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“CIO’ CHE FA MALE ” ( SECONDA PARTE)- DOTT.SSA RITA FARNETI

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Redazione- Ill feelings invoca una disposizione a farsi carico del dolore, una postura interiore da Alice Hattrick definita l’habitus della knowledge per dare un volto alla sofferenza, nel suo punto più profondo e da ogni possibile angolatura.

Abitiamo luoghi, chiosa l’autrice, affatto comodi, in cui la medicina ha smarrito una propria naturale forma di comprensione.

Come per Virginia Woolf, la malattia è un grande confessionale, ma quando il malato parla al dottore il linguaggio si secca. Sono queste 323 pagine davvero intense, una fotografia lucida, minuziosa, uno spietato report di quanto la persona vive.

La malattia non assegna uno spazio intermedio fra un prima ed un dopo, semplicemente esiste ed avvince.

Se i medici tendono per lo più ad scindere il dolore fisico dal dolore mentale, per la scrittrice inglese questo modo di pensare può spesso costringere un paziente a fare una scelta che gli impone di amputare il dolore della mente da quello del corpo.

Saranno guariti dalla loro malattia (…) ma senza una risposta decisiva sul motivo per cui è successo quanto è successo, la mente è abbandonata, lasciata al perpetuo e desolante interrogarsi.

La scrittrice racconta della sua difficoltà a decifrare il dolore del proprio genitore, a trovare risposte adeguate per un padre malato, ingombrante ma fragile dentro la sua stessa malattia. Un uomo che non era riuscito a salvare se stesso e, forse, aveva voluto tenere i propri cari discosti dall’ indecifrabilità del suo dolore, piuttosto che avvicinarli attraverso condivise riflessioni.

Questa è una domanda alla quale il testo non sembra poter offrire una conclusione soddisfacente, forse perché l’autrice non desidera tradurre la malattia come qualcosa contro cui occorra accanirsi per conquistare la cura ovvero un’obbedienza nell’essere curati che non valuti anche il significato che quella malattia assume in chi la vive.

Abbraccio un futuro disabile, piuttosto che una cura, scrive, rifiutando così l’idea di una società che medicalizza, così attiva e coattiva da imporre di vivere una vita senza dolore.

I nostri corpi sono i nostri archivi, i depositi della nostra conoscenza condivisa (…), penso a mio padre con il suo cuore spezzato, è un uomo che guarda lontano, la sua mente vaga in luoghi di cui nessuno di noi è a conoscenza, mentre il suo corpo rimane nella stanza.

Forse il suo cuore ha fallito a causa di un virus, ma forse anche no. Forse ha fallito perché la sua mente era così impegnata a cercare una cura per il suo archivio che il dolore della sua sofferenza doveva essere riposto da qualche altra parte.

Il suo cuore portava i traumi della sua famiglia mentre camminava in cerchio, continuando a cercare.

Il tipo di linguaggio usato per descrivere e diagnosticare la malattia assimila questo libro ad un’operazione di virtuosismo letterario: sono temi già espressi da Susan Sontag in Illness as Metaphor alla fine degli anni 70 ed Alice Hattrick ne accetta la metafora, fronteggiando l’uso frequente di quei significati che paiono appannaggio esclusivo dei professionisti del settore medico.

Quando il linguaggio della medicina scientifica domina gli incontri tra medici e pazienti, gli effetti possono essere disastrosi.

Non a caso l’autrice sottolinea la vicenda di una donna che aveva tentato di comunicare al medico l’esistenza di un granchio dentro di lei , con chele capaci di lacerarla nel profondo.

Solo anni più tardi un altro dottore, convocato per un intervento chirurgico d’urgenza sulla stessa donna, scoprì l’esistenza di una grande ulcera nello stomaco. Certo non un granchio, come in modo acutamente paradossale quella donna aveva cercato di comunicare, ma comunque qualcosa che la riguardava profondamente.

Troppo talento per la metafora in quella vicenda femminile?

Il libro di Hattrick raccoglie anche molte storie di donne malate, con troppo talento per la metafora, come Elizabeth Barrett Browning , Alice James, Virginia Woolf.

Donne e scrittrici che hanno tentato, e dolorosamente, di descrivere la loro malattia, spesso in contrasto con il linguaggio pubblico, sovente patriarcale, della scienza medica.

Elizabeth Barret Browning descrisse la propria malattia come una strana sensazione di depressione nervosa: è come essere sia senz’anima che disossata.Desolata a sua volta che i medici che aveva consultato non fossero in grado di diagnosticare la sua condizione.

Ill feelings fonde dunque memorie, storia medica, biografia e saggistica letteraria, si ramifica nei registri di donne che hanno dato testimonianza nei loro diari e nelle loro lettere. E’ un’esplorazione commovente e provocatoria della vita dentro la malattia quando inspiegabile dal punto di vista medico, fotografa tanto la paura quanto il non detto, diventa quasi un singulto gutturale dell’umanità malata, affrontata con comprensione istintiva di quel corpo, anche con una rabbia imperturbabile.

Possono a pieno titolo essere considerate pagine vorticose, non solo riflessioni sulla malattia cronica, soprattutto meditazioni sul rapporto con i propri familiari, anche commenti espliciti, crudi, sulla ricerca medica dentro la vita di donne malate dell’Ottocento e Novecento.

Ill Feelings recupera una ridefinizione radicale delle narrazioni dominanti che hanno avvolto salute e dolore, compreso il bisogno di comprender sia l’una che l’altro, dando così voce e forma a nuove e più stimolanti suggestioni.

E’ un libro capace di suscitare sia indignazione sia ammirazione, è un’esplorazione coraggiosa, quasi impopolare, di misteriose eziologie ed effetti della stanchezza cronica.

Sono pagine che raccolgono echi e sussurri, si contorcono in luoghi, scomodi, dalla medicina respinti o addirittura ignorati: esigono di sostare, pensare – e ripensare – dentro una sfida accorata. Se da una parte l’autrice provoca con il paradosso, dall’altra lotta per liberare da convinzioni, forse costrizioni, autoimposte sulla malattia e comunica con furore srotolante anche la mutevolezza dell’esperienza vissuta.

La malattia rammenta l’indefinito di ognuno, i suoi malumori, i segni non tanto di una(supposta) debolezza ma la prova dell’ intrinseca nostra capacità di resistenza.

Ill feelings è un libro che cura, potente contro l’indifferenza, è un testo necessario perché diventa combinazione di memorie, di reportage e di analisi nitidissime, nel complesso dunque un libro profondo e critico.

Rappresenta un modo originale ed impopolare con cui pensiamo alla relazione del corpo con il dolore e narra un processo forse inconsueto per capire cosa significa essere malati cronici.Soprattutto spinge a più compiute analisi e distinzioni fra i sentimenti negativi – che si provano verso la malattia – ed i sentimenti che battezzano quella malattia come inconciliabile con l’immagine di sé, l’ autonomia, la vita di relazione ,la relazione con stessi, obiettivi usuali di una coesa rappresentazione di sé nel mondo.

 

Riferimenti in bibliografia

*Nd.R. Ill feelings is a deeply personal and deeply political reckoning with the nature of illness, inheritance, time, silence, bodies and invisibility.

A.Hattrick, Ill feelings, London,Fitzcarraldo editions, 2021

S.Resnik,Sentire il corpo, in Pensare sentimenti, sentire pensieri, a cura di A. Bimbi, Tirrenia (Pisa), Ed. del Cerro, 1995

Ippocrate di Cos( 460 a.C. circa – Larissa, 377 a.C. )è stato un medico, un geografo e aforista greco antico, ed è considerato ad oggi il padre della medicina scientifica..

S.Sontag,Illness as metaphor,New York,Farrar Strauss and Giraux,1978

Immagine di alice hattrick è tratta da https://www.newstatesman.com/the-culture-interview/2021/10/society-is-ableist-alice-hattrick-on-gender-chronic-illness-and-long-covid

Immagine della fanciulla malata è tratta da https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/d/d0/Sick-girl-christian-krohg-1881.jpg

 

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