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MARIA TEDESCHI(1890-1975), UN’ESISTENZA SPESA NEL DARE AMORE, SOLTANTO E SOLO AMORE

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Redazione-Nei grandi poemi della storia dell’umanità, la guerra è la lotta che si combatte tra le forze del bene e quelle del male per ristabilire la pace e l’armonia spirituale ed è l’allegoria dello scontro di ogni uomo con se stesso.  La  guerra  è  un’intima  sfida  che  si  sviluppa  interiormente  con l’elevazione progressiva delle proprie aspirazioni e dei propri desideri ed è una battaglia serrata che l’uomo conduce quotidianamente.

Il senso di ogni conflitto sta anche nel fermarsi ad ascoltare chiunque abbia delle storie da raccontare come quella, avvincente, di una piccola grande donna, con un grande cuore, Maria Tedeschi, nonna di Basilici Carmelina, anche lei intraprendente donna e nonna, che, con piacere, mi ha voluto donare ciò che è parte integrante dei suoi ricordi. Questa lunga vicenda ha sicuramente cambiato chi l’ha vissuta di persona o solo conosciuta ed ha cambiato anche me, che sono sempre alla ricerca di grandi emozioni. Coi pensieri sono andata lontano, confinandomi proprio a ridosso della prima guerra mondiale, quando la giovane Maria rimase vedova, alla morte del marito, con quattro figli da accudire. Il coniuge, Marchetti Lauro, risultò di- sperso in guerra e il corpo non fu più ritrovato. I piccoli avevano il nome di Aurelia, che significa splendente di nobiltà, di sette anni, mamma di chi mi ha ispirato l’epilogo narrativo, Italo di cinque anni, Belgio, che deriva dal celtico belo, che significa luminoso, di due anni e mezzo e Orlando di pochi mesi. A ventinove anni si trovò a tirare avanti la famiglia da sola, dovendo affrontare tanti momenti difficili, a fatica.

Quando decise di recarsi a Roma, per avere notizie più dettagliate sul- la morte del suo consorte, non solo non ottenne granché, ma si rese conto, con rammarico, che tra l’elenco dei caduti il nome di suo marito era scritto male, quasi anonimo. Concluse che la cosa importante era che egli fosse ben impresso nei suoi ricordi. Non si perse d’animo, sperando nel buon Dio, in cui mai smise di confidare, tenne con sé il figlio più piccolo, mentre si appoggiò ai suoi genitori per la figlia più grande e mise, momentaneamente, Italo e Belgio in un orfanotrofio nei pressi di Corridonia, luogo natìo. Per riuscire a stare quotidianamente con i figli, il suo istinto di mamma la portò ad ottenere, in qualche modo, di entrare a lavorare nell’istituto come lavan- daia. La madre, infatti, risulta essere la migliore educatrice e tutto questo, già da allora, ci indica come gli operatori potessero prendere la madre come modello e gli orfanotrofi dovessero conformarsi all’educazione familiare.

Lei stessa, entusiasta, riferì come riuscisse a riguadagnare gradualmente la fi- ducia nella vita grazie all’affetto dei suoi figli e dei poveri orfani, offrendo la sua amorevole presenza materna, ricreando, pertanto, attorno a loro, quell’ambiente confortevole che avevano prematuramente perduto. Maria, dunque, era una mamma a 360° e si prodigava anche con gli altri bambini: lei, che stava allattando il figlio più piccolo, non esitò un solo istante ad allattarne un altro, quando ce ne fu la possibilità. Il piccino aveva perso la mamma men- tre lo stava dando alla luce e la nonna e il padre confidarono in lei. L’angelo crebbe tra le sue braccia e la sua tenerezza e quando, una volta terminato il periodo di svezzamento, il padre tornò a riprenderlo, a lei dispiacque tanto, ma sapeva, in cuor suo, che sempre lo avrebbe avuto vivo nella memoria.

All’improvviso, come se non bastasse la tragicità della guerra, s’insinuò una malattia contagiosa e letale: la crup. La crup è una forma gra- ve della difterite nella quale le false membrane si depositano nella laringe provocando asfissia. Tipica è la progressiva difficoltà della respirazione, che diviene rumorosa con rientramento del giugulo e della fossetta epigastrica. Ancora oggi la prognosi della crup è sempre riservata e all’epoca fece strage di moltissimi bambini, compreso il suo ultimogenito e quel povero innocen- te che aveva allevato con cura. Due angeli, nell’alto dei cieli, ad accogliere i nostri canti e le nostre preghiere. La grande guerra era ormai finita e l’olmo vicino casa faceva quasi presagire momenti di quiete e tranquillità interiore. Intanto due dei suoi figli si sposarono, Amelia, la più grande, si trasferì a Civitanova e Italo si sposò a Taranto. Rimase con lei Belgio, bello, giovane, alto, gentile e audace come un soldato della marina, quale era, ma in perico- lo, con l’avvicendarsi della seconda guerra mondiale.

Maria Tedeschi intraprese tante altre opere di bene, per amore, soltan- to per amore, anche durante il secondo conflitto mondiale, perché lei non è solo una donna del passato, ma è una realtà che riguarda tutti correntemente e ci indica il cammino da fare in avvenire. Fu infatti che, sul finire dell’ultimo conflitto, i tedeschi, durante un’incursione a Civitanova, dove nel frattempo si era trasferita, passarono a setaccio tutto il paese alla ricerca dei partigiani. Fu la volta della casa della sorella, che era proprio adiacente alla sua, e ne uscirono subito dopo, insoddisfatti di non aver trovato nulla. Poi si avvicinarono alla sua e, tra le donne, si fece silenzio. Guardarono da- vanti alla finestra aperta della casa e uno di loro, curioso, stava per entrare, ma l’altro ufficiale lo riprese dicendo di passare oltre perché c’era solo una povera vecchia che stava rammendando qualcosa. La nonna era di spalle e faceva finta di niente anche se, effettivamente, aveva il cuore in gola. I soldati, convinti dalla sua performance, si allontanarono e lei continuò il suo ben da fare. Sotto di lei, fin nella stalla, appositamente incustodita, c’erano nascoste le armi dei partigiani; per qualche giorno tutto tacque, poi ci fu la

ritirata dei tedeschi e le cose cambiarono. I partigiani ritornarono alle loro ca- se e si invertirono i ruoli: ora erano loro che andavano a cercare gli avversari. Fu così che la buona donna, questa volta, si prodigò per aiutare una lontana parente, figlia di fascisti, che le chiese di andare a casa sua, per un po’ di tem- po, perché era sola con due bambini piccoli. I partigiani incorsero, ma trova- rono Maria con i due bambini in lacrime, la mamma era riuscita a calarsi con una fune per le mura di cinta del paese e non riuscirono a trovarla. Il resto è la cronaca del dopoguerra, della lenta ripresa, anche se le vennero a mancare suo figlio Belgio, morto alla Maddalena quando la sua nave venne silurata e af- fondata, suo fratello Giovanni Tedeschi, suo nipote Marchetti Orlando e l’ultimo figlio maschio, Italo, perito tecnico industriale, a quarantasette anni stroncato da una peritonite. Nessuno potrà dimenticare Maria, la grazia e l’affidabilità, la sua umiltà, la raffinatezza della sua ospitalità, l’orgoglio di essere madre, donna, nonna. Le due guerre, il dolore, la morte, sembravano averla debellata, ma il male, che non conosce sentimenti, non l’ha vinta; tutto appare solo come

un sogno interrotto nell’attesa del suo divenire.

Racconto Storico della Sig.ra Basilici Carmelina. Sviluppo narrativo a cura della Dott ssa Monia Ciminari.

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