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” MARGHERITA DATINI” – PROF.SSA GABRIELLA TORITTO

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Redazione-  Se si procedesse con preconcetti o con superficialità sembrerebbe che nell’Età di Mezzo le donne abbiano inciso poco o niente nella vita produttiva e culturale ma uno studio più approfondito rivela come esse siano state sorprendenti e vitali nei vari gangli della società, anche in quello mercantile ed imprenditoriale.

La filatura e la tessitura, ad esempio, erano appaltate alle contadine, alle donne dei centri urbani, sebbene fossero salariate e poco retribuite e non possedessero neppure gli strumenti di lavoro, date loro in prestito solo il tempo necessario ad espletare e completare il lavoro.

La presenza femminile in certi comparti produttivi è attestata dai libri delle matricole delle Arti dove tuttavia risultano indipendenti solo le artigiane della panetteria, del commercio oliario e del sistema locandiero.

I catasti, in particolare quello fiorentino instituito nel 1427 e ricco di dati, sono stati fonte inesauribile di informazioni del circuito produttivo ed economico tardo medievale. Gli epistolari, i libri di ricordi, anche le notizie di carattere più privato ci hanno consegnato preziose notizie di autrici, di mogli, di figlie, di vedove di coloro che resero florida l’economia italiana di quel periodo e che ebbero al fianco compagne che assicurarono stabilità e concretezza fra le mura domestiche a uomini impegnatissimi e spesso lontani da casa; compagne, donne, che al momento opportuno furono in grado di tutelare con buon senso e necessario equilibrio le aziende di famiglia.

Uno dei più significativi esempi di rapporto commerciale e al contempo familiare fu quello fra Margherita e Francesco Datini.

Francesco, famoso operatore economico di Prato, fu reso celebre grazie ad un archivio a noi pervenuto in ottime condizioni di conservazione e diventato fonte di ragguardevole messe di studi.

Accanto a Francesco di Marco Datini va ricordata Margherita, sua moglie, di vent’anni più giovane, legata al marito non solo da un tradizionale, saldo senso della famiglia ma da un profondo affetto, accresciuto attraverso i trentaquattro lunghi anni di vita matrimoniale.

Margherita di Domenico Bandini nacque a Firenze probabilmente nel 1357. Dopo la scomparsa del padre, assassinato per motivi politici, fu costretta all’età di tre anni a fuggire con i suoi familiari ad Avignone, dove si rifugiò.

La città, allora sede del papato ormai lontano da Roma da quasi mezzo secolo, oltre che fungere da asilo per i perseguitati politici, tra cui la famiglia di Francesco Petrarca, fu anche sede di fiorenti commerci, frequentata spesso da mercanti italiani, in particolare dai toscani. Fra questi ultimi vi fu Francesco Datini che nel 1376 prese in sposa la giovane Margherita proprio ad Avignone.

Francesco Datini , allora mercante quarantenne, era titolare di una nota e florida azienda tessile con sede a Prato. Viaggiò molto, avendo delle filiali della sua azienda oltralpe. Fu ad Avignone che incontrò la moglie.

L’unione fra Francesco e Margherita fu ben assortita, nonostante fra i due vi fosse una importante differenza di età e nonostante le crisi matrimoniali attraversate e causate da una serie di fattori, come la sterilità della donna che non diede eredi al marito; le frequenti assenze di Francesco che per motivi di lavoro lasciava sola Margherita per interi mesi; le relazioni extraconiugali del mercante che peraltro rientravano nella consuetudine di un mondo di uomini in continuo movimento.

L’intesa fra i due coniugi tuttavia divenne molto forte nel tempo e lo si può evincere facilmente dall’importante e folto epistolario che Margherita inviò al marito nel corso dei suoi lunghi viaggi.

Margherita inizialmente non sapeva né leggere né scrivere e non aveva ricevuto alcun tipo di preparazione culturale se non quella che allora era ritenuta indispensabile per una buona moglie e una brava organizzatrice di vita domestica. L’inutilità dell’alfabetizzazione femminile inoltre era stata più volte affermata anche da Paolo da Certaldo, contemporaneo di Margherita, il quale, in qualità di pedagogista di quel periodo, aveva teorizzato nella sua opera “Libro di buoni costumi” come un genitore nei riguardi della figlia dovesse “polla a cuscire e none a leggere, ché non è istà troppo bene a una femina sapere leggere, se già no la volessi fare monaca”.

Ne consegue che Margherita dettò la maggior parte delle epistole indirizzate al marito e giunte fino a noi, ad eccezione di quelle scritte quasi in vecchiaia, il che avvalora l’intelligenza e la notevole forza di volontà della donna, avendo ella appreso i rudimenti della cultura scritta ad età inoltrata.

Margherita Datini trascorse buona parte della propria esistenza matrimoniale impegnata nelle faccende domestiche e nella gestione del palazzo di famiglia, l’attuale prestigiosa sede dell’archivio di Stato di Prato, che la tenevano impegnata quotidianamente.

Gli scambi epistolari fra Margherita e Francesco sottintendono una affettuosa complicità fra i due. Costituiscono un aggiornamento continuo sugli avvenimenti casalinghi e sono ricchi di esortazioni a portare avanti un’esistenza più riposata e tranquilla, resa meno tumultuosa dai continui spostamenti. Rappresentano la testimonianza veritiera ed emblematica dei sentimenti della moglie di un mercante del tardo ‘300 e al contempo lo specchio fedele sia dell’esistenza inquieta ed errabonda degli operatori economici di quel periodo storico (condotta dalla prima giovinezza fino all’estrema vecchiaia), sia dei rapporti di profondo e mutuo affetto che distinsero la vita matrimoniale dei coniugi Datini.

Margherita esortò spesso il marito a cambiare vita, a restare più tempo a casa, accanto a lei, sua sposa, però, allorquando la  donna si accorgeva che Francesco stava per mollare tutto a causa della stanchezza, gli ricordava che non bisognava abbattersi, né lasciarsi vincere da una giornata difficile o da un malessere passeggero e che occorreva “tenere duro” e andare avanti.

Nelle missive Margherita ragguagliò il marito su quei commercianti che avevano concluso buoni affari o che si erano ritrovati in situazioni negative. Descrisse esempi fortunati e critici, nonché il mutevole, altalenante mondo di Prato, che la donna conobbe bene e dove si trovarono molte persone dedite al commercio.

La moglie di Francesco Datini mostrò di sapere con precisione come funzionava il mondo mercantile, estremamente incostante, dove si alternavano situazioni felici ed altre avverse. Dalle lettere della donna poi si apprende che in generale la compravendita dell’azienda di famiglia andava bene e che la situazione economica procedeva nel migliore dei modi. Margherita informò il marito su tutto ciò che accadeva nella città di Prato e dintorni. Consigliò sempre il marito alla prudenza perché le difficoltà erano purtroppo in agguato e se c’era chi vinceva, c’era anche chi era destinato a soccombere o a fallire, evento che era visto come una sciagura irreparabile nel commercio, dove ci si affaticava giorno e notte per raccogliere ciò che era possibile. Esortò incessantemente Francesco a stare molto attento, pronto a cogliere il buon vento e a fiutare ogni sorta di avversità.

Da quanto scritto appare evidente che Margherita, pur nella sua giovane età, fu tutt’altro che debole. Fu molto vigile ed accorta e, se da una parte non nascose le difficoltà incontrate durante la sua esistenza, trascorsa priva dell’appoggio costante del marito, dall’altra fu consapevole dei propri doveri. Spronò e consolò il consorte. Gli fece presente che il suo dovere era quello di non arrendersi mai.

Le sue lettere sincere e autentiche sono state considerate fonte di informazioni valide ed importanti, poiché rivelatrici della situazione economico, sociale e commerciale dell’Italia di fine ‘300.

Grazie a questa donna il nome dei Datini fu scritto a buon diritto fra gli imprenditori del tempo.

La saggezza di Margherita, la ricchezza di quel mondo fatto di sincerità e di schiettezza furono evidenti anche nell’impulso di grande generosità con cui la donna accolse la figlia naturale che Francesco ebbe da una schiava. Non si seppe mai in seguito a quali eventi, peraltro destinati a rimanere abbastanza misteriosi.

La bambina, chiamata Ginevra Datini, fu amorevolmente accolta nel palazzo di famiglia per ben dodici anni, fino al 1407, quando fu data in sposa a Leonardo di ser Tommaso Giunta.

Margherita sopravvisse al marito, scomparso nel 1410, per tredici anni e lasciò quasi tutte le sue sostanze ad una fondazione caritatevole, istituita e patrocinata dal Comune di Prato. L’assenza di eredi maschi giustificò tale decisione mentre la condizione di Margherita in vita rimase più che buona, libera da preoccupazioni economiche. La sua vita fu abbastanza serena e tranquilla, cosa non da poco nell’ambiente commerciale del tempo in cui spesso si verificavano veri e propri tracolli economici.

Se Francesco Datini non avesse avuto al proprio fianco una donna come Margherita, a cui consegnò un ruolo non marginale nella gestione della comune vita quotidiana e dell’azienda familiare, non avrebbe potuto diventare l’impresario ricco, potente e stimato tanto da rappresentare anche nei secoli successivi il simbolo dell’iniziativa mercantile del Basso Medioevo. E se stimato imprenditore fu lui, al pari fu considerata Margherita, donna accorta e avveduta, consapevole dei doveri della compagna di un commerciante da fiancheggiare giorno per giorno alla conquista di un benessere sempre maggiore.

F.to Gabriella Toritto

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