“NE’ ALTRA NE’ QUESTA: LA SFIDA AL LABIRINTO” ALLA 58^ BIENNALE DI VENEZIA – PADIGLIONE ITALIA -DOTT.SSA DIANA DELALLE
Redazione- Il labirinto, spazio enigmatico, dove perdersi è facile, dove dominano l’incertezza e la precarietà delle scelte, da cui si può uscire da un’unica via possibile, se già la si conosce o se ci si arriva con le proprie risorse, è la metafora del viaggio della nostra vita, delle scelte rischiose che essa implica, delle conseguenze imprevedibili e qualche vota persino letali.
Ma perché “Né altra né questa: la sfida al labirinto”, che è l’installazione che ha rappresentato l’Italia nell’omonimo Padiglione dell’Arsenale alla 58^ Biennale d’Arte di Venezia, ormai prossima alla conclusione, è una sfida al labirinto dell’immaginario culturale? Perché, al contrario, la rappresentazione artistica voluta dal suo curatore Milovan Farronato prende in considerazione ogni alternativa possibile, più punti di vista e più prospettive rispetto alle stesse opere presentate, proprio come già proponeva nel suo saggio del 1962 Italo Calvino, in cui, per la letteratura, teorizzava la necessità di usare tutti i linguaggi possibili.
Per cominciare, il filo conduttore del percorso, senza un vero inizio né una fine, è lasciato al visitatore, il quale può scegliere se entrare dal lato destro o da quello sinistro, che dovrebbe, secondo Farronato, perdere il senso del tempo di fronte alle opere presenti in uno spazio che é sia fisico che semantico, a cui ciascuno può attribuire la propria chiave di lettura senza condizionamenti. Liberi di muoversi, di interrogarsi, di creare collegamenti, di interpretare, di trovare un senso e persino di non trovarlo.
I tre artisti, le cui opere esposte, siano esse inedite o storiche, dialogano o si sovrappongono all’allestimento, sono molto diversi tra loro: Enrico David (Ancona 1966), Liliana Moro (Milano 1961) e Chiara Fumai recentemente scomparsa (Roma 1978 – Bari 2017). Essi rappresentano la tensione verso l’armonia che si dovrebbe cercare nella diversità delle loro opere e dei loro talenti artistici, ma universalmente, si intuisce, tra gli esseri viventi e il mondo che li circonda.
Enrico David (Sole24Ore del 10/5/2019) dice di “lasciare delle posizioni aperte rispetto a quello che trova dietro l’angolo, sia per i lavori, sia per noi stessi…di esercitarsi a tenere insieme delle cose, di creare anche un’armonia tra cose che non conosce”.
Alcune opere pertanto sono percepite come sparse o dimenticate dietro a tende o anfratti o porte che sbarrano il percorso. Le installazioni antropomorfe di David si richiamano e si riconoscono per l’audacia grottesca delle figure che si collocano in più spazi, al contrario si percepiscono indipendenti da un filo conduttore le opere di Liliana Moro, mentre quelle di Chiara Fumai evocano ormai in più punti l’opera della sua vita tormentata “This Last Line Cannot be Translated”.
Molti visitatori sono rimasti smarriti di fronte al percorso privo di linearità, ai dubbi suscitati da opere così eterogenee tanto da non capirne il senso. E’ proprio la complessità della conoscenza, però, che il curatore e gli artisti hanno cercato di rappresentare con il loro intrico di linee, forme e tecniche, cioè l’impossibilità di ridurre la conoscenza a un insieme di traiettorie prevedibili. Non c’è solo il cielo o la terra, il buio o la luce, l’apertura o la chiusura, ci sono tante possibili soluzioni e ciascun individuo può trovarne transitoriamente una valida, usando come filo conduttore, per uscire dal labirinto, la ricerca di un sapere umano che non tralasci nulla e nessuno, che voglia tendere all’armonia delle diversità.
“Né altra né questa” richiama a una terza via, a un’altra possibilità.