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” CHIARA FAVARONE ” – PROF.SSA GABRIELLE TORITTO

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Redazione- Ora trattiamo di un’altra eccezionale personalità femminile che in Età Medievale conquistò un’autorità e una notorietà prodigiose dinanzi alle quali non si può non affermare che anche nell’Età di Mezzo le donne hanno potuto “ricucirsi” uno spazio di libertà e che non sempre sono state relegate in casa dove generalmente erano chiamate a servire.

Chiara visse la propria esistenza fra le mura di San Damiano. Seppe conquistarsi una gloria, oltre che terrena, eterna, destinata a vincere il silenzio di mille secoli. Di lei, fondatrice dell’Ordine delle Clarisse assieme a Francesco Bernardone, si hanno poche notizie. Quelle più certe riguardano la famiglia e derivano dal processo di canonizzazione successivo alla sua morte. Altre notizie sono state reperite in una biografia attribuita a Tommaso da Celano.

Di certo si sa che nacque ad Assisi nel 1194 da una nobile famiglia, i Favarone di Offreduccio di Bernardino. Il 1194 diede i natali anche a Federico Ruggero di Hohenstaufen, Re di Sicilia, duca di Svevia, Re dei Romani, Imperatore del Sacro Romano Impero, Re di Gerusalemme, meglio conosciuto come Federico II di Svevia, nipote di Federico Barbarossa. Sembra non siano attendibili le parentele di Chiara con i conti di Sassorosso e con la casata degli Scifi. Il padre Favarone apparteneva ad una dinastia di cavalieri appartenenti al ceto dei maiores. Ma più che il padre, per Chiara fu importante la presenza della madre, Ortolana Fiumi, donna devota ed energica, nota per i suoi pellegrinaggi in Terra Santa, a Roma e a San Michele sul Gargano.

I viaggi in terre così lontane fanno ipotizzare che Ortolana, madre di Chiara, disponesse di abbondante denaro e che dovesse essere persona molto coraggiosa, capace per fede di affrontare le notevoli difficoltà e le fatiche che così lunghi viaggi comportarono, in particolare modo quello dall’Umbria sino a Gerusalemme. Il soggiorno in Terra Santa ebbe un esito felice per Ortolana, la quale, giovane sposa, al ritorno in Umbria rimase incinta di Chiara.

Chiara, crescendo, divenne determinata e impavida come la madre. Pur essendo dolce e caritatevole, non si ripiegò mai su se stessa e, disposta a privazioni e a escogitazioni varie, raggiunse tutti i fini che si era preposta nella sua esistenza. Le notizie sulla vita di Santa Chiara e sulla famiglia tuttavia sono limitate. Sono addirittura assenti per gli anni relativi al 1093, al 1194, al 1209 e al 1210. Soltanto Tommaso da Celano, autore di una biografia su Chiara, ci ha fornito una ricostruzione “di maniera” che poteva andar bene per illustrare i primi anni di vita di qualsiasi altro santo. Infatti in “La Vita” Chiara viene descritta come brava e buona, generosa, sempre disposta ad aiutare i tanti poveri che a quel tempo affollavano le strade cittadine, come uno dei fiori più belli, più freschi e gentili che “adornassero le strade e le case della città di Assisi”.

Chiara abbandonò ancora giovanissima la sua casa natale per donarsi a Dio, incontrando la resistenza ostinata dei genitori che la volevano dare in moglie a qualche nobile giovane di quelle contrade umbre. Chiara però seguì le orme di Francesco, sebbene questi fosse di dodici anni più grande. Certamente si conoscevano da sempre, abitando vicino ed essendo Francesco molto amico di Rufino, frate della primissima “fraternitas” formatasi all’ombra del Subasio, anch’egli di nobile famiglia, cugino carnale della giovanissima e bellissima Chiara di Favarone.

Il monaco Salimbene de Adam, celebre cronista francese del ‘200, narratore dello “Stupor mundi”, l’imperatore Federico II di Svevia, in “Cronica”, ci ha tramandato su Chiara le stesse informazioni dateci da Tommaso da Celano. Addirittura lo stesso Salimbene, come Francesco e Chiara, lasciando la sua casa in Parma per entrare nell’Ordine Minore, incontrò l’opposizione energica del padre, il quale escogitò persino il rapimento del figlio dal convento di Fano dove il monaco si era rifugiato.

Il 1200 fu un secolo contraddistinto da un contesto storico di grande rilievo e da avvenimenti importantissimi: Gengis Kan conquistò l’Asia; l’Impero Bizantino iniziò il suo lento declino culminato il 29 maggio 1453 sotto i colpi dell’Impero Turco Ottomano; la Terra Santa fu contesa fra Saladino e Riccardo I Cuor di Leone, figlio di quell’Eleonora d’Aquitania, di cui abbiamo già trattato; l’Italia e l’Europa furono dilaniate dalla corruzione dilagante nella Chiesa, dalla “lotta di potere” fra il potere temporale dei Papi e quello degli Imperatori; i Comuni rivendicarono e difesero le loro autonomie e libertà contro il potere assoluto dei sovrani. In tale scenario si diffuse dal “basso” il desiderio di un radicale rinnovamento spirituale della Chiesa, che vide in Francesco e nei suoi seguaci la linfa più vitale e che avviò quella “rivoluzione spirituale” che porterà il nome di Francesco Bernardone ad imperitura gloria .

Contrariamente a quanto ipotizzato da qualche studioso, che ha male interpretato qualche passaggio del loro epistolario, fra Francesco e Chiara non vi fu alcun “affetto terreno”. Molto probabilmente i due giovani si conoscevano da sempre e poi .. ad Assisi chi non conosceva Francesco di Bernardone? Non fosse altro per le “stranezze” della sua esistenza … dapprima noto per la goliardica gioventù, poi per i contrasti con il padre, la rinuncia ad ogni possedimento e ricchezza e la scelta mistica e religiosa.

Di certo fu il cugino Rufino a presentare Chiara a Francesco nel momento in cui la giovane palesò il desiderio di entrare nella loro “fraternitas” per seguirne la vita. Era il 1210 e Francesco, di ritorno da Roma, si stanziò in un poverissimo edificio ai piedi di Subasio, da cui fu cacciato poiché indesiderato e “scomodo” per i suoi concittadini. Il giovane passò quindi ad altra dimora, nei pressi di una piccola chiesa consacrata a Santa Maria degli Angeli, che fu chiamata “Portiuncola”, date le sue ridotte dimensioni: appunto “portiuncola”, ovvero “particella”, “piccola porzione di terreno”, come ancora oggi viene definita nel gergo urbanistico.

Chiara inizialmente mantenne segreta la propria aspirazione; non confessò le proprie intenzioni in famiglia, pur rifiutando formalmente i pretendenti che i genitori le suggerivano. Rufino, suo cugino, che diversamente da Francesco aveva conservato un buon rapporto con la famiglia e con il parentado, raccolse l’inquietudine spirituale di Chiara e la sua confessione di volere seguire Francesco “uomo nuovo che faceva rivivere con rinnovata virtù la strada della perfezione obliata nel mondo”. Anche Francesco volle incontrarla, avendo sentito parlare di lei.

Non si sa quante volte e quando i due santi si incontrarono. Si sa invece che Chiara usciva di casa per incontrare Francesco in grande segreto, facendosi accompagnare ora dalla fidata Bona di Guelfuccio, ora dalla sorella Agnese. Anche l’Assisiate era “scortato” da un confratello durante quegli incontri. Si trattò sempre dell’abruzzese Filippo Longo, nativo di Atri. I due giovani dunque non si videro mai da soli al fine di non scatenare “leggende” pericolose ed infamanti sul loro conto.

Francesco esercitò su Chiara un forte ascendente. La stessa Chiara ci ha tramandato testimonianze di indiscusso valore, rivelandoci alcuni suoi sogni, che, sebbene interpretati da alcuni nel modo meno ortodosso, hanno rivelato il loro alto significato onirico, simbolico, mistico, spirituale. Chiara si affidò profondamente e totalmente a Francesco, proclamando obbedienza solo a lui. Tale fedeltà fu confermata anche dopo la morte dell’Assisiate, avvenuta nel 1226, nei rapporti che la santa ebbe con le gerarchie ecclesiastiche, cui si oppose con determinazione per non tradire la Regola voluta da Francesco e, come il suo maestro e padre spirituale, affermò strenuamente il “Privilegium paupertatis”

Chiara abbandonò definitivamente la sua casa nella domenica delle Palme del 1212, presumibilmente nella notte fra il 18 e il 19 marzo. Altri studiosi hanno anticipato tale data al 28 marzo del 1211. Accompagnata da tre donne, si recò nella chiesa di San Rufino, dove il vescovo stava celebrando la funzione notturna del rito pre-pasquale. In quell’occasione Chiara prese la decisione definitiva alla presenza della sorella Pacifica, che in quel momento sostituì l’altra sorella Bona, la quale in precedenza l’aveva sempre accompagnata ai furtivi e frettolosi incontri con Francesco.

Chiara era fermamente convinta della propria scelta e aveva informato le sorelle. Dunque non si era mossa secondo un intendimento isolato. E’ certo però che non ebbe l’assenso dei propri genitori, ancora fiduciosi in un possibile ripensamento della figlia che spianasse la strada verso le nozze. Così ci fa sapere Cristiana Di Bernardo, altra parente di Chiara, la quale ricordò come la fuggitiva fosse uscita di casa nella notte della domenica delle Palme del 1212 senza passare per il portone principale di casa ma attraverso un’uscita secondaria, aperta anche con una certa difficoltà poiché non veniva quasi mai adoperata.

Dopo la funzione religiosa, Chiara si recò alla “Portiuncola”, situata fuori dalla cerchia delle mura cittadine e distante dall’altra chiesa più di due chilometri. Pertanto non si può neppure escludere che qualche guardia di ronda sia stata la volontaria o involontaria complice della “passeggiata notturna” di Chiara e delle sue sorelle. Una volta alla “Portiuncola” la giovane fu accolta dai confratelli in una “chiesa che le parve piena di luce”, forse anche perché vi entrava dopo un percorso fatto nella più fitta oscurità. “La Vita” di Tommaso da Celano racconta che Chiara gettò subito lontano da sé “la sporcizia di Babilonia” e rivolse al mondo la sua lettera di addio. Poi con un atto grave e deciso si separò dai suoi capelli, tagliati da Francesco; le furono tolte le belle vesti e gli ornamenti che le impreziosivano, per indossare il medesimo rozzo saio dei Frati Francescani; quindi le fu messa una corda ai fianchi, come segno di penitenza. Così la giovane dichiarò di volere diventare umile serva di Cristo.

Da ciò che le fonti storiche riportano Francesco non aveva mai avuto alcuna intenzione di fondare un ordine religioso femminile fino a quella domenica delle Palme in cui Chiara decise di consacrarsi a Cristo. Sempre stando alle testimonianze presentate al processo di canonizzazione del 1205, esauriti i momenti salienti dell’austera celebrazione, Francesco condusse Chiara al monastero benedettino di San Paolo delle Badesse, in Bastia, non lontano da Assisi, dove la futura Santa entrò come conversa. Allo stesso momento si fa risalire la predisposizione di una “Forma vivendi”, prescritta da Francesco per Chiara. Non si trattò di una vera e propria Regula ma costituì una prima raccolta di condizioni disciplinari a cui la nuova adepta  dovette attenersi.

Se Chiara era ormai felice per la scelta di vita tanto agognata, non altrettanto soddisfatti furono il padre e la madre, i quali, informati della decisione della figlia, si recarono a San Paolo di Bastia, sulla strada per Perugia, dove incontrarono Chiara che rimproverarono aspramente, cercando nel contempo di convincerla a tornare a casa, facendo uso ora di blandizie, ora di minacce. La giovane parlò molto poco: si limitò a mostrare ai genitori i capelli tagliati sotto il velo, simbolico e fermo gesto cui faceva seguito un impegno ormai irrevocabile. La ferrea ed inoppugnabile volontà di Chiara non distolse gli intendimenti della famiglia, tuttavia nell’immediato i Favarone non ebbero le aspre reazioni di Pietro Bernardone nei riguardi del figlio Francesco. Infatti i genitori di Chiara, sebbene addolorati e contrariati, non si opposero alla Chiesa e lasciarono la futura Santa a San Paolo di Bastia, dove fu presto raggiunta dalla sorella Agnese, la prima delle altre donne della famiglia Favarone a seguire l’esempio di Chiara. Più tardi sarà la stessa madre Ortolana a emulare le figlie.

La scelta monastica di Agnese, successiva a quella di Chiara, addolorò ancora di più i Favarone, i quali tuttavia, seppure molto contrariati, non furono mai violenti quanto lo fu lo zio Monaldo. Si narra che questi, colto da un vero e proprio furore, in assetto di guerra e al comando di 12 soldati, si recò presso le due nipoti per riportarle, nolenti o volenti, a casa. Quando gli armati e lo zio cercarono di trarre fuori dalle mura monastiche le due donne non riuscirono a farle muovere. Così recita “La vita” di Tommaso da Celano. E quando Monaldo, colmo di ira, cercò di colpire il volto di Agnese, considerandola la più colpevole fra le due, poiché era stata colei che aveva sempre accompagnato in gran segreto Chiara senza mai avvertire i genitori, gli si immobilizzarono il braccio e la mano.

A quel punto ogni successivo tentativo di modificare la scelta di vita monastica fu definitivamente interrotto.

Più tardi Chiara, per calmare gli animi, promise alla famiglia e rassicurò tutti i parenti che avrebbe personalmente vegliato su Agnese. Mentre Francesco, che aveva seguito l’intera vicenda delle due sorelle, dopo aver eseguito il rito del taglio dei capelli e della vestizione della seconda conversa di casa Favarone, comprese che doveva mettere al sicuro le due converse. Fra l’altro ben presto altre donne della famiglia, la stessa Ortolana, seguirono il primitivo impulso di Chiara. Pertanto fu necessario trovare per tutte loro una sistemazione stabile che venne reperita nella chiesa di San Damiano, in precedenza restaurata dal Santo. L’Assisiate scelse San Damiano poiché si trovava sotto la diretta giurisdizione del vescovo di Assisi, uomo energico e prestigioso, il quale non avrebbe permesso a nessuno di arrecare offesa o di porre in pericolo la vita delle monache che vivevano sotto la sua diretta autorità. Così le “Pauperes Dominae” di San Damiano – questo fu il nome dato loro – poterono vivere al sicuro e solo dopo la morte della Santa furono chiamate Clarisse.

Nel 1215 Chiara divenne badessa di San Damiano e Francesco compose per quelle religiose una nuova “Formula vitae”, di cui è rimasto soltanto qualche frammento nella “Regola” scritta da Chiara nel 1252-53. In sintesi, secondo la nuova “Formula vitae”, le monache dovevano vivere in “povertà assoluta, di lavoro, di tribolazione, di avvilimento e disprezzo del secolo”. E nel tracciare il modello di vita il Santo aggiunse il seguente input: “Poiché per ispirazione divina siete divenute figlie ed ancelle dell’Altissimo sommo re, Padre Celeste, e vi siete sposate allo Spirito Santo, scegliendo di vivere secondo la perfezione del Santo Evangelo, voglio e prometto per mezzo mio e dei miei fratelli di avere sempre di voi, come di loro stessi, cura diligente e speciale sollecitudine”. Furono in effetti poche parole ma destinate a rendere Francesco responsabile diretto del gruppo delle consorelle che da quel momento in poi si sarebbe costituito. Il comportamento e le promesse di Francesco rafforzarono i propositi di tutte le donne della famiglia Favarone che, una volta conosciuti propositi del beato padre, abbandonarono qualsiasi iniziale esitazione. La stessa Chiara, comprendendo profondamente lo spirito che animava il suo maestro spirituale, in merito alla composizione della nuova “Formula vitae” precisò, anche a nome delle consorelle, che non temevano né la povertà, né il lavoro, né la tribolazione e che da quella loro condizione sarebbero derivate situazioni che francescanamente lei definì “grandi delizie”.

Nelle parole di Chiara si riscontrò lo stesso spirito con cui il fondatore dell’Ordine dei Minori, Francesco d’Assisi, aveva detto che quanto inizialmente aveva rifiutato come amarezza gli si sarebbe rivelato, una volta avvenuta la conversione, motivo di grande conforto.

I contatti fra Chiara e Francesco continuarono anche dopo l’avvio dell’esperienza monastica delle “Sorores”. Furono contatti spirituali ed organizzativi fra i due grandi santi, uniti dalla comune passione per la fede e la spiritualità. Francesco e Chiara si scrissero lettere che successivamente sarebbero stati importanti in quanto aiutarono a comprendere più a fondo la graduale organizzazione delle Clarisse. I documenti pervenuti a noi però non testimoniano in modo esauriente sulla condizione di povertà. Ulteriori testimonianze sono presenti in quattro frammenti di lettere scritte da Chiara alla Beata Agnese di Praga, figlia del re di Boemia, Ottocaro, che sin dal 1234 fondò un convento, assumendone la guida secondo la Formula di San Damiano. L’autenticità dei frammenti, messa in dubbio in un primo momento, è stata poi accettata nell’edizione di un lavoro risalente al 1924, che ha consentito agli studi francescani di compiere concreti progressi.

Nella “Formula vitae”, affidata da Francesco alle Clarisse, fu prescritto anche il digiuno, pur osservando l’Assisiate una distinzione fra le consorelle giovani e anziane, fra quelle sane o cagionevoli o ammalate. Stando al santo di Assisi il digiuno doveva essere regolarmente osservato, fatta eccezione del giovedì, con l’assenza completa di carne e di grassi animali. Le monache ammalate e cagionevoli in salute dovevano invece essere curate ed erano dispensate da rinunce che avrebbero potuto compromettere ulteriormente la loro salute.

Chiara fu sempre fedelissima alle prescrizioni e ai dettami disciplinari di Francesco, anche quando il santo di Assisi non era più presente fra i comuni mortali. La posizione di assoluta fedeltà ed obbedienza di Chiara rispetto al suo maestro spirituale Francesco fu mantenuta anche quando le autorità ecclesiastiche a più riprese suggerirono una formula di vita meno rigorosa e meno povera al fine di garantire e tutelare una certa indipendenza e tranquillità economica delle suore.

L’intransigenza nel rispetto e nella fedeltà ai dettami del Santo d’Assisi e la volontà di arginare le pressioni del cardinale Ugolino da Ostia spinsero Chiara il 17 settembre del 1228 a rivolgersi direttamente a Papa Gregorio IX, chiedendogli la concessione del privilegio della comune e radicale povertà. Nel documento pontificio Gregorio dichiarò che Chiara non poteva essere costretta da alcuno ad accettare possedimenti. Uguale provvedimento la Badessa Chiara chiese ed ottenne da papa Innocenzo III a conferma e rinforzo di quello già emanato dal predecessore.

L’asprezza e la risolutezza con cui Chiara governò le sue consorelle fu evidente allorquando affrontò situazioni considerate storicamente pericolose. Si narra infatti dell’ardimento e del coraggio di Chiara quando personalmente allontanò da San Damiano la soldatesca saracena che al servizio dell’imperatore Federico II di Svevia infestava la valle spoletana; così come riuscì ad allontanare l’assedio che Vitale d’Aversa, sempre al seguito dell’imperatore svevo, aveva organizzato contro Assisi e i territori circostanti nel 1243.

Fu molto vicina al Santo quando questi si trattenne a lungo a San Damiano per curare la grave malattia che lo aveva colpito agli occhi. Fu in quel periodo che Francesco compose il “Cantico delle creature” e “dettò a Chiara alcune sante parole con melodia a maggiore consolazione delle povere signore del Monastero”.

Il 4 ottobre 1226, all’indomani della morte di Francesco, i cittadini di Assisi, trasportando le spoglie del Santo dalla Chiesa della “Portiuncola” a quella di San Giorgio passarono dinanzi al convento di San Damiano. Quello fu l’ultimo incontro fra i due santi, furtivo come il primo. Francesco fu onorato anche dalle consorelle di Chiara che ne baciarono teneramente le spoglie attraverso la grata appositamente aperta, che pose le “recluse” a contatto con il mondo.

Tommaso da Celano ci ha tramandato il “pianto” di Chiara sul corpo del Santo d’Assisi.

Chiara completò la “Regola” delle Clarisse poco tempo prima di morire e, come riferisce Suor Filippa nel processo di canonizzazione, poté addirittura baciarla pochi giorni prima della sua morte (1235) in una bolla fattale pervenire da papa Innocenzo il quale aveva finito per accettare in pieno il parere delle suore di San Damiano.

Alla notizia del trapasso il pontefice, sempre secondo il racconto di Tommaso da Celano, si recò personalmente presso San Damiano e ordinò di recitare l’Ufficio della Vergine, non quello riservato ai defunti, manifestando così la volontà di considerare ancora viva la Badessa Chiara e il proposito di santificarla subito.

L’iter prestabilito si realizzò in pieno nell’autunno del 1255 allorché fu emanata la bolla di canonizzazione “Clara claris, praeclara meritis” in cui, nel raccontare i momenti salienti della vita della santa, il pontefice usò per ben 11 volte la parola Clara e ben 19 vocaboli derivati dallo stesso termine. Nello spirito di quel testo sembra riecheggiare il raro elogio di Tommaso da Celano: “Clara nomine, vita clarior, clarissima morbus”.

Nel 1251, da Lione dove Papa Innocenzo IV ancora risiedeva dopo il famoso concilio che aveva segnato la fine della parabola imperiale di Federico II di Svevia, raggiunto dalla scomunica maggiore che lo associò “cum Sathana et diabolo”, il pontefice inviò a Perugia esponenti della Curia guidati dal Cardinale Rinaldo al fine di esercitare sulle consacrate vive pressioni e giungere alla conferma della Regula di San Damiano.

Nel settembre del 1252 la Regola ottenne il definitivo crisma. 

F. to Gabriella Toritto

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