non solo. Licenziare fa male anche all`azienda. In seguito al ridimensionamento del personale, infatti, si assiste a un doppio contraccolpo: scende la motivazione e di pari passo scende anche la produttività. Lo sostiene una ricerca condotta da David Edwards, manager strategico della Drake International – un`azienda di consulenza nel campo delle risorse umane -, secondo cui la riduzione del personale demotiva i lavoratori e determina un calo del rendimento aziendale.
Il 40% è demotivato – Lo studio ha coinvolto 6300 dirigenti di imprese che avevano sperimentato una riduzione del personale. Dai loro resoconti, è emerso che il 40% dei dipendenti si sentiva demotivato, mentre gli stessi datori di lavoro, dopo i licenziamenti, ritenevano di non essere stati in grado di gestire correttamente la crisi. La riduzione dell`organico, spiega Edwards, avrebbe dovuto rappresentare, nelle intenzioni, un rimedio per uscire dalla crisi economica migliorando la produttività e riducendo inefficienze e costi. L`analisi finale diceva tutt`altro. È emerso infatti che solo il 21% delle imprese aveva registrato un aumento della produttività, mentre per il restante 79% la crescita risultava stagnante.
Tagli frettolosi – Non è tutto. Il sondaggio rivela che, in molti casi, i dirigenti avevano affrontato i tagli al personale senza un`adeguata pianificazione e nel giro di sei mesi per il 45% dei posti “soppressi” è stato necessario ricorrere a nuove assunzioni. Anche se con ritardo, spiega l`autore dello studio, ci si accorgeva che la motivazione del personale e la produttività sono strettamente legate.
L`ambiente psicologico – Secondo Edwards, tra le cause principale della perdita di redditività c`è anche una inadeguata riqualificazione. Dopo la ristrutturazione aziendale, solo il 14% dei dipendenti frequenta un corso di formazione, mentre la ricetta adottata per colmare i vuoti e fronteggiare la crisi dai più rischia di non essere all`altezza: chiedere agli impiegati di lavorare di più, contrariamente a quanto ritengono molti dirigenti, il personale non licenziato, lavorando sotto la minaccia di nuovi esuberi, tende a scoraggiarsi anzichè sentirsi stimolato a produrre di più.
A farne le spese è il clima di fiducia. Il risultato di questa strategia si è trasformato in un calo della produttività, in un minor rispetto nei confronti dei dirigenti da parte del 41% del personale, e, infine, in un inferiore attaccamento all`azienda: il 46% dei lavoratori si è mostrato poco propenso a consigliare l`impresa dove lavorava a chi era in cerca di un impiego.
I determinanti della salute
Fattori che intervengono nella determinazione dello stato di salute:
- Gradiente sociale
- Stress
- Inizi della vita
- Esclusione sociale
- Lavoro
- Disoccupazione
- Sostegno sociale
- Dipendenze
- Cibo
- Trasporti
1) gradiente sociale
La speranza di vita è più breve e la maggior parte delle malattie sono più frequenti ai livelli più bassi della scala sociale di ogni società .
Le persone che si trovano negli strati inferiori della piramide sociale sono soggetti ad un rischio almeno doppio di essere colpiti da malattie e morte prematura rispetto a chi si trova vicino al vertice. Gli svantaggi assumono forme diverse: mancanza di risorse famigliari, istruzione carente, lavoro precario, svolgimento per lungo tempo di una attività lavorativa rischiosa o senza prospettiva di realizzazione e carriera, abitazione disagiata.
La vita si sviluppa attraverso tappe di cambiamento soggette a stress:
- Cambiamenti emozionali e materiali nella prima infanzia
- Passaggi fra gradi di istruzione diversi
- Ingresso nel mondo del lavoro
- Abbandono della famiglia d’origine
- Cambiamento di lavoro
- Pensionamento
Lo stress di ognuna di queste tappe è maggiore per chi è socialmente disagiato.
La buona salute implica:
- La riduzione dei livelli di fallimento scolastico
- La diminuzione del lavoro precario e della disoccupazione
- Il miglioramento degli standard abitativi.
2) stress
Le condizioni di stress ( preoccupazione, ansia, incapacità di reazione) sono dannose per la salute e possono portare a morte prematura.
I rischi psicosociali legati allo stress si esprimono con:
- Stati continuativi di ansia
- Insicurezza
- Bassa autostima
- Isolamento sociale
- Mancanza di controllo sul proprio lavoro
- Mancanza di controllo sulla vita privata.
Per quale regioni i fattori psicosociali influenzano la salute fisica? Nelle situazioni di emergenza gli ormoni e il sistema nervoso si preparano ad affrontare una incombente minaccia fisica attivando il meccanismo di risposta “combatti o fuggi”: l’attivazione di risposte allo stress toglie energia e risorse ai numerosi processi fisiologici utili al mantenimento della salute. Ciò interferisce sia sul sistema cardiovascolare che su quello immunitario.
Essere sottoposti a stress per lungo tempo incrementa la vulnerabilità nei confronti di molte infezioni, del diabete, dell’ipertensione, delle patologie cardiovascolari, dell’ictus, dei disturbi umorali depressivi e aggressivi.
3) gli inizi della vita
- Un buon inizio di vita significa sostegno alle madri e ai bambini: l’impatto sulla salute dello sviluppo e dell’educazione dei primi momenti durano per tutta la vita.
- Esperienze precoci negative e rallentamento della crescita influenzano lo stato di salute portando una riduzione del desiderio di imparare, demotivazione, comportamenti problematici, rischio di marginalizzazione.
- Abitudini associali alla buona salute, come l’alimentazione consapevole, l’attività fisica e il non fumare sono associate agli esempi avuti in famiglia, dal gruppo dei pari nonché da una buona istruzione.
- I rischi corsi dai bambini nel corso dello sviluppo sono significativamente maggiori per chi si trova in condizioni socioeconomiche critiche e possono essere ridotti mediante il miglioramento della prevenzione prima , durante e dopo la gravidanza
4) l’esclusione sociale
- La durata della vita è breve dove la qualità è scadente. Povertà , esclusione sociale e discriminazione causando privazione e risentimento provocano un costo di vite umane.
- Esiste una povertà assoluta quando non hanno le risorse elementari per vivere.
- Esiste una povertà relativa quando si è più poveri della maggior parte della popolazione e non si dispone di una abitazione dignitosa, dell’istruzione, dell’accesso ai mezzi di trasporti necessari per una completa partecipazione sociale.
- Essere esclusi dalla vita sociale ed essere trattati come inferiori è causa di peggior salute e di maggior rischio di morte prematura.
- L’esclusione sociale è anche l’esito di razzismo, discriminazione, stigmatizzazione, ostilità, disoccupazione.
- La povertà e l’esclusione sociale aumentano il rischio di divorzio e separazioni, di disabilità, malattia, dipendenza e isolamento sociale.
5) il lavoro
- lo stress sul posto di lavoro aumenta il rischio di sviluppare malattie. Le persone che hanno un maggior controllo sul proprio lavoro godono di un migliore stato di salute.
- Avere scarso controllo sul proprio lavoro è una caratteristica fortemente correlata con l’aumento di dolore alla parte inferiore della schiena, alle assenze per malattia e alle malattie cardiovascolari.
- Il rischio cardiovascolare è associato soprattutto alla ricezione di compensi inadeguati (in forma di denaro, status e autostima)
6) la disoccupazione
- La sicurezza del lavoro favorisce la salute, il benessere e la soddisfazione per il lavoro stesso. Più i tassi di disoccupazione sono alti , più sono causa di malattia e morte prematura.
- Gli effetti della disoccupazione sulla salute sono legati sia alle sue ricadute psicologiche, sia ai problemi finanziari che essa comporta.
- La mancanza di sicurezza del lavoro causa ansia, depressione, aumento dei rischio di malattie cardiovascolari.
7) il sostegno sociale
- Amicizia, buone relazioni sociali e forti reti di sostegno migliorano la salute in casa, al lavoro e nella comunità.
- Il sostegno sociale contribuisce a fornire alle persone le risorse pratiche ed emozionali di cui hanno bisogno.
- L’appartenenza a una rete sociale di comunicazione e di obblighi reciproci fa sì che ci si senta considerati, amati, stimati e apprezzati.
- Le società con elevati livelli di disparità di reddito tendono ad avere minore coesione sociale e tassi più alti di criminalità violenta.
8) le dipendenze
- Il contesto sociale è influenzato dall’uso individuale di sostanze psicoattive.
- Il consumo di droghe è una reazione al disagio sociale e,allo stesso tempo, un importante fattore che aggrava le conseguenti disparità sul piano della salute.
- Per esempio: ci sono persone che ricorrono all’alcol per anestetizzare le sofferenze di una condizione sociale ed economica difficile e, a sua volta, la dipendenza da alcol conduce a una mobilità sociale verso il basso.
- Lo stesso vale per il tabacco. Il disagio sociale è associato a elevati tassi di tabagismo e scarsissimi successi nella disassuefazione.
- Il fumo è una delle maggiori voci di spesa nel bilancio dei ceti poveri ed è una fra le cause fondamentali di malattia e morte precoce. La nicotina non offre né un reale sollievo dallo stress, né un miglioramento dell’umore.
- Il consumo di alcol, tabacco e altre droghe è incoraggiato da grandi multinazionali e dal crimine organizzato con un marketing e una attività promozionale aggressive.
9) il cibo
Una buona dieta e un adeguato apporto alimentare sono essenziali per promuovere la salute e il Benessere. La scarsità e la mancanza di varietà del cibo causano malattie da malnutrizione e da carenze. L’alimentazione eccessiva contribuisce all’insorgenza di malattie cardiovascolari, diabete, cancro, malattie degenerative dell’occhio, obesità, carie dentali.
Le condizioni sociali ed economiche determinano, nella qualità della dieta, un gradiente sociale che contribuisce alle disuguaglianze nel campo della salute. A questo riguardo, la disparità maggiore tra le classi sociali riguarda l’origine degli alimenti. In molti paesi, i ceti poveri tendono a sostituire gli alimenti freschi con quelli lavorati, meno cari. Cibi a elevato contenuto di grassi sono frequenti nella dieta di tutti i gruppi sociali. Le persone a basso reddito , come le giovani coppie, gli anziani e i disoccupati trovano più difficoltà a nutrirsi bene.
Gli obiettivi dietetici per la prevenzione delle malattie croniche sono i seguenti:
- Aumento del consumo di frutta e verdura
- Aumento del consumo dei legumi
- Aumento del consumo degli amidacei poco lavorati
- Diminuzione del consumo di grassi animali
- Diminuzione del consumo di zuccheri raffinati
- Diminuzione del consumo di sale
10) i trasporti
Trasporto salubre significa spostarsi di meno in automobile e di più a piedi e in bicicletta, sostenuti da un miglioramento del trasporto pubblico.
Camminare, andare in bicicletta e usare mezzi pubblici promuovono la salute perché:
- Facilitano il moto
- Diminuiscono gli incidenti stradali
- Aumentano i contatti sociali
- Riducono l’inquinamento dell’aria
Il regolare esercizio fisico protegge dalle malattie cardiache e riduce l’insorgenza del diabete.
Cosa vive una persona che si trova
a dover affrontare una situazione d’emergenza
POSSIBILI REAZIONI EMOTIVE
- Angoscia e paura
che un evento simile si ripeta a se stessi o ai propri cari
di essere abbandonati e di trovarsi soli
- Tristezza e nostalgia
per le persone perse
per tutte le cose materiali perse
- Senso di colpa e vergogna
per essersi trovati in una situazione di abbandono e aver avuto bisogno di aiuto
per non aver fatto delle cose che si sarebbero volute fare
- Rabbia e collera
per l’ingiustizia di quello che è accaduto
e dell’impossibilità di non avere potuto fare nulla (senso d’impotenza)
- Oscillazione tra speranza e disperazione
Per il proprio avvenire e i propri progetti futuri
POSSIBILI REAZIONI FISICHE
- senso di affaticamento, stanchezza
- calo dell’appetito
- disturbi somatici: mal di stomaco, nausea, dissenteria, mal di testa, tensioni muscolari
- iperattivazione: momenti in cui il battito del cuore è accelerato, respiro corto o affannoso, sensazione che stia mancando l’aria, sudorazione, tremore
- disturbi del sonno: difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno durante la notte
- reazioni di trasalimento, risposte di paura elevata in situazioni non pericolose (sirena delle ambulanze,il treno che sta passando, il telefono che squilla, ecc.)
- nodo alla gola
- calo della concentrazione e/o della memoria
POSSIBILI CAMBIAMENTI NELLE RELAZIONI FAMILIARI E SOCIALI
- chiusura e ritiro sociale: voglia di isolarsi, di non parlare, di non incontrare persone
- irritabilità: sentirsi più nervosi, arrabbiarsi facilmente, sopportare poco le persone vicine
tensioni e conflitti nelle relazioni esistenti