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FEDERICO II DI SVEVIA, “STUPOR MUNDI” – PROF.SSA GABRIELLA TORITTO

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Redazione-  Fu definito  da molti “Stupor mundi”, ossia “meraviglia del mondo“; per altri fu invece l’Anticristo; per altri ancora il Messia venuto a riportare l’ordine di Dio sulla Terra.  I Ghibellini d’Italia e d’Europa lo videro come “reparator orbis”, contro la corruzione dei prelati e contro il potere temporale della Chiesa. Comunque tutti, estimatori e detrattori, ne avvertirono il fascino e la superiorità intellettuale e riconobbero in lui un segno di gloria e di potenza.

Per tutta la prima metà del 13° secolo, l’imperatore svevo si mosse con spregiudicatezza e inventiva in un complesso scenario politico, che influenzò con forza e di cui fu, per mezzo secolo, incontrastato protagonista.

Era quello il tempo della rivoluzione spirituale di Francesco d’Assisi in seno alla Chiesa temporale e corrotta. In Italia vi era un aspro conflitto fra i Comuni che rivendicavano e difendevano le loro autonomia e libertà  contro il potere assoluto dell’imperatore. In Terra Santa si consumava la contesa fra il Gran Saladino e Riccardo Cuor di Leone. Gengis Kan conquistava l’Asia, mentre sullo sfondo si assisteva all’agonia dell’Impero Bizantino, caduto poi sotto i colpi dei Turchi Ottomani, guidati da Maometto II, il 29/05/1453.

Il centro della politica di Federico II di Svevia fu il Regno di Sicilia. La sua corte a Palermo fu il luogo d’incontro delle culture cristiana, araba, ebraica e greca.

Federico II apparteneva alla dinastia degli  Staufer o Hohenstaufen. La dinastia dei Hohenstaufen, chiamata così dal castello da loro costruito nel 1070 al centro del Württemberg, nel Giura svevo., ebbe come capostipiti il cavaliere svevo Federico di Büren e suo figlio Federico I di Staufen. Federico I di Svevia, detto il Vecchio, della dinastia degli Staufer (o Hohenstaufen), è stato primo duca di Svevia dal 1079. Era figlio di Federico von Büren e di Ildegarda von Egisheim, nobili di origini: la madre era figlia di Gerardo III von Egisheim-Dagsburg, uno dei fratelli di  Papa Leone IX.

Lo stemma della Casata di Svevia era “d’oro ai tre leoni neri passanti disposti in palo“.  Il ramo di Sicilia adottò una versione modificata dell’aquila imperiale, sostituendo il campo d’oro con uno d’argento (d’argento all’aquila di nero imbeccata, lampaggiata e membrata di rosso). La regione linguistica della Svevia  comprende le zone in cui è parlato il tedescoalemanno e più propriamente quelle in cui è parlato lo Schwäbisch, lo svevo. Coincide più o meno con la zona storica, arrivando a lambire anche l’Italia, ovvero la valle d’Aosta e la provincia del Verbano-Cusio-Ossola.

Federico nacque il 26 dicembre 1194 a Jesi, nella Marca anconetana, dall’imperatore Enrico VI  di Svevia (figlio di quel Federico Barbarossa a cui è legata la Battaglia di Legnano della Lega Lombarda) e da Costanza d’Altavilla, mentre l’imperatrice stava raggiungendo a Palermo il marito, incoronato il giorno prima, 25 dicembre 1194, re di Sicilia.

Data l’età avanzata, nella popolazione vi era un diffuso scetticismo circa la gravidanza di Costanza, perciò fu allestito un baldacchino al centro della piazza di Jesi, dove l’imperatrice partorì pubblicamente, al fine di fugare ogni dubbio sulla nascita dell’erede al trono. Costanza, che prima del battesimo chiamò il figlio col nome matronimico di Costantino, portò il neonato a Foligno, città dove Federico visse i suoi primissimi anni, affidato alla duchessa di Urslingen, moglie di Corrado, duca di Spoleto, uomo di fiducia dell’imperatore. Poi Costanza partì immediatamente alla volta della Sicilia per riprendere possesso  del regno di famiglia, riconquistato poco prima dal marito.

Qualche tempo più tardi, nella cerimonia battesimale svoltasi nella Cattedrale di San Rufino in Assisi, in presenza del padre Enrico, il nome del futuro sovrano fu meglio precisato e definito in quello di Federico Ruggero,  “in auspicium cumulande probitatis“.  Quella fu la seconda e ultima occasione in cui Enrico VI vide il figlio. Infatti il 28 settembre 1197, mentre intraprendeva il suo viaggio per la liberazione della Terra Santa e per non essere da meno al padre, il Barbarossa,  Enrico morì e Costanza affidò il figlio di tre anni a Pietro da Celano, conte della Marsica. Purtroppo l’anno successivo, esattamente il 27 novembre 1198,  anche Costanza morì quando Federico aveva soli quattro anni, dopo averlo posto sotto la tutela del nuovo papa, Innocenzo III, e dopo aver costituito a favore del papa un appannaggio di 30.000 talenti d’oro per l’educazione di Federico.

Gualtiero di Palear o Palearia, vescovo di Troia, e cancelliere del regno, fu in quegli anni, a Palermo, il vero tutore di Federico. Il giovane sovrano risiedeva nel Palazzo dei Normanni e nel Castello di Maredolce, il Castello della Favara, seguito direttamente da Gentile di Manopello, fratello di Gualtiero. Suo primo insegnante fu frate Guglielmo Francesco, che ne rispondeva al vescovo Rinaldo di Capua, il quale, a sua volta, informava costantemente il papa sui  progressi scolastici, sulla crescita e sulla salute di Federico. Attorno al giovane erede, rimasto orfano di padre a tre anni e di madre a soli quattro, si scatenarono subito insidiose manovre: chi controllava l’infante di fatto governava sul Regno di Sicilia. In previsione di ciò, la madre Costanza d’Altavilla, erede dei grandi Ruggero II e Guglielmo I dei Normanni, nonché donna lungimirante e intelligente, morendo, aveva affidato la reggenza del regno e la tutela del figlio a Innocenzo III, papa. I cavalieri tedeschi tuttavia, incaricati dallo zio di Federico, Filippo di Svevia che allora regnava in Germania, furono coloro che presero in mano la situazione nel regno meridionale e che si occuparono del bambino.

Papa Innocenzo III tornò ad influire direttamente sulla vita dello Svevo solo qualche anno più tardi. Nel 1208, quando Federico aveva soli quattordici anni, il pontefice lo dichiarò di maggiore età e nel 1209 gli combinò il matrimonio con la venticinquenne Costanza d’Aragona, vedova di Emerico, re d’Ungheria. Nel 1210 Federico uscì dalla tutela papale e dalla reggenza dei cancellieri del regno. Mentre Federico tentava di affermare la sua sovranità sul regno, osteggiato da rivolte in Sicilia e Calabria, improvvisi sviluppi nella politica imperiale gli consentirono migliori prospettive. L’imperatore Ottone IV, infatti, rivendicando diritti sul Regno di Sicilia, scese in Italia provocando la reazione di quanti  come il papa, il re di Francia e molti principi tedeschi osteggiavano un’unione tra l’Impero e il regno italiano. Federico fu nei loro disegni politici lo strumento più opportuno da usare contro Ottone IV. Così nel 1211, quando ormai Ottone sembrava controllare l’Italia meridionale, un’assemblea di principi tedeschi, deposto Ottone, decise di invitare in Germania il giovane Federico per incoronarlo Re dei Romani e designarlo alla successione imperiale. Salimbene de Adam così scrive in “Cronica”: “Nell’anno del Signore 1209 l’imperatore Ottone fu ospitato sul Reno (è un torrente nel vescovado di Reggio) e fu pure ospitato a Salvaterra. E fu incoronato da papa Innocenzo III il giorno 11 di ottobre. […] Ma il suddetto Ottone, una volta incoronato, mosse con molti sforzi contro il padre (il papa) che lo aveva incoronato e la madre chiesa che lo aveva generato, e si armò rapidamente contro il piccolo re di Sicilia che non aveva altro aiuto eccetto la chiesa. Perciò l’anno seguente, cioè l’anno del Signore 1210, il venerabile padre Innocenzo, potente in opere e in parole, scomunicò il già detto imperatore Ottone. Ciò nonostante, costui mandò in Puglia un esercito cui era a capo il marchese Azzo d’Este. E poi passando per la Toscana, raccolto un grande esercito, prese alcune località con la forza, altre per resa; resistendogli soltanto Viterbo, Orvieto e poche altre. Infine avanzò e svernò a Capua.”

Dopo la scomunica papale e a causa dell’ostilità di Filippo Augusto di Francia, che incoraggiò la resistenza in Germania, la nobiltà, rimasta fedele a Filippo di Svevia e che ora vedeva Ottone IV combattere contro il piccolo  discendente  degli Hohenstaufen, si ribellò all’imperatore, il quale fu costretto a tornare in Germania. I feudatari tedeschi fedeli agli Hohenstaufen e ribelli contro Ottone IV, cercarono allora aiuto in Federico, invitandolo in Germania. Federico intraprese il viaggio verso Nord e, in tal modo, obbligò Ottone a interrompere la campagna militare. A quel punto la Germania si trovò di fatto divisa in due blocchi: la parte meridionale obbediva al giovane Federico degli Hohenstaufen, quella settentrionale a Ottone. Questi però nel 1214 fu sconfitto rovinosamente da truppe anglo-francesi nella battaglia di Bouvines. Restò sul trono fino alla morte ma era indebolito perché dopo Bouvines fu chiaro che Federico aveva vinto la sua partita sullo scacchiere della storia.

Il 25 luglio 1215 lo Svevo fu incoronato Re dei Romani nella cappella Palatina di Aquisgrana. In quella stessa occasione s’impegnò a bandire una crociata in Terrasanta, volendo seguire l’esempio di suo nonno paterno, Federico I Barbarossa, morto durante una tale impresa, e di suo padre, Enrico VI, deceduto prima di poter realizzare lo stesso progetto che aveva preparato con cura.

Successivamente, il 22 novembre del 1220,  Federico fu incoronato imperatore nella basilica di San Pietro, a Roma, da papa Onorio III, che lo incalzò al fine di indire la crociata promessa.  Per anni Federico rinviò la partenza alla volta della Terra Santa poiché fu assorbito dal controllo e dalla riorganizzazione del Regno di Sicilia. Non volle  in alcun modo rinunciare alla Corona di Sicilia, pur  mantenendo la ferma intenzione di tenere separate le due corone, volendo in tal modo allontanare la preoccupazione del Papato di sentirsi accerchiato da un così vasto e potente dominio svevo-normanno. Pertanto decise di lasciare il Regno di Germania al figlio Enrico, conservando, quale imperatore,  la suprema autorità di controllo. Cresciuto ed educato in Sicilia, è probabile che si  sentisse più siciliano che tedesco, ma, soprattutto, conosceva bene le potenzialità del suo regno, ricco di una fiorente agricoltura, di città grandi e di buoni porti, oltre alla posizione straordinaria e strategica al centro del  Mediterraneo.

Tornato nel 1220 in Sicilia, che aveva lasciato otto anni prima, Federico poté dedicarsi a consolidare le istituzioni nel Regno, indicendo due grandi Assise a Capua e a Messina. In quelle occasioni stabilì, rivendicando quanto accaduto in passato, che ogni diritto regio confiscato precedentemente e a vario titolo dai feudatari infedeli venisse reintegrato immediatamente al sovrano.

Nel 1224 a Napoli  fondò la prima Università statale laica, dove si studiava il Diritto Romano e non Canonico,  come invece avveniva a Parigi o a Oxford. Dalla quella università, una delle prime in Italia, uscì un ceto di funzionari in grado di servirlo senza che i sudditi, a lui fedeli, dovessero recarsi fino a Bologna per studiare. Favorì anche l’antica e gloriosa Scuola Medica Salernitana ed impose che i medici superassero degli esami prima di esercitare.

Il tentativo di Federico di accentrare l’amministrazione del Regno e ridurre il potere dei feudatari locali (soprattutto ordinando la distruzione delle fortificazioni che potessero rappresentare un potenziale pericolo per il potere centrale) incontrò molte resistenze nella zona continentale del regno, principalmente da parte di Tommaso da Celano, conte di Bojano.

Federico continuò a riordinare il Regno di Sicilia, eludendo le continue richieste di papa Onorio III, affinché intraprendesse la crociata. Nel 1227 però il nuovo papa, Gregorio IX, lo colpì con una scomunica a causa dell’ inerzia mostrata.

Nella primavera 1228, Federico, prima di partire per la Terrasanta, sapendo che, in sua assenza, il Papa avrebbe riunito i suoi oppositori in Sicilia e in Germania e minacciato la Lombardia e il suo Regno Meridionale, celebrò  (come riferito dal cronista Riccardo di San Germano) la Pasqua a Barletta “in omni gaudio et exultatione“. Il mese dopo, sempre a Barletta,  convocò un’assemblea  pubblica e comunicò personalmente  le sue decisioni:  in sua assenza  “… Rainaldo di Urslingen, già Duca di Spoleto, sarebbe divenuto suo sostituto in Italia; qualora fosse morto in Crociata, il figlio Enrico, già Re dei Romani, e in seconda istanza il piccolo Corrado sarebbero diventati suoi eredi”. Corrado era nato pochi giorni prima ad Andria, il 25 aprile del 1228, da Jolanda de Brienne, erede al trono di Gerusalemme,  sposata da Federico in seconde nozze dopo la morte di Costanza d’Aragona. Jolanda morì in seguito  al parto. E poiché quasi tutte le mogli dell’imperatore morirono dopo avere dato alla luce gli eredi, molti furono i sospetti e le illazioni che si sollevarono nei confronti dello “stupor mundi”.

Federico fu costretto a partire, ma la sua fu una Crociata del tutto particolare: invece di combattere contro i musulmani, intavolò un lungo negoziato con il nemico, il sultano d’Egitto, Al Malik Al kamil, ottenendo la consegna di Gerusalemme, Betlemme, Nazareth e garanzie di movimento per i pellegrini. Durante le trattative si intrattenne in discussioni filosofiche e scientifiche con dotti musulmani, il che gli procurò sì consensi e simpatie nel mondo islamico ma gli causò critiche e accuse di miscredenza nel mondo cristiano. La verità storica fu che Federico II, attraverso le sue disquisizioni filosofiche e scientifiche e attraverso le trattative, ottenne dal Sultano molte più concessioni a favore della Cristianità di quante ne avevano avute altri re crociati, recatisi in Terra Santa con la forza delle armi e con lo spargimento di sangue.

Nel 1229 fu incoronato Re di Gerusalemme nella Basilica del Santo Sepolcro, anche per i diritti acquisiti come sposo di Jolanda di Brienne, figlia di Giovanni, re di Gerusalemme. La Terrasanta ebbe una speciale importanza nella vita di Federico II fin dal momento della sua incoronazione, avvenuta ad Aquisgrana il 25 luglio 1215, quando levò in alto la Croce, promettendo di impegnarsi personalmente, come crociato, alla riconquista dei luoghi santi e in particolare alla liberazione del Santo Sepolcro di Gerusalemme per il bene degli Stati crociati. Federico era mosso da un sincero sentimento di riconoscenza per i successi inaspettati ottenuti in Germania, che attribuiva all’aiuto diretto di Dio, e si manteneva fedele alla tradizione e agli scopi dei suoi antenati e predecessori Svevi, fra i quali  il nonno Barbarossa e suo padre, Enrico Vl imperatore. Evidenziò solennemente i due aspetti della sua presenza a Gerusalemme e delle sue attività in Oriente, quando si presentò in pubblico con la corona in testa. Volle dimostrare, proprio vicino al Sepolcro di Cristo, la sua gratitudine verso Dio per averlo guidato splendidamente durante la Crociata. Allo stesso tempo volle mostrare in un modo impressionante che egli era il detentore dell’autorità regia a Gerusalemme.

Lasciò Gerusalemme in fretta dopo due giorni. Aveva dei nemici di cui occuparsi: il Patriarca e i Templari. Restò ben cinque settimane ad Acri, tentando invano di sottomettere il locale Patriarca ed i Templari anche con la forza militare.  Di certo fu un atto necessario per la tutela della sua autorità regale, poiché il patriarca aveva ignorato, di proposito, la sovranità regia di Federico, reclutando truppe per proteggere il regno.  Poi, a causa delle cattive notizie provenienti dall’Italia, dovette ripartire. Aveva altri nemici con cui fare i conti: il Papato e i Comuni dell’Italia settentrionale.

A Melfi, l’imperatore fu sempre accolto con calore dalla locale popolazione. Nella località melfitana Federico II trascorse il suo tempo libero, dedicandosi alla caccia con il falcone, poiché le zone boschive del Vulture erano ideali per il passatempo da lui preferito. Nel castello di Melfi Federico II, con l’ausilio del suo fidato notaio Pier delle Vigne, emanò le Constitutiones Augustales nel 1231. Note anche come Costituzioni di Melfi o Liber Augustalis,  costituirono la prima raccolta organica di leggi dell’antica Roma e rappresentarono il codice legislativo del Regno di Sicilia, fondato sul Diritto romano e su quello normanno delle Assise di Ariano. Il Liber Augustalis è considerato tra le più grandi opere della storia del Diritto per l’importante  recupero delle antiche leggi normanne, di cui si sono conservati pochissimi documenti. Le Constitutiones Augustales  prevedevano: l’accentramento dei poteri nelle mani del sovrano; il pagamento di un’imposta da parte di tutti i sudditi; la costituzione di un esercito permanente, che dipendeva direttamente dal Re; un’unica unità di misura e di peso in tutto il regno, che venne poi abbandonata per essere ripresa, adottata ed imposta dopo molti secoli da Napoleone Bonaparte.

Una volta in Italia si ritrovò a lottare contro il Papa e contro i Comuni. Federico era venuto meno agli impegni presi con il papa. Non solo la sua crociata in Terrasanta era finita con un negoziato, ma egli non aveva nemmeno rinunciato, una volta divenuto imperatore, al Regno di Sicilia, così come richiesto da Innocenzo III. La tensione con il papato toccò il limite di guardia in più occasioni. Ad esempio nel 1241 Federico catturò al largo dell’isola d’Elba i prelati che intendevano raggiungere Roma per partecipare al Concilio generale indetto dal papa al fine di scomunicarlo. Nel 1245 il pontefice Innocenzo IV indisse un nuovo Concilio per sicurezza a Lione, dove Federico fu accusato di spergiuro, rottura della pace, bestemmia ed eresia tanto che l’assemblea deliberò la sua deposizione dal trono. La decisione conciliare però non ebbe mai alcun effetto pratico.

L’imperatore si scontrò  anche con i Comuni che volevano preservare la propria autonomia dalle pretese di sovranità imperiali. A tal fine essi ricostituirono la Lega lombarda, la quale si era già opposta al nonno di Federico, il Barbarossa, per gli stessi motivi.

Nel 1237 a Cortenuova sull’Oglio Federico piegò la 2° Lega Lombarda ma invece di cercare un accordo favorevole per le parti, impose una resa incondizionata. Allora la lotta riprese e questa volta al fianco dei Comuni si schierò anche il Papa, che scomunicò ancora una volta lo Svevo nel 1239.

A quel punto Federico andò incontro all’amarezza della sconfitta. Nel 1248 a Vittoria, presso Parma, subì una grave disfatta; l’anno dopo a Fossalta i Bolognesi catturarono e imprigionarono Enzo, figlio prediletto dell’imperatore.

La corte federiciana a Palermo fu il fulcro della cultura cosmopolita del tempo. La sete di sapere spinse Federico II ad ospitare presso la sua corte importanti personalità della cultura: dotti ebrei, cristiani, arabi e greci. A lui si devono le traduzioni di opere della tradizione filosofica greca e araba fino allora sconosciute, in particolare quelle di Aristotele. Ebbe rapporti col celebre matematico Leonardo Fibonacci di Pisa, il quale introdusse l’uso dei numeri arabi, abbandonando i numeri romani e l’abaco. Personalità di rilievo al suo fianco fu quella di Pier delle Vigne, suo stretto collaboratore e portavoce. Giurista, notaio, creatore di un nuovo stile epistolario, inventore del sonetto e della metrica, Pier delle Vigne, forse per una congiura di palazzo,  fu condannato dal suo imperatore per alto tradimento. Dante Alighieri lo collocò nel 7° cerchio, 2° girone dell’Inferno, fra color che furono violenti contro se stessi, poiché suicida.  Altri studiosi della cui collaborazione Federico II si avvalse furono: il poeta Jacopo da Lentini e il famoso matematico Michele Scoto. In “De arte venandi cum avibus“, suo trattato sulla caccia col falco, l’imperatore dimostrò uno spiccato interesse naturalistico. Era affascinato dalla filosofia della Scuola di  Averroè, medico, matematico, giurista e filosofo arabo. Molti furono gli interrogativi, le quaestiones sicilianae, che Federico sottopose a scienziati e filosofi arabi in merito all’immortalità dell’anima e che furono riportati nel Trattato di Ottica.

Parlava sei lingue: siciliano, tedesco, latino, francese, greco e arabo. Favorì la Scuola poetica siciliana e compose poesie amorose, le quali influenzarono la moderna lingua italiana e furono salutate con entusiasmo da Dante e dai suoi contemporanei, anticipando di un secolo l’idioma toscano. Collezionò sculture e cimeli antichi e si fece riprodurre copie di opere del passato. Inoltre seguì personalmente il progetto della Porta di Capua, un monumento ricco di riferimenti all’antichità romana, che, all’ingresso del Regno, doveva testimoniare i valori cui si ispirava la sua monarchia. Negli augustali, monete d’oro che mise in circolazione nel 1231, Federico fu raffigurato coronato d’alloro come gli imperatori romani.

Dante Alighieri lo collocò nel X° Canto dell’Inferno, nel Cerchio degli Eretici ed Epicurei. Fu Farinata degli Uberti ad indicare a Dante la presenza dello Svevo nel 6° cerchio.

L’imperatore svevo sviluppò nel regno una rete di castelli, per esigenze di controllo territoriale e per favorire i suoi svaghi, come la caccia: il più celebre è Castel del Monte, presso Bari, dalla singolare pianta ottagonale, oggi tutelato dall’UNESCO in quanto Patrimonio dell’Umanità.  Resta tuttora misterioso l’uso che Federico II fece di quel castello. Si narra che vi svolgesse alcuni esperimenti scientifici, anche crudeli. Promosse la costruzione di architetture religiose: ex novo, la cattedrale di Altamura, edificio  che si può definire federiciano, e i loca solaciorum nella Capitanata di Foggia. La Puglia, terra amatissima, era “la pupilla dei suoi occhi”. La  stessa città di L’Aquila fu fondata, su progetto  dell’Imperatore Federico II di Svevia, ad opera del suo erede  Corrado IV. Nel Medioevo, per volontà di Federico II, Sulmona fu sede del Giustizierato d’Abruzzo e capoluogo amministrativo della regione dal 1233 al 1273. Gli Svevi sostennero sempre Sulmona, costringendo il vescovo a porre la sua sede entro le mura della città, e Federico II promosse la costruzione di eccezionali opere civili, come l’acquedotto medioevale, uno dei monumenti dell’epoca più importanti in Abruzzo.

Chi fu dunque Federico? Anticristo o Messia? Dagli inizi degli anni Quaranta attorno a Federico si creò una leggenda negativa che lo identificò quale nemico di Dio, l’Anticristo da combattere con ogni mezzo. Sul versante opposto vi era invece chi vedeva in lui il Messia, inviato sulla Terra da Dio a riformare la Chiesa corrotta, così come, in altro modo, aveva tentato di fare Francesco d’Assisi. In realtà Federico coltivò forme di autentica devozione religiosa e in nessun momento mise in discussione l’istituzione papale. Ne contestò però con forza il primato temporale rispetto all’impero.

L’imperatore morì mentre cercava di reagire alle disfatte subite in Italia settentrionale. La fine, peraltro predetta, avvenne nel suo luogo di soggiorno preferito, Castel Fiorentino, presso Foggia, il 13 dicembre 1250. La salma fu portata a Palermo e collocata in un sarcofago nella cattedrale, accanto a quello della madre Costanza d’Altavilla. Nel suo testamento designò il figlio Corrado come erede e, nell’attesa dell’arrivo di questi dalla Germania, il figlio naturale Manfredi come reggente.

Morto Federico, i suoi nemici ebbero il sopravvento e gli Svevi persero quel Regno di Sicilia che aveva conosciuto un periodo di così vivido splendore sotto gli Altavilla e sotto lo Svevo.

F.to Gabriella TORITTO

Poi che ti piace, Amor


Poi che ti piace, Amor
che degia trovare,
farò ‘nde mia possanza
ch’io vegna a compimento.
Dat’agio lo mio core
in voi, Madonna, amare,
e tuta mia speranza
in vostro piacimento;
e non mi partiragio
da voi, donna valente,
ch’io v’amo dolzemente
e piace a voi ch’io agia intendimento.
Valimento mi date, donna fina,
ché lo meo core adesso a voi s’inchina.

(versione in lingua fiorentina della poesia che Federico II dedicò a Bianca Lancia, madre di Manfredi, donna molto amata dall’imperatore)

FONTI:

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M. CARAVALLE, Il Regno Normanno di Sicilia. Ius nostrum. Studi e Testi, Milano, 1966

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F. DELLE DONNE, Federico II: la condanna della memoria. Metamorfosi di un mito, Viella, Roma 2012

M. FUMAGALLI BROCCHIERI, Federico II: ragione e fortuna, Laterza, Bari-Roma 2004

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