MODELLI DI RESIDENZIALITA’ RIABILITATIVA: “ABITARE PER LA CURA”-DOTT.SSA ANTONELLA FORTUNA
Redazione-Il termine istituzionalizzazione fu coniato da Barton nel 1959 per descrivere quelle persone che erano così “dentro” la vita quotidiana nelle istituzioni da non poter prendersi cura di se stessi una volta fuori da esse o, a un livello più profondo, erano incapaci di pensare o vivere autonomamente al di fuori della cornice istituzionale che era stata fornita loro
Goffman poi nel 1961 descriverà e renderà “famose” le “istituzioni totali” e i loro meccanismi istituzionalizzanti
Tra il 1950 e 1960 la convinzione che il trattamento richiedesse solo una breve permanenza dentro un’istituzione fu portata avanti sia da clinici che da politici in diversi paesi europei
La lotta contro i vecchi ospedali psichiatrici considerati “ambienti antiterapeutici” fu condotta inizialmente su basi potremmo dire “naive” cioè modificando le strutture:
Se il problema era la grandezza si fecero strutture piccole
Se erano lontane dal contesto di vita, furono costruite dentro le città
Se erano “istituzioni totali” perché accoglievano notte e giorno, furono favoriti i Centri Diurni
La prima risposta in termini operativi alla diffusione delle critiche verso le istituzioni e il processo di istituzionalizzazione fu quello operato dalle Comunità che si proposero di promuovere l’esplorazione dell’individualità contro l’uniformità prodotta dalle grandi istituzioni manicomiali.
Le Comunità nacquero quindi come alternativa ai vecchi Ospedali Psichiatrici (dentro gli ospedali) con la finalità di costruire un ambiente in grado di rispettare e supportare le esperienze della persona come individuo
Programmi ambulatoriali
Trattamenti clinici, Psicoterapia individuale e di gruppo
Counselling familiare
Programmi domiciliari intensivi
Assertive outreach
Programmi semiresidenziali
Attività diurne lavorative, occupazionali, ludiche e di socializzazione
Attività scolastiche e di formazione professionale
Programmi residenziali
Istituzionali (casa di cura, lungoassistenza, etc…)
Programma intensivo di comunità (RICT)
Programmi estensivi e di mantenimento (CTR, CSR, CA, etc..)
Halfway house, Appartamenti protetti
Setting di intervento | Finalità | Strumenti terapeutici | |
CSM | comunità | prevenzione, diagnosi e cura, gestione progetto terapeutico, riabilitazione diffusa territoriale | ambulatorio, interventi domiciliari, farmaci, psicoterapia, strum. sociali, psicoeducazione |
SPDC | ospedale | diagnosi e cura, emergenza, contenimento biologico e comport. breve | ricovero, farmaci, consulting |
CD | comunità | cura semiresidenziale, riabilitazione, terapia occup. | laboratori, cooperative, psicoeducazione |
CdC | clinica | trattamenti acuti, subacuti e postacuti volontari, breve o medio degenza (10-90 gg) | ricovero, farmaci, assistenza |
SRTR | comunità | cura e riabilitazione int. (pz acuti, subacuti 60 gg) o est. (pz postacuti- 90-730 gg) | residenzialità, psicoter., regole com., gruppo, responsabilità, farmaci |
SRSR | comunità | Riabilitazione est. (pz cronici 730 gg ca.) | residenzialità, regole com., gruppo, responsabilità, farmaci |
Finalità | Attività percepita | Aspettative Società | |
CSM | diagnosi e cura, gestione progetto terapeutico | ambulatorio, interv. domiciliari in urgenza | Indefinite |
SPDC | emergenza, contenimento biologico e comport. Breve | clinico-farmacologica | Custodia |
CD | cura semiresidenziale, riabilitazione, terapia occup. | Trattamento, intrattenimento-trattenimento | Custodia |
CdC | Tratt. subacuti e postacuti vol. breve o medio deg. (10-90 gg) | trattamento medio- lungodegenza | Custodia |
SRTR | riabilitazione est. (pz postacuti- 365-730 gg) | trattamento lungodegenza situazioni gravi | Custodia |
SRSR | Riabilitazione est. (pz cronici >730 gg ca.) | Trattamento lungodegenza situaz. croniche | Custodia |
La metodologia, gli strumenti e gli esiti dei percorsi clinici residenziali in comunità terapeutica vengono descritti spesso in maniera aneddotica o confusa.
Per tale motivo non si valorizza l’elemento fondante del setting residenziale comunitario che è l’integrazione di interventi clinici biologici, psicologici e sociali “in vivo”.
Le comunità terapeutiche sono state definite come “luoghi di sperimentazione sociale”, cioè luoghi dove si costruiscono rapporti e dove, tramite questi rapporti, si delineano i percorsi di cura.
Due pilastri: l’idea che la persona conservi comunque una sua parte sana con cui combatte la malattia e l’idea che il problema della persona non è un problema individuale ma del gruppo e nel gruppo va risolto.
La comunità terapeutica, nella sua forma idealtipica, e cioè come un insieme di persone che collaborano attivamente alla propria cura, deve essere considerata oggi un modello consolidato sia dal punto di vista metodologico sia da quello organizzativo, pur nella diversità delle rispettive tradizioni.
Il contesto terapeutico residenziale comunitario rappresenta quel micro-cosmo sociale nel quale si effettua l’incontro funzionale tra interventi biologici, psicologici e sociali che agiscono sulle determinanti e sulle conseguenze (anch’esse biologiche, psicologiche e sociali) dei disturbi psichici.
E perché il luogo di cura implichi un abitare, e non una stabilità stanziale e parassitaria è necessario che esso sia attraversato dalla dimensione del transito: il transito è ciò che pone i luoghi in rapporto tra loro, ma anche li fa esistere, come luoghi da attraversare per andare da qualche parte, ed insieme come luoghi di sosta, di riposo, di gestione di problematiche complesse, ma non di impaludamento, né certo di permanenza indeterminata.
In tal senso la struttura dovra’ essere:
La comunità come base sicura
La comunità come contesto di regolazione delle emozioni e dei comportamenti
La comunità come spazio di integrazione dei meccanismi scissionali