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” IL PATRIARCATO ” – PROF.SSA GABRIELLA TORITTO

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Redazione-  Prima di iniziare a scrivere sul patriarcato mi preme informare il lettore che quanto esporrò non riuscirà ad affrontare pienamente, compiutamente l’argomento.

Alla luce degli studi finora condotti, dei ritrovamenti archeologici e delle relative deduzioni storiche, per risalire alle origini del patriarcato si procede ancora per ipotesi e se vi sono ricercatori che propendono nell’affermare che il patriarcato sia successivo al matriarcato altri lo negano, appellandosi alla resilienza del matriarcato fino ai nostri giorni, ad esempio presso le tribù dei Tuareg.

Risultano discordanti anche le ipotesi secondo cui il patriarcato si sia formato con la nascita dell’agricoltura e del concetto di proprietà (v. Bibbia: Caino e Abele). Un dato tuttavia è certo con il patriarcato nasce un sistema di “controllo” e di “dominio”, un sistema di prevaricazione che ha visto il trionfo della guerra. Infatti nessuno può negare che l’espansione mondiale del patriarcato, durata quasi seimila anni della storia umana, abbia creato ripetutamente caos, guerre, conquiste, oppressioni e conflitti civili orchestrati ad arte da chi governava in un dato momento storico.

Nella sua storia, relativamente breve, il patriarcato ha dimostrato di essere estremamente turbolento e instabile con il repentino succedersi di “imperi mondiali” e l’elevata distruzione di vite umane. Oggi continua ad imperare alla ricerca delle cosiddette “terre rare” e anche alla luce delle catastrofiche previsioni climatiche che spingono orde di genti a migrare, come allora, più di novemila anni fa, alla ricerca di terre migliori.

Perché una così violenta e distruttiva forma di società ha avuto successo tanto da propagarsi in tutto il mondo? La risposta è che laddove si sono affermate strutture patriarcali, i popoli con la loro rigida organizzazione militare fecero pressione sui loro vicini, minacciando di dominarli. L’iniziale e ostile pressione dell’ambiente naturale che un tempo spinse i popoli a migrazioni catastrofiche divenne poi pressione costante esercitata dall’entourage umano su altri popoli non patriarcali, pacifici e più evoluti, come i Cretesi ad esempio, per occupare le loro terre ed impossessarsi delle loro ricchezze.

In tutto il mondo il corso della storia dimostra chiaramente che le società patriarcali, basate sull’organizzazione e sull’elaborazione di strategie militari, hanno minacciato senza sosta i popoli confinanti e nei fatti li hanno conquistati distruggendo così il loro ordine sociale.

Altri popoli, caduti sotto la pressione dei vicini patriarcali, li hanno combattuti. Comunque, la necessità di difendersi li ha obbligati poi ad adottare tecniche strategiche e militari dei patriarcati confinanti. Le strutture di difesa, che talvolta sono scaturite in guerre di resistenza, hanno cambiato dall’interno le società matriarcali. Sicché più forte ed aggressiva fu la pressione su una società, più i suoi capi e i suoi guerrieri divennero importanti, perché essi dovettero lottare per l’autonomia e per la sopravvivenza. Così l’arcaica struttura della società, basata sull’equità e sulla pace, cessò di esistere, mentre i modelli patriarcali latenti si svilupparono lentamente in un patriarcato completo.

Queste, secondo alcuni studiosi, furono le ragioni per cui, una volta stabilite, le strutture patriarcali diventarono un’epidemia di dimensione mondiale.

Il patriarcato è un sistema storico-sociale eretto nel corso degli ultimi millenni, a cui hanno preso parte uomini e donne. La prima forma di patriarcato apparve in uno stato arcaico. L’unità organizzativa di base dello stato era la famiglia, attraverso la quale si esprimevano e riproducevano norme e valori. La sua ideologia di genere influenzò lo stesso processo di formazione dello stato e ci sarebbe da chiedersi come abbia potuto formarsi e divenire dominante.

Attività e comportamenti comandati ad ogni sesso furono definiti ed espressi nei valori comuni, nei costumi, nelle leggi e nei ruoli sociali. Furono presenti anche nelle principali metafore su cui sono basati la costruzione culturale delle società umane e il sistema della loro comprensione dell’ordine del mondo.

La sessualità femminile, intesa come la capacità della donna di soddisfare i bisogni sessuali dell’uomo e di generare nuovi individui,  divenne “merce”  ancor prima della nascita della civiltà occidentale. Si ritiene che lo sviluppo dell’agricoltura nel periodo neolitico abbia comportato l’emergere di uno “scambio di donne”  tra le tribù, non solo al fine di prevenire le guerre permanenti attraverso alleanze matrimoniali, ma anche perché nelle società dove c’erano più donne, c’erano più bambini.

E i bambini, come le donne, costituivano ricchezza. Erano ”manovalanza”. Erano forza lavoro. Avevano una valenza economica. Ancora oggi in molti paesi arabi.

Diversamente dagli interessi economici delle tribù di cacciatori e raccoglitori, gli agricoltori usavano i bambini come manodopera, per aumentare le dimensioni della produzione e produrre eccedenze materiali. Il gruppo maschile aveva diritti sulle donne, ma il gruppo femminile non aveva diritti sugli uomini. Le donne stesse divennero una sorta di risorsa per gli uomini, che si appropriarono di loro proprio nello stesso modo come si appropriarono della terra. Le donne, come la terra coltivata, divennero una “proprietà”. E tale “forma mentis” è stata poi tramandata di generazione in generazione.

In tutte le società a noi note, la prima forma di schiavitù fu composta da donne di tribù sconfitte, mentre gli uomini venivano uccisi. Successivamente, quando gli uomini impararono a schiavizzare e mantenere in obbedienza le donne di popoli considerati “stranieri”, schiavizzarono anche gli uomini nemici e più tardi gli uomini del proprio gruppo tribale.

Così, la schiavitù delle donne, in cui il razzismo e il sessismo erano combinati simultaneamente, precedette nel tempo la formazione delle classi e dell’oppressione di classe. Le differenze di classe emersero come espressione delle relazioni patriarcali e si costituirono sulla base di esse. La classe non è un costrutto separato dal genere, la classe è espressa in termini di genere.

All’inizio del secondo millennio a.C. in Mesopotamia le famiglie povere vendevano le figlie per il matrimonio o la prostituzione. Si trattò di un commercio fonte di reddito. Le donne provenienti da famiglie ricche potevano decidere il prezzo del proprio matrimonio, oppure richiedere alla famiglia dello sposo un somma al fine di acquisire il capitale necessario per combinare altri matrimoni economicamente vantaggiosi per gli altri familiari. Alla fine tutto ciò avrebbe comportato un miglioramento dello status sociale familiare.

Ciò accade ancora oggi in molte lande dei paesi del Medio Oriente e se una figlia si oppone al matrimonio “combinato” finisce uccisa. In passato se il marito o il padre non potevano pagare i propri debiti, potevano cedere la moglie e i figli, che sarebbero diventati schiavi del creditore.

Le leggi del Codice di Hammurabi migliorarono le condizioni di schiavitù, stabilendo che potevano durare massimo tre anni, mentre precedentemente sarebbero state a vita.

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Gli uomini si appropriarono del profitto derivante dal valore di scambio: la donna. Il profitto consisteva nel denaro ricevuto dalla vendita delle donne e dei loro figli.  Probabilmente essa fu la forma primaria di accumulazione, la forma primaria di proprietà privata.

La schiavitù delle donne delle tribù conquistate non era solo il simbolo di un certo status sociale dei capipopolo e dei soldati, ma consentiva loro anche di acquisire tangibili ricchezze materiali con la loro tratta, con la vendita dei prodotti del loro lavoro e della loro riproduzione naturale: i bambini, resi anch’essi schiavi.

La libertà delle donne è sempre stata limitata e lo è anche oggi. Dal momento che la sessualità delle donne, uno degli aspetti del corpo femminile, è sempre stata sotto il controllo di altre persone. Una donna, in aggiunta alla schiavitù fisica, è sempre stata sottoposta ad una forte pressione psicologica. Sicché per le donne, così come per i membri di altri gruppi oppressi e subordinati, la storia è una lotta per l’emancipazione e la liberazione.

Le donne da sempre hanno dovuto lottare con forme di repressione e oppressione a cui gli uomini dei gruppi subordinati non sono mai stati sottoposti, per questo la loro lotta, fino ad oggi, ha avuto poco successo.

Il primo ruolo sociale delle donne, sancito nel sistema di genere, è stato quello di “merce umana”, scambiata durante le transazioni matrimoniali. Il ruolo di genere opposto era il maschio: gli uomini erano quelli che si scambiavano le donne o definivano le regole dello scambio.

Il secondo ruolo di genere delle donne era il ruolo di moglie, vicariato (sostituto), creato per le donne dell’élite sociale. Tale ruolo conferiva alle donne un certo potere e privilegi piuttosto significativi (rispetto alle altre), ma tutto ciò dipendeva dal rapporto che la donna aveva con un certo uomo appartenente alla classe sociale dominante e dalla qualità dei servizi sessuali e riproduttivi forniti a tale uomo. Se una donna non soddisfaceva tali requisiti come ad esempio avere figli, sarebbe stata presto “ripudiata” e sostituita con un’altra; in tal caso avrebbe perso tutti i suoi privilegi e il suo rango sociale. Si ricordi la fine del matrimonio di Sorāyā Esfandiyāri Bakhtiyāri (ripudiata perché non poteva avere figli) con lo Scià di Persia, Mohammad Reza Pahlavi.

Il ruolo sociale del guerriero fu attribuito in base alle differenze di genere e in virtù del ruolo. Gli uomini furono in grado di ottenere il potere su donne e altri uomini sconfitti nel corso di scontri militari con i vari popoli. Le persone che venivano subordinate durante le conquiste di solito differivano dai vincitori in base alla razza, all’etnia o perché appartenevano ad una tribù vicina, ma “diversa”.

Gli uomini impararono a soggiogare le persone e ad esercitare potere su di loro dall’esperienza del primo scambio forzato di donne. Così essi acquisirono le abilità pratiche di erigere qualsiasi “differenza” per stabilire relazioni di dominio/subordinazione.

Fin dalla sua nascita, lo schiavismo delle donne si presentò in forma diversa da quello degli uomini. Gli uomini furono sfruttati principalmente come lavoratori, mentre le donne oltre che come lavoratrici furono sfruttate anche come oggetti sessuali e come partorienti. 

Le prove storiche di tutte le epoche a noi pervenute forniscono sufficienti spiegazioni per tali generalizzazioni. Lo sfruttamento sessuale delle donne è universale e permea tutti i livelli della società, soprattutto per quanto riguarda lo sfruttamento delle donne più povere da parte degli uomini più ricchi: lo troviamo nell’antichità, nel feudalesimo, nella famiglia borghese del diciannovesimo e ventesimo secolo in Europa, esiste ancora oggi e nel complesso gioco di genere/razza delle società coloniali.

Lo sfruttamento sessuale è stato e ancora oggi è un vero e proprio stigma della classe delle donne, una caratteristica distintiva del loro sfruttamento da parte degli uomini. In qualsiasi momento della storia, ogni “classe” sociale consisteva, in realtà, in due classi : la classe degli uomini e la classe delle donne.

L’appartenenza di classe di una donna in qualsiasi momento storico si è consolidata attraverso la sua relazione sessuale con un uomo. L’affiliazione di classe di una donna è stata determinata dal grado della sua non-libertà su una determinata scala: la schiava, la cui sessualità e capacità riproduttive sono state acquistate e vendute nello stesso modo in cui è stata venduta lei stessa; la schiava-convivente, i cui servizi sessuali hanno fornito a lei o ai figli un miglioramento del loro stato sociale; e infine, una moglie, una donna “libera”, il cui lavoro sessuale e riproduttivo per un uomo dell’élite sociale “le ha permesso di possedere proprietà e diritti riconosciuti dalla legge”.

Sebbene le donne abbiano responsabilità e privilegi diversi in materia di proprietà, di accesso alle risorse economiche e legali, tutte sono accomunate dal fatto che la loro sessualità e capacità riproduttiva sono controllate dagli uomini.

L’appartenenza degli uomini a una particolare classe sociale è definita e determinata dalla relazione ai mezzi di produzione. Nella storia coloro che possedevano i mezzi di produzione hanno soggiogato chi ne era privo. I proprietari dei mezzi di produzione hanno potuto anche acquisire prodotti estranei di sessualità femminile, ovvero donne, sia di classi inferiori, che della loro stessa classe. Nella società schiavista gli uomini della classe dominante possedevano come proprietà anche i prodotti della riproduzione naturale delle donne: i bambini, che in seguito sarebbero stati utilizzati come forza lavoro o venduti sul mercato matrimoniale o su quello schiavista, a esclusiva discrezione dei loro “padroni”. Per quanto riguarda le donne, la loro appartenenza di classe è sempre stata determinata dalle loro relazioni sessuali con un uomo .Questi rapporti avrebbero potuto consentire o bloccare l’accesso di una donna ai mezzi di produzione e alle risorse materiali.

Continua ad accadere ancora oggi.

Attraverso il comportamento sessuale, quindi, viene riprodotta l’appartenenza di classe delle donne. Le donne “degne” sono quelle che appartengono ad una particolare classe sociale alla luce del loro legame con il padre e/o il marito, tuttavia l’inosservanza delle norme di comportamento sessuale può privarle della loro appartenenza di classe molto velocemente.

Il marcatore del comportamento sessuale “osceno” agisce come marcatore di uno status, di classe e agisce in modo tale da far precipitare la donna “disonesta” sul fondo della scala sociale.

Le donne che non forniscono servizi eterosessuali agli uomini (donne non sposate, sacerdotesse e poi suore, lesbiche) o rimangono in contatto diretto con un uomo di famiglia o perderanno il loro status sociale.

In certi periodi storici i monasteri e altre istituzioni specializzate fornirono alle donne uno spazio pubblico in cui poterono esistere al di fuori del legame sessuale con un uomo, senza perdere lo status di “decenza”. E su di loro Anankenews ha pubblicato molto finora! Mentre la grande maggioranza delle donne non sposate era ritenuta colpevole e dipendeva dalla protezione dei parenti maschi. Questa era la condizione sociale della donna nei paesi occidentali fino alla seconda metà del ventesimo secolo, la medesima situazione che si presenta ancora oggi in molti paesi del terzo mondo.

Le donne non hanno una storia! Così è stato detto loro e ci hanno creduto. Quindi, il fattore decisivo della subordinazione femminile è l’egemonia maschile nella sfera simbolica. Si tratta di violenza simbolica. L’egemonia maschile nella sfera simbolica si esprime in due modi: il divieto di istruzione per le donne e il monopolio maschile sulla definizione della realtà.

La menzogna androcentrica, sviluppata sulla base delle conclusioni di “pensatori” occidentali, da Aristotele a Woody Allen, non può essere corretta semplicemente “aggiungendo” le donne. Per correggere le bugie c’è bisogno di una radicale ristrutturazione di tutto il sistema di pensiero e dell’intero sistema di analisi, in modo che in essi sia riscoperto una volta per tutte un riflesso della realtà umana composta da uomini e donne in egual misura. Solo così l’esperienza, i pensieri e le idee di entrambi i generi saranno rappresentati in ogni proposizione filosofica sugli esseri umani.

Per la prima volta nella storia sono nate condizioni favorevoli affinché grandi gruppi di donne possano liberarsi dalla subordinazione maschile e in futuro ciò può accadere anche alla totalità delle donne. Dato che il pensiero delle donne è da sempre stato ristretto alle errate premesse patriarcali, la condizione necessaria per la loro liberazione è la trasformazione delle loro idee su se stesse e sul loro modo di pensare.

Il processo di creazione della storia delle donne non è ancora finito e non finirà per ora e a lungo. Solo ora iniziamo a capire cosa significhi tutto questo. Il mito che le donne nonabbiano preso parte alla storia e alla civiltà ha avuto un enorme impatto sulla psiche femminile e su quella maschile. Sulla base di questo mito gli uomini si sono creati un’opinione completamente irragionevole e errata sul loro posto/ruolo nella società umana e nell’universo.

La lotta di classe delle donne può essere definita come una lotta per il controllo sui sistemi simbolici di una determinata società. Il gruppo oppresso, che condivide il sistema simbolico comune con il gruppo dominante, inizia così a sviluppare il proprio sistema simbolico, controllato in realtà dal dominatore. Nell’era del cambiamento rivoluzionario il nuovo sistema simbolico diventa una forza importante nella creazione di alternative sociali.

Per 2500 anni le donne furono escluse dal sistema e dal processo educativo, che le privò della possibilità di creare il proprio pensiero filosofico (astratto). La capacità di pensare non dipende certamente dal sesso, però può essere sviluppata o repressa, anche se non può essere distrutta. Ciò è veritiero se parliamo del pensiero che sorge nella vita di tutti i giorni, ovvero il livello di pensiero che ha la maggior parte degli uomini e delle donne nella loro quotidianità più superficiale.. Invece il pensiero astratto e la creazione di nuovi modelli e teorie concettuali sono altro. Tale fenomeno è possibile se il pensatore è cresciuto sul materiale culturale più avanzato del suo tempo e se è accettato e riconosciuto da un gruppo di persone che si sono formati in modo simile, attraverso la critica e lo scambio di opinioni, dando al pensatore un “sostegno culturale”.

Il pensatore però deve avere il tempo da dedicare alla sua attività mentale, riflessiva, astratta, attraverso cui può assorbire tutte le conoscenze acquisite e operare una svolta creativa concettuale. Le donne nel corso della storia non hanno avuto accesso a nulla di ciò che è stato appena elencato. La discriminazione nell’istruzione ha impedito loro di acquisire conoscenze. Il “sostegno culturale” era fuori dalla loro portata. Tutte le donne, nessuna esclusa, indipendentemente dall’epoca in cui sono vissute o dal gruppo sociale a cui sono appartenute, hanno sempre avuto molto meno tempo libero rispetto agli uomini, perché obbligate a partorire, a crescere figli e a lavorare per il benessere della famiglia. Il “tempo libero per loro stesse” non esisteva. Il tempo necessario per lo studio e la riflessione erano invece condizioni ritenute intime e irrinunciabili per il maschio pensatore.

Le donne e gli uomini sono entrati nel processo storico in tempi diversi e lo hanno trasmesso con diversi ritmi. Secondo i dati che abbiamo, il processo storico per gli uomini è iniziato nel terzo millennio a.C., mentre le donne (solo alcune di loro: poche eccezioni) hanno iniziato a partecipare a tale processo solo nel diciannovesimo secolo. Fino ad allora, la storia per le donne è stata una preistoria.

La società patriarcale mette le donne in una posizione di svantaggio, ma non sono solo loro a esserne vittime. Il patriarcato infatti è dannoso anche per gli uomini, perché condiziona i ruoli di genere e i comportamenti che gli uomini devono avere per dimostrarsi tali.

Quante volte un bambino ha sentito ripetere frasi come: “non piangere”, “non fare la femminuccia”, “fai l’uomo”, “non indossare colori da femmina” … E quante volte gli uomini non si sono sentiti liberi di esternare le proprie emozioni oppure non hanno denunciato una violenza subita da una donna per paura di non essere presi sul serio?

Il primo modo in cui si manifesta il patriarcato sono gli stereotipi di genere. Nel 2019 l’Istat ha condotto uno studio sugli stereotipi più comuni sui ruoli di genere. Ne è emerso che gli stereotipi più comuni sono:

  • Per l’uomo, più che per la donna, è molto importante avere successo nel lavoro (32,5%),
  • Gli uomini sono meno adatti a occuparsi delle faccende domestiche (31,5%),
  • È l’uomo a dover provvedere alle necessità economiche della famiglia (27,9%).

In questi stereotipi secondo lo studio si ritrova ben il 58,8% della popolazione tra i 18-74 anni e il pregiudizio cresce con il crescere dell’età (65,7% dei 60-74enni e 45,3% dei giovani) e tra i meno istruiti. L’idea dei diversi ruoli di genere è inoltre più radicata al Sud Italia (67,8%) e meno al Nord-est (52,6%).

Il quadro esposto è solo la punta dell’iceberg in una società patriarcale, che si manifesta attraverso gli stipendi minori percepiti dalle donne, a parità di mansioni, e attraverso il gender gap, ovvero la differenza di condizioni e trattamento tra uomini e donne in vari campi della vita, insieme alla maggiore difficoltà delle donne a trovare lavoro solo perché potrebbero rimanere incinte.

Poi ci sono le conseguenze drammatiche del patriarcato legate alla sopraffazione, alle efferate vicende di cronaca nera!!!

Questi sono solo alcuni esempi di quanto il patriarcato sia dannoso per tutti e di come sarebbe meglio se tutti smettessimo di considerare il femminismo come una lotta tra donne e uomini. Essa è una lotta comune per arrivare all’uguaglianza di genere.

Altri modi in cui si manifesta la società patriarcale, talmente radicati nella nostra cultura da essere ormai considerati normali, sono ad esempio il catcalling, le molestie subite in strada, le battute sessiste, oppure il mancato riconoscimento del ruolo professionale della donna (quante volte in ambienti lavorativi le donne sono passate per segretarie, quando in realtà erano manager o CEO).

Non solo, ci sono anche casi in cui sono le stesse donne ad essere nemiche delle donne, come nel caso delle donne maschiliste, le prime a discriminare le altre donne a volte quasi inconsapevolmente, un chiaro segno di quanto la cultura patriarcale sia radicata nella nostra società e nelle nostre “teste”: lavaggio del cervello perpetuato attraverso millenni di storia.

Il patriarcato passa anche dalla lingua e dalla grammatica, basti pensare all’utilizzo del maschile plurale anche in presenza di termini femminili, così come l’utilizzo esclusivo del maschile per alcune professioni.

Del sessismo nella lingua italiana parla anche un documento redatto dalla Commissione Nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna.

Concludendo, come non “allarmarsi” nei nostri tempi per il “revanscismo” del patriarcato che si manifesta sia a livello personale sia a livello comunitario: guerre, ferro, fuoco e sangue dappertutto?!

F.to Gabriella Toritto

BIBLIOGRAFIA

ISTAT, Indagine sugli stereotipi sui ruoli di genere e l’immagine sociale della violenza nella popolazione adulta, 2019

Heide Goettner-Abendroth, Le società matriarcali del passato e la nascita del patriarcato

Asia occidentale e Europa, Edizioni Mimesis, 2023

Gerda Lerner, La creazione del patriarcato, New York: Oxford University Press, 1986

Giuditta Lo Russo,  Uomini e Padri. L’oscura questione maschile, Roma, Edizioni Borla, 1995

Augenti, Domenico, Momenti e immagini della donna romana. Quasar, 2008.

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