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LA GESTIONE DEI CONFLITTI

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Redazione-La gestione dei conflitti, la costruzione e lo sviluppo di una relazione umana sono molto complessi: nelle aziende e nei luoghi di lavoro non si riceve una formazione specifica per la loro risoluzione. I conflitti non “gestibili” producono un grado di “entropia sociale”, quale calo della Produttività ,periodi prolungati di malattia, perdita della stima di sé ,sfiducia ,ecc…I conflitti sono alla base dello stress lavoro-correlato ed è per questo motivo che circa l’80% degli italiani soffre di “rabbia da conflitto”, almeno due volte a settimana, mentre il 25% soffre di rabbia acuta e costante.

Come nascono i conflitti nei luoghi di lavoro?

Vi sono molti aspetti che lo determinano, quali la “differenza” di valori, la competitività ,l’individualismo e la diversità di obiettivi. Le persone all’interno di un luogo di lavoro sono latrici di valori morali, religiosi ed ideologici che ne condizionano il loro comportamento ed il loro modo  di relazionarsi con gli atri, i quali non sempre ne condividono la loro weltanschauung. La competitività nel mondo capitalistico è presente negli stili educativi, sin dalla preadolescenza, favoriti dai mass-media, che propongono modelli stereotipati a cui aderire per ottenere successo; le stesse aziende, talvolta, per massimizzare la produttività, sottopongono ad “elevata pressione” i loro sottoposti, che, lavorando sotto stress, diventano più esposti ai conflitti dal punto di vista emotivo. A differenza di quanto si pensi l’azienda, pur avendo a livello teorico un unico obiettivo ,presenta obiettivi divergenti tra le diverse funzioni: quella commerciale di una società è in conflitto con la produzione che, a sua volta, è in conflitto con la logistica!

Dobbiamo, tuttavia, ritenere che il conflitto non è sempre negativo, come ci dicono gli psicologi del lavoro, ma è un’esperienza dalla quale trarre apprendimento, un’opportunità di crescita e di migliore conoscenza di se stessi e delle proprie emozioni. Per considerare il conflitto come opportunità dobbiamo modificare il quadro percettivo tradizionale, che è caratterizzato da “stabilire la colpa “,”cercare giustizia”, “avere ragione”, “diffidare dell’altro” e far propria una nuova prospettiva ,che consiste nel non dare giudizi, “leggere” i bisogni propri e degli altri, saper ascoltare, ricordando che la visione della realtà è soggettiva e non vi è nessuno portatore della verità suprema.

Mi corre l’obbligo di ricordare che nessuno di noi può con sicurezza affermare di conoscersi bene, dal momento che vi è in ognuno una parte che gli altri conoscono e che è a noi ignota, un’altra nota solo a noi e sconosciuta agli altri ed una parte sconosciuta a noi ed agli altri che può manifestarsi, sotto determinati stimoli, nei momenti più imprevedibili: quante volte restiamo meravigliati di dimostrare  un’ aggressività ,che mai ci saremmo immaginati di avere! Acquisita la consapevolezza che la comunicazione è un processo assai complesso dobbiamo acquisire una certa resilienza ed evitare di “disconfermare” l’altro, cercando di comprendere ciò che questi prova, invitandolo a guardare insieme al problema da risolvere come il “nemico” comune da sconfiggere. Quando le istituzioni non riescono, attraverso una razionale organizzazione, ad evitare i conflitti, agostinianamente  dobbiamo ricercare dentro di noi strategie psicologiche da mettere in atto, al fine di risolvere il problema senza “stigmatizzare” l’altro, che spesso viene “introiettato” dentro di noi come

il responsabile di tutti i mali!

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