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LA PANDEMIA, IL RAZZISMO LA GUERRA E IL PENSIERO COMPLESSO

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«Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti.
Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.»
(Primo articolo della Dichiarazione universale dei diritti umani.)

Redazione- Nella conoscenza scientifica del più recente passato ha regnato il principio  del calcolo, della separazione e della riduzione, come se la conoscenza del tutto fosse la conoscenza additiva dei suoi elementi.

Il filosofo Heidegger combatte “l’essenza divoratrice del calcolo” poiché, a suo avviso, il calcolo “frantuma gli esseri”.

Nel nostro tempo, come ci indica Pascal, si tende ad ammettere sempre di più che la conoscenza del tutto dipende dalla conoscenza delle parti, così come la conoscenza delle parti dipende dalla conoscenza del tutto.

Oggi c’è dunque bisogno del pensiero complesso, piuttosto che del pensiero riduttivo e/o disgiuntivo. Il termine “complesso” deriva dal latino complexus, ovvero ciò che è tessuto insieme. E l’Umanità è tessuta insieme. L’Umanità è un Insieme.

Se vuole sopravvivere, l’Umanità deve maturare la consapevolezza di un’unità di destino, in quanto siamo tutti sottomessi alle stesse minacce mortali; deve concepirsi come equipaggio di una stessa navicella, la Terra, che naviga sola nel Cosmo. In quella navicella vi sono bianchi, neri, gialli e rossi.

L’esperienza ci insegna che una ciurma litigiosa e insofferente porta fatalmente a una sedizione e al conseguente naufragio. Malgrado ciò facciamo scoppiare ovunque nuovi focolai di guerra, determiniamo scientemente disuguaglianze, prodromiche di conflitti sociali!

Dunque l’esperienza, la Storia non insegnano! L’uomo è un cattivo scolaro.

La speranza non deve tuttavia abbandonarci e occorre scommettere ancora. La scommessa è l’integrazione dell’incertezza nella fede e nella speranza. Kant sosteneva che “i lumi dipendono dall’educazione e l’educazione dai lumi”.

Oggi occorre pensare bene. Sforzarsi di PENSARE BENE significa praticare un pensiero che cerchi senza sosta di contestualizzare e globalizzare le informazioni e le conoscenze, che combatta contro l’errore e la menzogna. Né l’esistente, né il soggetto che conosce, possono essere matematizzati o formalizzati. Pensare bene significa essere coscienti dell’ecologia dell’azione.

Per ecologia dell’azione si intende ogni azione che, una volta intrapresa, entra in un gioco di interazioni e retroazioni, in seno all’ambiente in cui si effettua, che può distoglierla dai suoi fini e anche sfociare in un risultato contrario a quello previsto. Ad esempio quando in Spagna, nel 1936, scoppiò la rivoluzione sociale, di ispirazione anarchica e libertaria, nessuno poteva immaginare che essa avrebbe dato luogo ad un golpe reazionario!

Le conseguenze ultime delle azioni sono imprevedibili. Importante nell’azione è dunque la strategia che, come il programma, si stabilisce in vista di un obiettivo, ma che, differentemente dal programma, che ha bisogno di condizioni esterne stabili, riunisce le informazioni, le verifica e modifica le sue azioni in funzione delle informazioni raccolte e dei casi, strada facendo.

Purtroppo ancora oggi nelle nostre scuole tutto l’insegnamento verte sul programma, mentre la vita ci chiede strategie e, se possibile, anche arte e serendipità.

La strategia porta con sé la consapevolezza dell’incertezza che dovrà affrontare e perciò comporta una scommessa. Questa dovrà essere fatta con coscienza piena, altrimenti prelude alla rovina.

Il 10 dicembre 1948 a Parigi, con la risoluzione 219077°, la Dichiarazione universale dei diritti umani  fu adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nella sua terza sessione, quale documento sui diritti della Persona. La Dichiarazione universale è il frutto delle secolari evoluzione ed elaborazione dei principi etici già proclamati nel 1779, durante la Rivoluzione americana, in Bill of Rights, (Dichiarazione dei Diritti) e durante la Rivoluzione francese, nella Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del cittadino del 1789.

Quei principi sono stati poi ripresi e coniugati anche dalla/nella Dottrina Sociale della Chiesa poiché incarnano il verbo evangelico.

Le sfide che attendono la nostra epoca sono vitali, mentre lo stato dei saperi diffusi ed ereditati dal passato non è all’altezza del compito a noi richiesto.

Guerre, carestie, siccità, emergenze climatiche, violenze razziali e di genere stanno affliggendo il mondo, il nostro mondo, quando dovremmo essere tutti fratelli.

Da Giovanni, 3, 19-21: … la luce è venuta nel mondo e gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Perché chiunque fa cose malvagie odia la luce e non viene alla luce, affinché le sue opere non siano scoperte; ma chi mette in pratica la verità viene alla luce, affinché le sue opere siano manifestate, perché sono fatte in Dio».

Se “c’è un tempo per ogni cosa”, questo è il tempo di dire basta alla finanza e alla politica, corrotte ed avide. Si prenda esempio dal Motu Proprio di Papa Francesco, che, “secondo il principio del buon padre di famiglia”, ha escluso dalle gare in Vaticano evasori e società in paradisi fiscali, che ha sbarrato la strada “a mafie e a chi sfrutta il lavoro minorile”; che ha deciso per “una migliore gestione delle risorse della Santa Sede e per misure contro il conflitto di interesse”.

La maggior parte dei governanti attuali è cieca e non ha ancora compreso che la posta in gioco è caratterizzata da nuovi, ardui problemi, posti alla convivenza umana da un’interdipendenza planetaria irreversibile fra le economie, le politiche, le religioni, le conoscenze di tutte le società umane e dalle epidemie che diventano ora pandemie nel giro di poche settimane. Tali sfide saranno affrontabili solo quando l’uomo avrà un “cuore nuovo” e quando sarà avviata una riforma dell’insegnamento e dell’educazione attraverso ogni settore formativo.

I saperi, disgiunti e frazionati, sono inadeguati ad affrontare problemi che richiedono approcci multidisciplinari. Bisogna sviluppare il pensiero complesso, come sostiene Edgar Morin. Il sociologo francese, riflettendo sulla “Riforma dei saperi” nei Licei di Francia, ha proposto un insegnamento educativo che non trasmetta solo puro sapere bensì una cultura che faccia comprendere la nostra condizione umana e ci aiuti a vivere.

Per Edgar Morin l’insegnamento, se solo cognitivo, è restrittivo. Da solo non può bastare.

La globalizzazione del sistema ha reso il sistema stesso più complesso con l’interdipendenza delle componenti che lo costituiscono. Ciò comporta il limite delle superspecializzazioni che frazionano i saperi, li disgiungono, rendendoli incapaci di “pensare“ e di “cogliere” ciò che è “tessuto insieme”.

Oggi viviamo nella multidimensionalità del mondo. Un’intelligenza, incapace di comprendere e considerare il complesso contesto planetario, rende incoscienti e irresponsabili. Gli sviluppi delle scienze con le specializzazioni hanno portato cecità ed ignoranza.

Il pensiero che taglia, che isola, permette sì agli specialisti, agli esperti, risultati eccellenti nei propri settori e di cooperare efficacemente in ambiti non complessi della conoscenza, specialmente in quelli che concernono il funzionamento di macchine artificiali; ma la logica a cui il pensiero obbedisce contribuisce ad estendere all’intera società e alle relazioni umane i vincoli e i meccanismi inumani della macchina artificiale.

La visione meramente deterministica, meccanicistica, quantitativa e formalista purtroppo ignora, occulta, dissolve tutto ciò che è soggettivo, affettivo, libero e creatore.

L’esempio viene dall’economia, scienza avanzata matematicamente, ma arretrata umanamente. Lo scienziato Hayek (fisico) sosteneva: “Nessuno che sia solo economista può essere un grande economista” … “Un economista, solo economista, diventa nocivo e può costituire un vero pericolo”.

Poi assistiamo a un’altra sfida: l’espansione incontrollata del sapere. L’accrescimento ininterrotto delle conoscenze edifica una gigantesca Torre di Babele, rumorosa di linguaggi discordanti. La Torre ci domina poiché noi non siamo in grado di dominare i nostri saperi.

La gigantesca proliferazione di conoscenza sfugge sempre più al controllo umano. Non solo. Non riusciamo ad integrare le conoscenze per indirizzare le nostre esistenze.

Eliot si chiede: “Dov’è la saggezza che perdiamo nella conoscenza?”

Il limite della cultura attuale risiede nella separatezza fra la cultura umanistica, considerata generica, di ornamento, e la cultura scientifica, che compie straordinarie scoperte, formula geniali teorie, ma non è capace di una riflessione sul destino umano, sul divenire della scienza stessa.

Nel nostro tempo tuttavia esiste una terza cultura, quella delle Scienze Sociali, capace di costituire il ponte fra le altre due e di coniugarle.

L’uomo del post-moderno è chiamato a grandi sfide soprattutto con lo sviluppo delle attività economiche, politiche, sociali, con lo sviluppo del sistema neuro-cerebrale artificiale che è entrato in simbiosi con tutte le nostre attività quotidiane. Ne consegue che l’informazione è la materia prima che la conoscenza deve padroneggiare e integrare. La conoscenza però deve essere costantemente rivisitata dal pensiero, che, oggi più che mai, è il capitale più prezioso per l’individuo e per la società. Nella civiltà della complessità se non si ha la percezione del globale, non si dà neppure il senso di responsabilità alla dimensione di solidarietà. Così viene meno anche la democrazia. Infatti inizia ad essere percepito in modo chiaro e inconfutabile, in tutte le democrazie del mondo, un crescente deficit democratico dovuto all’appropriazione da parte di esperti, specialisti, tecnici, di un numero esponenziale di problemi vitali. Il sapere è divenuto sempre più esoterico (ovvero accessibile solo a specialisti) e anonimo (quantitativo e formalizzato).

L’esperienza dei lock-down, della pandemia, nonché della guerra in corso in Europa ce ne dà ampia testimonianza.

Più la politica diventa tecnica, più la democrazia diminuisce. Più aumenta il processo di sviluppo tecnico-scientifico cieco, che sfugge alla volontà degli stessi scienziati, più regredisce la democrazia.

Occorre, dunque, recuperare una democrazia cognitiva. Occorre un nuovo Umanesimo.

Se il XX sec. ha contribuito a individuare la consapevolezza dei limiti della conoscenza e dunque della scienza, il XXI secolo deve imparare ad affrontare l’incertezza, facendo convergere più insegnamenti, mobilitando più scienze e discipline.

FONTI:

  1. C. ALBERTANI, Da Impero e i suoi tranelli. Toni Negri e la sconcertante traiettoria dell’operaismo italiano, di, autore che qui cita a sua volta, traducendolo dallo spagnolo, il volume di Atilio A. Boron Imperio e Imperialismo. Una Lectura Critica de Michael Hardt y Antonio Negri, http://vivelasociale.org/revue-la-question-sociale/html/LQS/LQS_1/it_QS1_12_dilemmes.pdf
  2. E. MORIN, La testa ben fatta, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000
  3. https://andreagranelli.nova100.ilsole24ore.com/2017/06/11/critica-della-ragion-manageriale-qualche-riflessione-con-la-lente-del-digitale/
  4. https://www.ilsecoloxix.it/mondo/vatican-insider/2020/06/01/news/vaticano-il-papa-vara-un-codice-appalti-all-insegna-della-trasparenza-contro-la-corruzione-1.38915182

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