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“L’ESTETICA DEL CINEMA” SECONDO MARIO PEZZELLA- DOTT.SSA STELLA CHIAVAROLI

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«Non c’è nessuna forma d’arte come il cinema per colpire la coscienza,

scuotere le emozioni e raggiungere le stanze segrete dell’anima».
(Ingmar Bergman)

Redazione-Etimologicamente il termine “ESTETICA DEL CINEMA” ha a che fare non con la bellezza, ma con la sensibilità. Estetica: àestesis (=sensibilità, percezione).Si tratta di una disciplina difficilmente definibile la quale si occupa di una grande varietà di oggetti tra cui il bello, l’arte, la sensibilità.Così come le arti permettono di percepire e di venire a contatto direttamente con l’anima, il cinema raggiunge lo stesso obiettivo: narrando eventi immaginati o prendendo spunto dalle realtà.Il cinema ha rappresentato da sempre una delle forme di comunicazione.Cinema e pensiero sono alla base della nascita delle teorie elaborate nel mondo del cinema.La comunicazione nel mondo del cinema attraversa una ricomposizione delle istanze del reale, della cultura e delle mentalità di un epoca.Molti sono stati gli illustri studiosi dell’estetica del cinema.Si riportano testualmente alcune definizioni di maggiore rilevanza scientifica:

“Il cinema è come un Essere Pensante in grado di osservare il mondo con una potenzialità infinitamente superiore a quella di un essere umano”

                               (Jean Epstein)

“Il cinema è un mezzo che provoca nello spettatore una sollecitazione del pensiero”

                             (Ejzenstejn)

“Il cinema è oggetto privilegiato ancora una volta intesa come macchina per pensare analoga allo spirito umano”

                               (Edgar Morin)

“Il cinema è l’nesperienza simile alla vita psichica dell’uomo,

in grado di ripercorrerne i momenti fondamentali”

                                (Metz)

Secondo Bergson[1], il cinema e la filosofia sono due attività analoghe, interrogarsi sul cinema vuol dire chiedersi cosa è la filosofia (Cinema: creatore di immagini e di segni. Filosofia: creatore di concetti.)

L incontro tra i due avviene quando entrambe devono risolvere lo stesso problema con i propri strumenti, infatti ciò che emerge dal cinema è proprio la sua attitudine a produrre nuovi concetti facendo del cinema un vero e proprio oggetto della filosofia.

La questione ‘dell’apprendere ad apprendere’, in particolare, viene connessa all’esperienza estetica, in quanto può essere ritenuta una metacompetenza che si avvale della capacità negativa, cioè “passerebbe attraverso la capacità di persistere nel sopportare l’incertezza, il mistero, il dubbio […]”.[2]È dunque interessante notare come la capacità negativa, nella prospettiva bioniana, venga esplicitamente connessa alla capacità di sostenere l’ambiguità, lo stupore e la meraviglia. “Si vuole, attraverso ‘la capacità negativa’, preservare l’autonomia di un pensiero orientato da una ragione possibile, contro ogni totalizzante positività. Attraverso tali prospettive si salvaguardia la suggestione meta-razionale di un pensiero narrativo, di un qualcosa non parcellizzato compiutamente e capace di nutrire un residuo non completamente analizzabile”.[3]

 Affinché, dunque, l’educazione estetica possa costituirsi come uno strumento con cui impedire l’uniformità del gusto, con cui sviluppare una certa dose di giudizio critico, che spinga l’educando a reagire contro il conformismo e la consumazione passiva di forme, è importante che le forme dell’arte ma anche quelle offerte dai paesaggi della vita quotidiana non vengano decodificate secondo schemi prefissati ma in base alla propria intelligenza creativa. Si afferma insomma l’esigenza di un’educazione al potere di discernimento e di apprezzamento della forma, alla conoscenza dei più svariati linguaggi artistici.

L’estetica del Cinema nel pensiero generale di Mario Pezzella mostra una vision assolutamente innovativa.

L’autore  del testo: “Estetica del cinema” Mario Pezzella, professore di Estetica presso la Normale di Pisa, ha dedicato numerosi studi al cinema e alla società dello spettacolo. In questo testo, Pezzella attraversa un ventaglio incredibile di temi strettamente connessi al cinema, dalla questione della corrispondenza fotografico-mimetica col reale, al suo estremo opposto, ovvero l’ascesa e il trionfo del cinema fantastico e spettacolare; e grande attenzione è riservata anche alla riflessione sui mezzi di cui il cinema si avvale, dall’inquadratura al montaggio, che hanno ispirato le teorie più importanti dello scorso secolo, da quelle di Bela Balàzs a quelle di Sergej ,Michajlovič Ėjzenštejn, per arrivare al pensiero di Gilles Deleuze, il pensatore che negli anni ‘80 che introduce un nuovo modo di mettere in relazione cinema e filosofia.

Pezzella non commette l’errore molto diffuso nel suo settore di trascurare dei referenti concreti tra i registi, soprattutto perchè come nel già citato Ejzenštejn e in Pasolini le due figure vanno a coincidere. Ma anche grandi classici come Murnau, Welles, Hitchcock trovano spazio nel volume, basti pensare che esso si conclude con due “Esempi di analisi”, una sorta di applicazione dell’apparato teoretico e concettuale, dedicati a “Il trionfo della volontà” di Leni Riefenstahl e “Fitzcarraldo” di Werner Herzog.

A oltre un secolo dalla sua nascita, il cinema è da sempre costante fonte di riflessione filosofica. Mario Pezzella “nell ’estetica del cinema” considera a buon diritto l’arte emblematica della modernità, fino alla metà del Novecento in cui  il cinema ha avuto tra le diverse forme di spettacolo di massa un chiaro ruolo egemone. La sua storia è divisa fra gli stereotipi del puro intrattenimento, che stimola l’identificazione e lo stupore passivo dello spettatore, e le forme critico-espressive, che vorrebbero indurlo ad approfondire ed elaborare consapevolmente il fluire delle immagini. Nel delineare un’estetica del cinema, Mario Pezzella  da un lato analizza i diversi linguaggi cinematografici sperimentati nel corso del tempo, dall’altro identifica i tratti costitutivi dell’arte cinematografica: la mimesi della realtà, la narrazione, l’immagine, il montaggio.[4]

La dimensione artistica è stata la prima aspirazione del cinematografo, ma solo all’inizio degli anni Venti, grazie ai miglioramenti tecnici nelle riprese, alla raffinatezza delle immagini e all’impiego di cifre metaforiche e allusive, alla capacità di confezionare in serie prodotti sempre più interessanti, il cinema supera la fase del velleitarismo e può seriamente reclamare i titoli per entrare nel novero delle arti contemporanee. Questo processo – avallato dall’insorgente attenzione dell’arte moderna, soprattutto delle avanguardie, per il linguaggio del cinema – si traduce nella considerazione di molti film come vere e proprie «opere d’arte» e, dal canto suo, l’efficacia spettacolare che trascina le masse ha condotto il nuovo mezzo a un grado di maturità linguistica che influenza in modo significativo la riflessione nella cultura e nelle arti figurative.

Mario Pezzella mette in risalto come le vere chiavi per entrare nel Parnaso sono   tuttavia l’individuazione di un peculiare concetto di «autore», allorché nella massa degli operatori si distinguono i privi veri registi, e soprattutto di forme espressive caratteristiche tali da indirizzare la riflessione verso la determinazione di uno «specifico filmico», che metterà in questione gli elementi distintivi della nuova forma di espressione artistica. Con il tempo, grazie ai contributi di pensatori come Walter Benjamin, Siegfied Kracauer, Béla Balázs,Léon Moussinac, Christian Metz, André Bazin, Georges Sadoul, Gilles Deleuze e molti altri, si profila un’Estetica del cinema come disciplina autonoma che demarca un suo spazio riconoscibile e autonomo per la teoria del cinema.

Dopo la «macchina economico-industriale», che sostiene la produzione e la circolazione dei film, e quella «psicologica», che ne regola la comprensione e il consumo, per usare i termini di Christian Metz, si avvia la terza macchina del cinema: quella «discorsiva» che stabilisce gerarchie di valori e confronti con altri fenomeni, contribuisce a rendere intelligibile quanto viene prodotto e consumato, inquadra le novità, stimola le aspettative.

Gli approcci teorici al cinema, passano ad un linguaggio d’arte peculiare o medium tra i media, mentre l’analisi delle singole opere nella loro specificità genererà il settore della «critica cinematografica».

L’espressione estetica del cinema si lega ad una particolare arte come la pittura, la musica, la fotografia, effetti visivi, sonori,coloristiche e così via.

All’edificazione del «nuovo» ambito di riflessione contribuiscono dall’esterno scrittori, giornalisti e intellettuali desiderosi di emancipare la loro «professione».

Mario Pezzella nel suo testo cita Walter Benjamin, il quale ritiene che il  cinema sia stato considerato unanimamente come l’arte tipica della modernità, la modalità espressiva più in linea con la vita metropolitana sorta con i grandi agglomerati urbani, il cui ritmo ben rifletteva le nuove tempistiche del lavoro in fabbrica. Il suo potere di fascinazione è stato sfruttato dal sistema sociale per offrire alle masse degli efficaci prodotti di divertimento, nonchè di promozione dei valori sui quali si basava.

Walter Benjamin, aveva compreso già dal 1936 che il cinema avrebbe comportato una radicale svolta per l’estetica e la teoria dell’arte nel mondo contemporaneo.

      Egli, infatti, sottolineava nella sua  opera d’arte come una idea classica di arte fosse ormai al tramonto, e che fossero necessarie nuove categorie per indagare a fondo le specificità dell’arte del Novecento, così intrisa di tecnica e politica.

Walter Benjamin, si sofferma, tra l’altro, sulla capacità della macchina di dare all’umana percezione del mondo una sorta di plusvalore, mettendo a nudo l’inconscio ottico: rivelando, cioè, cosa c’è tra la mano e la penna che essa impugna. Benjamin già si avvicina ad una concezione estetica fisica, quantistica del cinema, per cui la macchina da presa non riproduce passivamente la scena allestita dal cineasta, non illustra, cioè, uno “spazio” inteso in senso rinascimentale, bensì interagisce con un campo di energia che non va più solo visto, ma sentito, percepito. Ecco allora lo sganciarsi della macchina cinema dalla tirannia autoriale dell’artista; ecco inverarsi l’intuizione hegeliana, non più utopia, non più mera suggestione, di una forma obiettiva data al sentire estremamente e irrimediabilmente soggettivo dell’artista romantico.

La parte costruttiva e razionale della lavorazione di un film da parte del regista e del montatore, quella appunto del montaggio delle sequenze secondo un ordine che sarà sempre arbitrario, anche nei tentativi più arditi di costruzione onirica e a-logica di assemblaggio delle parti, non si puo’ ignorare.

Secondo la teoria benjaminiana, dello choc cui il cinema, arte purissima della modernità, sottopone lo spettatore attraverso la sua natura discontinua e frantumata, se giustifica l’assimilazione dell’esperienza ricettiva a quella del sogno (oltre che accostare la fruizione cinematografica all’incontro dell’uomo metropolitano con la fantasmagoria della merce), e dunque rende legittima la distrazione che accompagna la visione, propone anche un risvolto critico dalla parte del fruitore, piuttosto che dell’autore.

Scrive Mario Pezzella:

      “Benjamin ha considerato le forme della ricezione distratta in una duplice prospettiva: da un lato essa è semplicemente la forma percettiva della fantasmagoria delle merci […]. Ma d’altra parte è possibile rovesciare criticamente l’attenzione distratta […]. A questo scopo la ricezione nella distrazione deve essere integrata da un altro polo, quello della “presenza di spirito” […]. Essa realizza una forma nuova e diversa di selezione percettiva: nel mare delle connessioni possibili, attualizza esattamente quelle che corrispondono ai conflitti da cui sono investito, ai pericoli che mi minacciano, alle possibilità di salvarmi”.[5]

Il cinema, in altre parole, offre allo spettatore (costituzionalmente distratto) gli strumenti per operare una scelta, desta e consapevole, fra i “possibili” messigli a disposizione in modo neutro dal sentire della macchina.

Il tipo di cinema così auspicato da Benjamin è quello critico-espressivo, di contro al cinema spettacolare che mira a tenere il più possibile lo spettatore in uno stato di contemplazione passiva, lascian-dolo, attraverso un montaggio che dia l’illusione della lineare continuità della storia, al di qua della soglia della “presenza di spirito”.

“Il cinema è il sintomo espressivo e insieme l’antidoto possibile alla di-strazione dispersa, in cui avviene l’esperienza moderna. Con le tecniche del primo piano, del rallentamento, dell’accelerazione, pone in rilievo ciò che resta inconscio nella percezione abituale. Ci rivela così un vero e proprio “inconscio ottico”, dilatando e dividendo anche il più semplice dei gesti e così rendendolo presente allo spirito. Il gesto è la vera cellula originante del cinema critico-espressivo, che lo strappa alla ricezione distratta del cinema spettacolare”[6]

Scrive De Bernardinis:

“Il cinema […] è il luogo di un sentire, un sentire innanzi tutto “artificiale” perché della macchina, e anche “impersonale” perché il cineasta non penetra affatto il mondo immaginandolo nel proprio genio, ma egli si fa, per così dire, un tramite della macchina stessa, un’eco di pietra del campo estetico che il dispositivo cinematografico del set produce intorno. Il cinema, così, è innanzi tutto arte meccano-performativa, apparato tecnologico in azione, immagine prodotta in movimento che scandaglia il mondo e i suoi infiniti particolari, obiettivamente, senza che tale interiorizzazione pervenga a deformare l’apparenza delle cose“[7]

  1. Balázs, che scrive:

    “Nei recenti film americani i personaggi parlano troppo e spesso dicono cose superflue. Fatto sintomatico: dimostra che il film americano è ripiombato al livello del teatro fotografato”[8]

    “Il film sonoro […] è così ricco di rappresentazioni visive da concedere ben poco spazio alla parola. Anche il film sonoro è composto da una serie di immagini, e la parola appare ‘dentro’ l’immagine, ne costituisce uno degli elementi, come una linea o un’ombra. Il suono completa e sottolinea l’impressione suscitata dalle immagini. Ecco perché esso non deve imporsi

in modo troppo sensibile allo spettatore”. [9]

     Il sonoro dunque come un elemento aggiunto a ciò che innanzi tutto è, anzi deve essere, immagine. Ma il caso esemplare, come si è già detto, è quello di Rudolf Arnheim.

Nella storia della cultura occidentale, un tema di grande interesse è la nascita del cinematografo, com’è noto in Francia (1895), in coincidenza con lo sviluppo dell’intuizionismo di Bergson, della fenomenologia trascendentale di Husserl e con la parallela affermazione della “nuova psicologia” della forma (Gestalt).

     Si tratta di tre eventi epocali che non vengono a coincidere per caso.

Il secolo XX si apre con il consolidamento di una caratteristica peculiare della Modernità: la “mobilizzazione infinita” (P. Sloterdijk).

La Modernità è ontologicamente un puro essere-verso-il-movimento, in perpetua trasformazione.

Il cinematografo, in quanto arte della scrittura di immagini in movimento, esprime in modo eminente l’avvento di questo carattere-valore storico della mobilizzazione.

Due filosofi più vicini a noi, Gilles Deleuze (1925-1995) e Maurice Merleau-Ponty (1908-1961)[10]hanno svolto delle analisi molto acute sulla natura filosofica dell‟opera cinematografica in rapporto alla filosofia stessa, alle radici del pensiero occidentale.

Deleuze è autore di due scritti sul cinema: L’image mouvement –Cinéma 1 (1983) e L’image-temps –Cinéma 2(1985).

Uno dei primi temi che Deleuze affronta in L’image-mouvementè quello della natura del movimento, problema classico della filosofia.

  • Nel farlo, si confronta con tre tesi di Henri Bergson (1859-1941), formulate nelle due opere contemporanee alla nascita del cinematografo : Matière et mémoire (1896) e L’Evolution créatrice (1907).

La tesi: i quattro generi di movimento (kìnesis) individuati dalla scienza aristotelica erano:

1/ traslazione;

2/ generazione;

3/cambiamento quantitativo;

 4/cambiamento qualitativo.

Il rinnovamento dei paradigmi di pensiero, occorso con l’Illuminismo, ha condotto a nuova formulazione delle conoscenze sulla vita, la storia della vita, lo psichismo, il cervello, la memoria, l’atomo ecc.

Il cinematografo è entrato in scena, un secolo dopo, precisamente nel momento in cui quel dualismo iniziava a vacillare in modo definitivo, ossia nel momento di una “crisi storica della psicologia”.

E’il momento in cui, con la nuova psicologia, il mondo entrava nella coscienza. Il movimento entrava dentro la coscienza interna del tempo, in quanto durata.

La prima tesi di Bergson, presa in esame da Deleuze è così sintetizzabile:

“Non si può ricostituire il movimento con posizioni nello spazio o con istanti nel tempo, cioè con delle “sezioni‟ immobili.Tale ricostituzione si fa solo congiungendo con le posizioni o con gli istanti l’idea astratta di una successione, di un tempo meccanico, omogeneo, universale e ricalcato dallo spazio, lo stesso per tutti i movimenti”.

    Si oppongono allora due formule irriducibili: movimento reale -> durata concreta, sezioni immobili + tempo astratto.[11]

La Seconda tesi: L’evoluzione creatrice(1907) chiama “illusione cinematografica” quell’errore di concetto, proprio del pensiero occidentale (fin dall’età di Zenone), di ricostituire il movimento con istanti o posizioni giustapposti.

Ma ci sono due modi per farlo, l’antico e il moderno. Per gli antichi il movimento rinvia ad elementi intelligibili, Forme o Idee che sono esse stesse immobili ed eterne.

Per ricostituire il moto, si coglieranno allora tali forme nel momento più prossimo alla loro attualizzazione in una materia-flusso.

Sono potenzialità che passano all’atto solo incarnandosi in una materia.

L’istante è un elemento formale trascendente, “una posa”, osserva Deleuze, che s’incarna nella materia.

“Il movimento così concepito sarà dunque il passaggio regolato da una forma all’altra, cioè un ordine delle pose o degli istanti privilegiati, come in una danza”.[12]

Osserva acutamente Deleuze:

“Ovunque, la successione meccanica di istanti qualsiasi sostituiva l’ordine dialettico delle pose (…). Il cinema sembra essere appunto l’ultimo nato di questa stirpe evidenziata da Bergson. Si potrebbe concepire una serie di mezzi di traslazione (treno, auto, aereo…), e parallelamente una serie di mezzi di espressione (grafica, foto, cinema…): la macchina da presa apparirebbe allora come un meccanismo di scambio, o piuttosto un equivalente generalizzato dei movimenti di traslazione” [13]

Il cinematografo (alcuni teorici insisteranno su questa denominazione) è come la scatola magica che “riproduce il movimento in funzione del momento qualsiasi, cioè in funzione di istanti equidistanti scelti in modo da dare l’impressione di continuità” (ibidem).

Il cinematografo riscrivela realtà nella coscienza.

La terza tesi è  un terzo punto di vista sul cinema.

Per la seconda tesi il cinema può essere definito come “il sistema che riproduce il movimento riportandolo “all’istante qualsiasi”[14]

In questa tesi s’afferra pure l’essenza tecnica del cinematografo (e la sua “illusione”), ma in essa non s’offre alcun interesse dal punto di vista artistico.

L’arte sembrava doversi legare a una sintesi più alta del movimento e “restare legata alle pose e alle forme che la scienza aveva ripudiato. Ci troviamo proprio nel cuore della situazione ambigua del cinema come „arte industriale‟: non era né un arte né una scienza” [15]

In questione, nell’analisi del movimento d’immagini, è il ruolo che vi gioca il cambiamento. (3a tesi).

Nella prospettiva della terza tesi, il cinematografo si presenta come l’arte della rappresentazione del cambiamento, nelle immagini della coscienza. L’arte della rappresentazione e della produzione del nuovo.

Gli antichi si riproponevano di pensare l’eterno, i moderni sono i paladini del divenire, del cambiamento, legato alla mobilizzazione infinita.

Osserva dunque Deleuze, leggendo Bergson:

“Non soltanto l‟istante è una sezione immobile del movimento, ma il movimento è una sezione mobile della durata, cioè del Tutto o di un tutto. Ciò implica che il movimento esprime qualcosa di più profondo del cambiamento nella durata o del tutto (…). Ciò che costituisce problema è da una parte questa espressione, dall’altra questa identificazione tutto-durata”

Eccoci giunti alla definizione del cinematografo come arte dell’espressione (o scrittura) di un tutto-durata, tramite immagini-movimento. Una nuova arte capace di produrre un cambiamento.

Il movimento rinvia sempre a un cambiamento [16]che in questa terza tesi si presenta qualitativo.

Partendo dalla conclusione di Deleuze, a proposito del cinematografo, che si riassume in tre capi:

1) non vi sono soltanto delle immagini istantanee, cioè sezioni immobili del movimento;

2) vi sono immagini-movimento che sono sezioni mobili della durata;

3) vi sono infine immagini-tempo, cioè immagini-durata, immagini-cambiamento, immagini-relazione, immagini-volume, aldilà del movimento stesso…”

Si tocca toccha un pan-visualismo, per così dire, dal quale si procede poi ad abbozzare una vera e propria nomenclatura concettuale del linguaggio cinematografico, o della percezione in generale.

Tale approccio ha un precedente illustre nella Fenomenologia della percezionedi Merleau-Ponty.[17]Deleuze rileva, sulla scia di Bergson, che nell’opera cinematografica il tutto non può essere dato: ad es. di un’esistenza narrata in un film non si può dar conto mai in modo integrale. Perciò:

“Se il tutto non può essere dato, ciò avviene perché esso è l’Aperto, e spetta a lui cambiare senza tregua e far sorgere qualcosa di nuovo, insomma durare. La durata dell’universo deve essere una sola cosa con la latitudine di creazione che può trovarvi posto. Tanto che ogni volta che ci si troverà davanti a una durata o in una durata, si potrà concludere con l’esistenza di un tutto che cambia, e che è aperto in qualche parte”.

Per Bergson la durata è identica alla coscienza, che è apertura su un tutto in evoluzione.

L’ “evoluzione creatrice” è quel “registro aperto in cui s’iscrive il tempo”.

Il cinematografo è l’arte che dà meglio conto di come e cosa vi può essere scritto nel registro.

L’analisi filosofica dei fondamenti del cinematografo, porta Deleuze a soffermarsi  sulla questione della natura del tutto in movimento. In questo s’individuano due aspetti.

L’essere in relazione (oggettivo)

La durata (soggettivo).

L’opera cinematografica riunisce in sé entrambi e li “riconcilia” artisticamente:

“Al termine di questa terza tesi, ci troviamo in effetti su tre livelli:

 1) gli insiemi o sistemi chiusi, che si definiscono attraverso oggetti discernibili o parti distinte;

2) il movimento di traslazione, che si stabilisce tra tali oggetti e ne modifica la rispettiva posizione;

 3) la durata o il tutto, realtà spirituale che non cessa di cambiare secondo le sue relazioni proprie”

Deleuze riconosce all’opera, nella rappresentazione del moto, questi tre livelli come livelli interagenti che si aprono gli uni agli e sugli altri.[18]

Deleuze mette a fuoco  la caratteristica peculiare del cinema, come dell’arte che meglio esprime la realtà propria dell’epoca della mobilizzazione infinita:

Col movimento il tutto si divide negli oggetti e gli oggetti si riuniscono nel tutto e, tra loro, per l’appunto, tutto cambia. Possiamo considerare gli oggetti o le parti di un insieme come sezioni immobili; ma il movimento si stabilisce tra queste sezioni, riporta gli oggetti o le parti alla durata di un tutto che cambia, esprime dunque il cambiamento del tutto nei confronti degli oggetti, è esso stesso una sezione mobile della durata”.

Per Deleuze la tesi tanto profonda della  Materia e della memoria è la concettualizzazione meglio riuscita dell’essenza dell’arte cinematografica.

Le  cosiddette Leggi dell’organizzazione della forma[19]sono così riassumibili:

  1. Legge della vicinanza, per la quale quanto minore è la distanza, nello spazio e nel tempo, che separa gli oggetti di un insieme, tanto più grande sarà la tendenza a percepire quegli oggetti che appartenenti a un’unità.
  2. Legge della similarità, per cui all’interno di un insieme costituito da più elementi, si manifesterà la tendenza a raggruppare gli elementi che sono maggiormente simili tra loro.
  3. Legge del destino comune, che afferma la tendenza a percepire come appartenenti a un unico oggetto le cose che si muovono insieme, allo stesso tempo e nella stessa direzione.
  4. Legge della direzione: se un modello continua nella stessa direzione di un altro, i due modelli verranno percepiti come appartenenti alla stessa unità.
  5. Legge della forma chiusa, per la quale si tende a percepire come appartenenti a un’unità coerente gli oggetti disposti secondo figure chiuse, regolari, simmetriche.

Sul piano di questa percezione complessa, l’oggetto proprio del percepire non è più una “cosa”, bensì un “agire”, un comportamento e il concatenarsi del suo insieme, carico di senso.

Il cinema presenta allo spettatore questo preciso genere di “oggetti”. Eventi, azioni, comportamenti, che investono lo spettatore nella loro storia.

Tali oggetti prendono il loro senso globale in un preciso rapporto di relazione affettiva.

Nel cinema, è attraverso il montaggio che si costruiscono queste configurazioni di senso soggettivo.

Tra gli aspetti dialogici e contemporanei delle arti cinematografiche, gli psicologi di oggi fanno notare che l’introspezione, in realtà, non dà quasi niente. Se si tenta di studiare l’amore o l’odio con la pura osservazione interiore, si trova solo poche cose da descrivere: qualche angoscia, qualche palpitazione di cuore, insomma dei turbamenti banali che non ci rivelano l’essenza dell’amore né dell’odio.

 Ogni volta che si arriva a delle osservazioni interessanti, è per il fatto che non ci siamo accontentati di coincidere con il proprio “sentimento”; è perché non si è riusciti a studiarlo come un comportamento, come una modificazione dei propri rapporti con l’altro e con il mondo; è perché si è  giunti a pensarlo nel modo in cui si pensa al comportamento di un’altra persona della quale ci si  trova ad essere il testimone.

L’amore non esiste come sentimento ma come gesto. La struttura del cinema come arte si regge su questa regola della rappresentazione degli affetti. [20]

Il cinema è diventato l’arte maggiore del nostro tempo, tanto pervasiva, anche nelle forme più basse e degenerate.

Il film, estende e potenzia o indebolisce, il nostro mondo d’esperienza, attraverso il coinvolgimento in realtà esistenziali e esperienziali allargate dalla fantasia del montatore, registra, sceneggiatore ecc.

Il film, è l’arte collettiva, plurale per definizione.

 Un registra da solo non potrebbe far nulla, e non fa nulla di fatto, senza una buona sceneggiatura, senza un buon fotografo, un buon montatore ecc. ecc.

 Rari sono i casi di cineasti “totali” (Fellini, Antonioni, Kurosawa) che fanno quasi tutto l‟essenziale da soli.

Il mondo del film è dunque un mondo  che si affianca al mondo reale.

André Malraux(Verve, 1940) mette a fuoco tre generi di dialogo nelle arti del racconto :

1/ Il dialogo d’esposizione (le circostanze);

2/ Il dialogo di tono (Proust, il dettaglio);

3/ Il dialogo di scena, quello adottato nel cinema, che ci presenta il vero dibattere e confrontarsi dei comportamenti dei personaggi visibili e agenti sullo schermo.

E’ una delle virtù maggiori del cinema quella di concertare il sonoro e l’immagine, il dialogo e i silenzi, densi di senso, legati alla fotografia mobile delle inquadrature.

Il cinema lavora su questo doppio piano dell’audio-visivo e sul contrappunto (Ejzenstein) tra i piani.

Il ruolo della musica : realizzare una «rottura d’equilibrio sensoriale».

Ciascun film racconta una storia, cioè un certo numero di eventi che mettono alle prese con dei personaggi e che possono anche essere raccontati in prosa, come lo sono, in effetti, nella sceneggiatura, dalla quale il film è tratto. Il cinema parlando, con il suo dialogo a volte invadente, completa la nostra illusione».

«Il problema che incontriamo qui, l’estetica l’ha già incontrato a proposito della poesia o del romanzo. C’è sempre, in un romanzo, un’idea che si può riassumere in qualche parola, una sceneggiatura che sta dentro poche righe. C’è sempre in un poema allusione a delle cose o a delle idee ».

«L’arte del romanzo consiste nella scelta di ciò che si dice e di ciò che si tace, nella scelta delle prospettive dei punti di vista, nel tempo variabile del racconto .

Nella stessa maniera , c’è sempre nel film una storia e spesso un’idea , ma la funzione del film non è di farci conoscere i fatti o l’idea.

Kant dice con profondità che nella conoscenza l’immaginazione lavora a vantaggio dell’intelletto mentre nell’arte è l’intelletto che lavora a vantaggio dell’immaginazione».

IL CINEASTRA riguarda la creazione di «emblemi sensibili» in movimento, in grado di farci esperire(non conoscere) artisticamente il senso di un tutto temporale. E’ il germogliare di significati che restano come seppelliti nell’agire quotidiano degli uomini.

Si possono denominare , dei cinegrammi le idee che sono rese allo stato nascente, che emergono dalla struttura temporale del film, come in un quadro dalla coesistenza mobile delle sue parti.

L’idea o i fatti prosaici stanno là solo per dare al creatore del film l’occasione di cercar loro degli emblemi sensibili e di tracciarne il monogramma sensibile e sonoro. Il senso del film è incorporato al suo ritmo come il senso di un gesto è immediatamente leggibile nel gesto, e il film non vuol dire altro che se stesso.

E’ la felicità dell’arte del mostrare come qualcosa si mette a significare, non con l’allusione a idee già formate e acquisite, ma per mezzo della disposizione temporale o spaziale degli elementi.

Il film è composto da cinegrammi, o elementi interi di senso, che si mettono appunto a significare per noi spettatori, allargando (per noi inconsapevolmente) i confini delle nostre esistenze e esperienze.

André Bazin (1918-1958), cineasta e critico fondatore dei CahiersduCinéma, s’azzarda a definire una precisa relazione tra cinema e essere umano, afferrati entrambi nel loro rapporto problematico con la realtà, nel tentativo di dar conto di un’ontologia del film.

«Un film significa che una cosa significa: l’uno e l’altra non parlano a un intelletto separato dal mondo, ma s’indirizzano alla nostra facoltà di decifrare tacitamente il mondo o gli uomini e di coesistere con loro. »

« Il cinema ci consente di percepire il minimo passaggio, le «minime cose » dell’esistenza, che si perdono nel fluire indifferenziato del tempo oggettivo delle cose».

«E’ vero che nella vita, nel corso ordinario della quotidianità, noi perdiamo di vista quel valore estetico della minima cosa percepita. E’ vero anche che nel reale la forma percepita non è mai perfetta, c’è sempre del mosso, delle sbavature e come un eccesso di materia».

«Il dramma cinematografico, ha per dir così, una grana più fine del dramma della vita reale, accade in un mondo più esatto del mondo reale. Ma alla fine è grazie alla percezione che possiamo comprendere il significato del cinema: il film non si pensa, si percepisce…».

L’estetica del Cinema nel pensiero specifico di Mario Pezzella, ben si esemplifica in una sua stessa affermazione:

 “Il cinema è la sola arte capace di esprimere adeguatamente l’esperienza della tecnica e i suoi effetti sulla percezione”[21].

 

Il lavoro umano abbandona sempre più il modello artigianale.(…)Il corpo umano viene piegato e uniformato al ritmo della macchina.(…)BAUDELAIRE ha posto l’esperienza dello choc al centro stesso del suo lavoro artistico. Egli parla dell’uomo che si immerge nella folla come in un serbatoio di energia elettrica. L’esperienza visiva contiene quasi sempre un movimento di inquadrature che subito dopo finiscono nell’invisibile (percezione a scatti).[22]Mentre l’IMMAGINE PITTORICA  si presenta come una totalità conservando il suo significato interno – l’IMMAGINE CINEMATOGRAFICA deriva da un montaggio del discontinuo a cui il senso arriva in seconda istanza.

Benjamin ritiene che vi siano due tecniche discordanti tra loro:

LA TECNICA PRIMA= impotenza originaria del’uomo di fronte alla natura.

LA TECNICA SECONDA= tendenza a diminuire  la discordia con la natura, potenziando le capacità estetiche e ludiche dell’uomo. (cinema che educa il sensorium umano).[23]I dadaisti e i surrealisti avevano concepito un’arte fondata sul frammento, lo choc, la sorpresa: il cinema porta a compimento le loro intuizioni. Se le inquadrature colpiscono lo spettatore con la stessa rapidità di uno choc,ciò ha conseguenze ilevanti sulla sua struttura psichica.

FROID mostra LO CHOC TRAUMATICO veramente efficace.[24].Il cinema SPETTACOLARE perfezionerà l’incanto fascinatorio della rappresentazione.Il film CRITICO-ESPRESSIVO cercherà di elaborare le immagini di sogno.Lo spettatore è un esaminatore distratto.McLUHAN ritiene che il vecchio uomo alfabetico selezionava selezionava un personaggio di primo piano da contemplare tralasciando (negazione) lo sfondo di altre configurazioni.

Viceversa, le FORME ATTUALI di PERCEZIONE dirigono lo sguardo simultaneamente sul primo piano tracciando nel proprio percorso la TRAMA e percepirne il SENSO.[25]

Nel cinema critico-espressivo, le tecniche di primo piano dimostrano la loro essenza attraverso questi contenuti.

  • TECNICHE DI PRIMO PIANO: rallentamento,accellerazione (obiettivo=porre in rilievo quello che resta inconscio nella percezione abituale (INCONSCIO OTTICO)
  • IL GESTO è la vera cellula originale del cinema CRITICO-ESPRESSIVO.
  • Nel cinema critico-espressivo si coniuga una forma simbolica che permette la comprensione e l’integrazione.

Il cinema SPETTACOLARE agisce come una pura valvola di scarico.[26]

Il cinema porta a compimento le forme di rappresentazione inaugurate dalle tecniche moderne della riproducibilità configurandosi in un MONDO DI OPERE D’ARTE.

La TECNICA DELLA RIPRODUZIONE è l’aura dell’opera d’arte.

BENJAMIN supera l’esperienza mistica dell’aura vincendo sul carattere strumentale della magia.[27]

Mario Pezzella, ritiene che le  teorie estetiche del XIX secolo sono così sintetizzabili:

  • La TECNICA PRIVILEGIATA era rappresentata dalla RIPRODUCIBILITA’ DELLE IMMAGINI
  • La MODERNITA’ sopprime tale tecnica
  • Il concetto di AURA assume due significati:

 AURA TRADIZIONALE-CULTURALE ( apparizione unica di una lontananza)

AURA DEGRADATA ( la società dello spettacolo nella società attuale dello spettacolo è stata privata della sua unicità e della sua autenticità rispetto all’aura tradizionale).[28]

BENJAMIN non aveva previsto la decadenza del film critico-espressivo e l’espansione del cinema spettacolare.

La nuova arte sottolinea la fedeltà mimetica dell’oggetto riprodotto e una capacità di sottoporre la realtà a fantasmagoriche metamorfosi che ricordano la magia primitiva.[29]

IL MONTAGGIO non è più un raccordo di DIFFERENZE come sosteneva BENJAMIN – ma diventa L’opposto – e cioè una TECNICA RAFFINATA capace di occultare il salto tra un’immagine ed un’altra.Ogni oggetto riproducibile si presenta come se rappresentasse la copia fedele di un’altra copia.[30]E’ percepibile dallo spettatore e si tende al suo coinvolgimento sia in un’analisi di lettura che di interpretazione attiva dell’immagine

Nel cinema SPETTACOLARE, il montaggio impedisce l’esperienza della discontinuità, disinnescando il suo potenziale critico. Non divide la scena, ma la scompone. Questa funzione è detta del dècoupage, ed è una funzione di unificazione, di fusione che permette di cancellare il taglio senza lasciarne il segno del salto.

  • Nel cinema spettacolare si afferma un vedere fine a se stesso.[31]

La produzione spettacolare crea un’infinita scelta tra possibili illusori e solo immaginari, che costituiscono l’indispensabile surrogato di quelli reali.

DEBORAD, nella SOCIETA’ DELLO SPETTACOLO, ha operato una decostruzione della forma spettacolare, ricorrendo a due procedimenti di MONTAGGIO:

  1. La ripetizione
  2. L’arresto

Il fatto non apparirà più segnato dal sigillo della verità oggettiva.Mentre i MEDIA riconoscono i fatti (ad es. nel telegiornale ci si arroga di una verità), nel CINEMA  si fa il contrario rispetto ai media. ( fenomeno detto di dètournement). Ad es. voce fuori campo, immagine onirica interpretata e tradotta nei termini di una contraddizione reale.[32]A partire dagli anni ‘30 ad oggi lo spettacolo è profondamente cambiato. Il declino del cinema coincide con l’introduzione della televisione.

Mentre nella televisione vi è una presa diretta fra l’immagine e  l’evento rappresentato (ad es. nel telegiornale) – nel cinema si produce un effetto di realtà superiore ad altre arti.

L’intero mondo dello spettacolo assume il carattere della simultaneità ed esercita un FFETTO DI VERITA’.[33]

L’arte televisiva del montaggio consiste nel rendere inavvertibile la scelta e la selezione tra il visibile e il non visibile

Il taglio non è più effettuato nel secondo tempo del montaggio (scelta dell’inquadratura).[34]

Vediamo come nel cinema post-televisivo il confronto con l’effetto di verità dell’immagine televisiva indebolisce quello dell’immagine cinematografica.

L’affinamento dell’effetto di realtà operato dalla televisione porta a compimento la tendenza all’estetizzazione dell’esperienza già presente nel cinema.

C’è un mutamento della nostra facoltà percettiva. Infatti vediamo il film con occhi nuovi rispetto al passato.

Il cinema diventa sempre più un’arte riflessiva con una meditazione sulla natura ambigua delle immagini che il cinema stesso ha contribuito a creare.[35]

Mario Pezzella mette anche in risalto l’immagine mimetica. Vediamo, infatti, che A partire dalle prime pellicole dei fratelli Lumiere si tenta una MIMESI ( imitazione, riproduzione). L’immagine sullo scherma è priva di corpo, un simulacro di luci ed ombre – a cui lo spettatore attribuisce un valore (gesti,oggetti etc.)

Anche i film di fiction viene riprodotta la corporeità e la fisicità dell’oggetto rappresentato.

Lo spettatore percepisce come reale il RAPPRESENTATO e non il RAPPRESENTANTE (materiale tecnologico della rappresentazione).

La riflessione sul cinema ha posto in rilievo, fin dai suoi primordi,la presenza di una potenza MAGICO-MIMETICA (aspirazione a creare una copia perfetta del vivente – o addirittura una sosia piu’ potente di esso.[36]LA FOTOGRAFIA è profondamente segnata dal desiderio arcaico di conferire  un’eterna durata a un gesto o a un volto estratti dal tempo.

LE IMMAGINI FOTOGRAFICHE sono la presenza inquietante di vite arrestate nella loro durata.

LA FOTOGRAFIA lotta contro il tempo e la morte e ne afferma l’invincibilità.

SARTRE ritiene che l’IMMAGINE si riferisca all’essere passato o assente del volto che si è amati[37]Nell’arte figurativa, come nella fotografia ci si concede la meditazione e l’idea del tempo. Quando la forma regredisce ci si trova davanti ad un’opera d’arte magica (intenzione primitiva di realizzare un ‘sosia’ magicamente animato di un essere vivente).[38]I limiti della fotografia, nel cinema, sono superati poiché si aggiunge una nuova dimensione: quella del movimento nel tempo.

Il cinema spettacolare si abbandona interamente al potere fascinoso. Fa di tutto per occultare il «taglio mortale» del montaggio e favorisce l’illusione che sia possibile afferrare la spontanea immediatezza della vita.

l cinema critico-espressivo tenta di riportare in primo piano la costruzione non spontanea delle immagini. Non teme di esibire la pulsione di morte come una delle sue intensioni costruttive.[39]PASOLINI propone una concezione realista, ritenendo che: «il cinema altro non è che la lingua scritta della realtà».

La realtà di cui il cinema si occupa riguarda le espressioni mimiche e l’AZIONE, non I FATTI.

L’onirismo di cui parla PASOLINI è caratterizzato da sogni dominanti simbolicamente dalla figura materna e assoluta della morte che tutto riavvolge in sé IL MONTAGGIO cinematografico traforma il divenire presente nella fissità del passato; la morte come il montaggio, è un ‘taglio’.[40] Il cinema non è solo onirico, ma in esso ogni gesto e ogni evento si trasforma in elemento mitico, eternamente ripetibile.Il montaggio cinematografico, per PASOLINI, ha sempre qualcosa della tristezza ALLEGORICA ( come nell’Amleto – valore critico e negativo).  Il cinema critico nasce secondo un principio di COESPRESSIBILITA’ secondo quanto detto da Panofsky.[41] Mario Pezzella, mette in risalto il pensiero sulla fotografia di alcuni famosi autori. Tra questi, ne sottolinea alcuni:

KRACAUER sostiene che «il fotografo deve in realtà riprodurre gli oggetti posti dinanzi al suo obiettivo e gli manca la libertà che invece è il privilegio dell’artista di disporre le forme esistenti e le loro reciproche relazioni spaziali secondo la propria intima visione.

BARTHES ritiene che la fotografia puo’ ridursi a un semplice studio e alla riproduzione di fatti oggettivi.

BENJAMIN parla di ‘inconscio ottico’ ponendo attenzione agli elementi delle immagini, allo sfondo. Per lui la fotografia a causa dell’impronta di qualcosa non è più una foto qualunque. Nella prospettiva del PUNCTUM non conta più il fatto così come appare a un osservatore impassibile, ma la relazione enigmatica, la rete simbolica del suo fondo.[42]

Non mancano, nel suo testo: “L’estetica del cinema” altri riferimenti, come i contributi  di LUNIÉRE e MELIÈS che dopo essere partiti dall’opposizione semplicistica del cinema fantastico e realistico, rappresentano in senso HEGELIANO un’ANTITESI.

KARACAUR= riconosce che la realtà non viene solo rispecchiata dall’obiettivo fotografico, ma riconosce la RIVELAZIONE di un fondo oscuro della realtà che sembra sovrapporsi alla sua riproduzione.[43]

Inoltre Mario Pezzella mette in risalto il realismo cinematografico. Egli pone in risalto il pensiero di BAZIN-KRACAUET-PASOLINI. Secondo questo trio, il realismo cinematografico è caratterizzato da un ROVESCIAMENTO: tanto più si considera la realtà da vicino e tanto più la MIMESI perde il suo significato.[44]

Mario Pezzella, pone attenzione anche al concetto di mimesi e appartenenza. Lo fa, mettendo in evidenza il pensiero dell’autore  ARNHEIM il qualepone l’accento sulle differenze percettive.

La percezione comune è diversa dalla percezione cinematografica. Nella percezione comune il campo visivo è illimitato e infinito.Nella percezione cinematografica lo spazio riprodotto è visibile fino ad un certo punto (è FINITO) perché s’incontra il LIMITE che toglie tutto quello che si trova al di là del finito (INFINITO)

L’immagine cinematografica è dominata dall’intenzione visiva (non riproduce fedelmente una presunta realtà).[45]

Altro concetto evidenziato da M. Pezzella è quello di “Mimesi”, ossia la riproduzione a copie.

In questo senso riprende il pensiero del filosofo Platone,  in cui è contenuto il concetto di mimesi.

Platone riconosce 2 tipologie di ARTE IMITATIVA:

  1. Arte raffigurativa: quando produce ‘raffigurazioni’ secondo una deformazione prospettica non fedele alla realtà;
  2. Arte apparente: quando si tratta di un prodotto che appare ma non è somigliante. L’artista, dunque è visto da Platone come il produttore di fantasia capace di rendere inavvertibile la sua natura di appartenenza.[46]

Per suscitare l’effetto di realtà, non ci si può accontentare di un’inquadratura scelta a caso.

JACQUES RANCIÉRE, durante il REGIME ESTETICO (nei primi dell’800) mette in risalto 2 modelli di PRODUZIONE ARTISTICA:

  1. ETICO: riscoperta non di una copia imitativa/riproduttiva della realtà (ARTSTOTELE) ma alla

CODIFICAZIONE delle FORME.

  1. MIMETICO: il REGIME ESTETICO del Romanticismo distrugge la gerarchia dei materiali e delle forme

[47]accettate da quello ‘mimetico’. RANGÉRE la chiama PARTIZIONE del SENSIBILE.

L’arte moderna Si muove dalla convinzione che qualsiasi oggetto è degno di essere rappresentato e che possa esprimere la propria idea.

Il CINEMA E’ L’ ARTE più significativa del “regime estetico” moderno.

La ricezione immediata è indiscriminata. E’ solo il primo polo del linguaggio cinematografico.

Altra particolare attenzione, nel secondo capitolo di M. Pezzella “L’estetica del cinema”si orienta verso l’arte del montaggio.

Egli sostiene che il montaggio del cinema spettacolare evidenzia l’illusione dell’immediatezza ed  è il frutto di una tecnica raffinata di simulazione, che tende a cancellare ogni traccia di artificialità dell’immagine ( negazione del colore, del rilievo, del suono).

Il cinema postulava che dal ‘reale’ al ‘visivo’ e alla sua ‘riproduzione filmata’ una stessa realtà si riflette all’infinito, senza distorsione.

Si ha una cieca fiducia nel visibile, nel reale – in un mondo in cui spesso si dice ‘vedo’ al posto di ‘capisco’.[48]

Altro concetto posto in risalto dall’autore M. Pezzella, è relativo all’APPARTENENZA.

In questo senso, evidenzia una spiccata attenzione verso ADORNO , il quale afferma che il CINEMA SPETTACOLARE diventa la proclamazione decisa e sistematica di ciò che è (in senso immediato).

L’APPARTENENZA destata dal simulacro spettacolare trascura la contraddizione, il dolore, il lato d’ombra che invece appartengono a una RAFFIGURAZIONE.[49]

Ancora, Mario Pezzella , nel terzo capitolo dell’opera “L’estetica del cinema” si concentra  sul concetto della narrazione e del visibile sostenendo il pensiero di GRIFFITH sul montaggio organico. Quest’ultimo ha ideato il MONTAGGIO ORGANICO portando a compimento il CINEMA CLASSICO degli anni ‘20 e ‘30[50]prevedendo lo SCHEMA NARRATIVO in una situazione di equilibrio iniziale che si trasforma in conflitto. Viene introdotto lo spettatore ad identificarsi con la potenza del suo punto di vista.[51]Il narcisismo dello spettatore per M. Pezzella ben si collega all’’estetismo spettacolare che sorge come un surrogato dell’autonomia individuale e delle personalità differenziate.LA RAPPRESENTAZIONE CINEMATOGRAFICA  invita lo spettatore a una sorta di YOYERISMO ASSOLUTO qui lo spettatore non ha rapporti con il oggetto. L’Io dello spettatore si riduce al puro atto di vedere e, come sostiene METZ, senza lasciare spazio ad una coscienza critica e individuale.[52]M. Pezzella, inoltre, nell’estetica del cinema, mette in risalto tre momenti della fascinazione spettacolare.

Nel Primo momento della fascinazione spettacolare l’attore non può rivolgere il suo sguardo verso la macchina (DIVIETO)

Nel Secondo momento della fascinazione spettacolare, chi assiste a un film spettacolo rimuove il rischio della RECIPROCITA’ degli sguardi.

Nel Terzo momento della fascinazione spettacolare si  tende ad impedire la PERCEZIONE del VUOTO in cui si smarrisce l’identità dello spettatore.[53]

  1. Pezzella, inoltre, pone attenzione all’immagine simbolica e la narrazione. Egli dice che il cinema critico-espressivo si oppone alle potenze fascinose della narrazione spettacolare.

PASOLINI ritiene che nel cinema emerge necessariamente un FONDO ONIRICO e MITICO e quindi una componente fascinatoria.

La tensione tra il narrativo e il visibile nel linguaggio cinematografico può essere paragonata a quella tra CONTENUTO REALE e CONTENUTO DI VERITA’, che deriva dall’estetica letteraria.[54]

I generi narrativi, del cinema americano sembrano poggiare sulla narrazione.

La formazione di un genere cinematografico rinvia a un’idea costitutiva e al suo legame con una situazione storica determinata.

Un genere deve essere lasciato aperto ai suoi membri.

Ogni genere espone la sua idea ad un processo di RIPETIZIONE e DIFFERENZA fino alla sua SATURAZIONE ESPRESSIVA.

Quando un MITO non può sostenere una REVISIONE (cioè L’essere ri-visto, allora il mito è morto).

Un grande film di genere scuote il codice narrativo. La dislocazione del genere opera sul funzionamento stesso dei codici, ribaltano la visione del mondo che vengono messi in scena.[55]

Lo spazio cinematografico nell’effetto del cinema spettacolare lo spazio reale non è investito in modo evidente dal mutamento, ma appare il più possibile statico e rassicurante.

La forma dello spazio è corredata ai gesti che l’attraversano.

Le figure e le geometrie dello spazio divengono l’espressione pura della situazione in cui egli si trova e delle emozioni.

MURNAU mostra uno spiccato interesse verso le EMOZIONI, più che nelle AZIONI.[56]in questo senso, nell’immagine mentale Prevale il VISIBILE sul NARRATIVO nel cinema espressivo del ‘900.

HITCHCOCK  mette in risalto una  nuova specie di figure che sono ‘figure di pensiero’.

WELLES esprime la crisi profonda con la centralità del soggetto. Le inquadrature denunciano lo spazio che incurvano lo spazio verso punti di fuga inabituali e insospettabili.

L’immagine mentale, si riferisce a tutta una serie di pensieri autoriali, come  Bazin= con la sua ambiguità del reale; come  WELLES che mette in risalto l’ambiguità che è dominante e la debolezza narcisistica del soggetto contemporaneo che è sopraffatto da relazioni indecifrabili. Egli ricorre ad immagini POLICENTRICHE e SIMBOLICHE.

Infine con il pensiero di Kane  il quale domina l’attimo della morte, così come ha sovrastato la vita .[57]

Altro punto da considerare nel pensiero di M. Pezzella è certamente il Cinema di poesia e il Cinema simbolico.

In questo senso l’autore propone a sua volta il pensiero di alcuni autori come:

PASOLINI – che ha proposto, nel panorama del cinema italiano una distinzione tra cinema NARRATIVO e cinema di POESIA:

Il Cinema narrativo domina l’illusione di una riproduzione neutrale della realtà oggettiva.

Il Cinema di poesia  propone l’irruzione esplicita di un punto di vista soggettivo nella comparizione delle immagini.

Ricorda, GODARD  con la sua  inquadratura fissa e prolungata: si portano in primo piano la “COSCIENZA DELLE IMMAGINI”. le immagini si rinfrangono piuttosto in una scomposizione tra “monlogo interiore” e “corrispondenze”.[58] Nel cinema narrativo si accentua la SOGGETTIVITA’ dello spettatore con l’identificazione del personaggio e  si privilegia il ritmo dell’obiettivo della storia.[59]

  1. Pezzella, inoltre, privilegia la propria attenzione attorno al concetto del cinema purovisibilista e a quello dell’immagine dialettica.

In questo senso, si oppone al cinema narrativo spettacolare. Il cinema purovisibilista elimina la contraddizione senza risolverla. (scomposizione del movimento).

Il film spettacolare esclude la ripetizione.

Le immagini del cinema spettacolare tendevano ad occultare i vuoti della rappresentazione

Il cinema critico-espressivo vorrebbe ridensare la presenza di spirito.[60] Egli ritiene che l’immagine dialettica mostri la tensione in atto tra la fascinazione e la riflessione, tra il film narrativo e la costellazione simbolica che affiora oltre essa stessa. L’immagine filmica diviene immagine dialettica.

  1. Pezzella, mostra, inoltre una rilevante attenzione verso “il gesto e il montaggio”, mettendo in risalto tre livelli di significato:

1.INFORMATIVO= è affine allo studio della fotografia. si tratta del film storico in cui i personaggi svolgono la narrazione.

2.SIMBOLICO = concetto o ideologia consapevole ( BARTHES). A questo ambito appartiene il “PENSATO”. Il gesto esprime un0intenzione consapevole del regista (visione critica dell’evento). Il linguaggio FIGURATIVO

3.EVIDENTE,ERRATICO,OSTINATO = come definito  da BARTHES “terzo strato del SENSO”. Si esprime nella compattezza del Belletto dei Cortigiani, spesso calcolato, oppure liscio, distinto. I particolari come il naso, le sopracciglia, la carnagione bianca, l’acconciatura, sono definiti da Barthes “SENSO OTTUSO”. Barthes, esprime il senso ottuso come senso critico/negativo. In seguito Barthes, associa al senso ottuso “un’emozione che designa semplicemente quello che  si ama, che si vuole difendere ;è un’emozione-valore, una valutazione.[61]Egli ricorda il montaggio e l’ignoto con Ejzenstejn, il quale  sostiene una forma elaborata che porta al punto in cui un’emozione primordiale invade l’espressione dei volti. L’idea e la forma del film procedono in modo tale da condurre oltre se stessa, da aprirsi a una dimensione fisiologica e psichica che trascende i contenuti noti della coscienza.[62] Mette in risalto il concetto di Montaggio Spettacolare con il pensiero di Ejzenstejn  il quale cerca di simulare una continuità narrativa rassicurante.

IL MONTAGGIO CRITICO, invece, spinge continuamente la forma sull’orlo della discontinuità, della censura e dell’interruzione.[63]

Barthes dice che il filmico nel senso più proprio (dell’avvenire) non è nel movimento, ma nel terzo senso (inarticolabile).Nelle immagini mentali del cinema più recente, l’importanza della singola inquadratura si accentua considerevolmente. Avviene un mutamento anche nell’apparente arresto del movimento, nel film.

Nel film di Ejzenstejn, l’inquadratura fa parte di una sequenza che evidenzia il divenire del gesto che mette in risalto l’intensità emozionale.[64]

Il film critico-espressivo elabora il fondo onirico e fisiologico dell’espressione e l’idea costruttiva ( IL MONTAGGIO). Lo stesso corpo assume una postura di energia, di vibrazione. Inoltre, la mimesi espressiva, merita una particolare attenzione. Infatti, MIMESI, nel cinema critico-espressivo, è intensa la riproduzione della realtà esterna.

La mimesi è la rappresentazione della realtà attraverso l’ARTE.

Il termine MIMESIS risale ad un’espressione greca di sentimenti e manifestazioni delle esperienze attraverso il movimento, la danza, il suono e le parole.[65]Il linguaggio cinematografico, è simile a quello della pittura barocca, nel tentativo di esprimere attraverso il gesto la natura inafferrabile dell’attimo.

Il gesto filmato diventa il culmine espressivo dell’azione.

Lo stesso Platone nel Parmeide, ritiene che nessuna arte come quella del cinema contenga il paradossi del DIVENIRE.

Il linguaggio  cinematografico è simile a quello della pittura barocca, nel tentativo di esprimere attraverso il gesto la natura inafferrabile dell’Attimo.La microdrammatica, invece, mette in risalto ogni elemento del volto che si carica di intensità espressiva.[66]Il gesto espressivo, negli anni ‘20 e ‘30 il gesto espressivo viene messo in evidenza dal CINEMA MUTO. Il gesto viene privilegiato dal cinema rivoluzionario sovietico. Il gesto rinvia alla concezione pura.

Nell’immagine fotografica resta una sorta di passato trascendentale (Azione visibile immobilizzata).

Probabilmente l’importanza del gesto appare minore dopo la fine del cinema muto.[67] I caratteri fisiognomici, fanno riferimento agli stereotipi narrativi si associa la musica e il ballo (carattere fisiognomico).

L’uso del COLORE accentua il mutamento fisiognomico che investe un volto o un paesaggio.

Il pittore può dipingere il rossore di un viso, ma non può dipingere un vis che da pallido improvvisamente s’imporpora. Può mostrarci il pallore di un viso, ma non il drammatico processo dell’impallidimento.[68] Tra le idee di montaggio troviamo svariate forme che fanno registrare alcuni passaggi storici. Tra questi:

Il FONDO CTONICO che fa emergere nel film la gestualità e la FISIOGNOMIA, da cui emergono le pulsioni profonde e le emozioni dell’anima.

Il MONTGGIO che è l’elemento costruttivo della rappresentazione e che evidenzia l’idea speculativa e trascendentale del vissuto  filmico temporale. E’ quell’operazione che verte sulle immagini-movimento.

Gli anni ’40, fanno riferimento al tempo che è strutturato come un’azione variabile tra passato e futuro.

Nel 2° novecento il cinema  si dimostra  più riflessivo e diretto[69].Si fanno spazio idee di montaggio.

Il tempo viene messo in primo piano nell’arte del montaggio. Secondo DELEUSE, parliamo di vere e proprie immagini-tempo, in cui l’azione è meno importante della riflessione. EJZENSTEJN, comprende la natura eminentemente riflessiva e ideale del montaggio. Secondo lui il montaggio sposta l’attenzione dal singolo fenomeno alla relazione che viene a instaurarsi tra 2 fenomeni discontinui: FENOMENO DI PARTENZA: varia estensione e natura. Ad es. inquadratura semplici.[70]FENIMENO DELLA RELAZIONE: può sussistere tra 2 sequenze. Ad es. forma ideale che articola la successione delle immagini.

  1. Pezzella, offre, dunque un variegato scenario attorno al principio dionisiaco del montaggio.In passato le IDEE DI MONTAGGIO erano articolate in maniera discontinua.

In seguito, il MONTAGGIO diventa un’OPERA e presuppone la frammentazione di tutto il materiale della rappresentazione.

L’ARTE del MONTAGGIO, diventa come un0idea che decompone i materiali rappresentativi in frammenti discontinui, distruggendo le loro associazioni primitive e spontanee.[71] M. Pezzella, riflette verso il principio DIONISIACO e sulla validità del principio formale. In questo senso, mette in risalto il pensiero di Ejznsten, il quale parla di principo dionisiaco del montaggio. Lo paragona a un seme il quale deve disgregarsi e morire per poi risorgere nuovamente come viva pianta.

Il montaggio, conserva il ricordo dell’altalenarsi di scomposizione e rinascita che caratterizza la MITOLOGIA DIONISIACA e lo traspone su un piano ideale e formale.

Resta, dunque, valido il PRINCIPO FORMALE di Ejzenstejn  che è alla base del cinema critico-espressivo.

Il MONTAGGIO utilizza in modo riconoscibile la discontinuità degli elementi del film. [72] Il montaggio acquista il suo pieno significato solo in rapporto con la componente del film: il senso ottuso nel linguaggio di BARTHIS, il gesto espressivo, il  fondo mimetico della FISIONOMIA e con i calcoli di EJZENSTEJN che si fermano di fronte al non calcolabile[73]. Altro elemento imprescindibile della teoria estetica di M. Pezzella, passa dentro il pensiero di ADORNO che descrive la sua teoria estetica con la POLARITA’ tra gesto FISIOGNOMICO e l’idea del montaggio, tra espressione e costruzione. Il pensiero di PASOLINI e NAZIN  che mettono in risalto l’affinità del montaggio con la morte che risiede nell’idea della pura forma imposta dalla ’ARTE alla molteciplità di un vivente che in essa si estingue.

Il montaggio può prevedere con precisione il punto esatto in cui lasciar emergere la potenza di una FISIONOMIA ( Attimo).

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[1] Bergason, L’immagine-movimento, Milano, 1984

[2]G. Varchetta, Organizzazione e management delle istituzioni dell’arte e della cultura: la sfida delle meta-competenze, in U. Morelli, G. De Fino (a cura di), Management dell’arte e della cultura, Franco Angeli, Milano, 2010, p. 139.

[3]Ivi, p. 141.

[4]nell’epoca della sua riproducibilità tecnica del 1936

[5]M. PEZZELLA, Estetica del cinema, Bologna, Il Mulino, 2001, p. 16.

[6]  M. PEZZELLA, Estetica del cinema, Bologna, Il Mulino, 2001, p. 17.

[7]Flavio De Bernardinis, Ossessioni terminali – Apocalissi e riciclaggi alla fine del cinesecolo, Ancona-Milano, Costa & Nolan, 1999.pp. 18,19.

[8] 1949

[9] ivi

[10]Merleau-Ponty ha dedicato alla settima arte un saggio di grande rilievo : Le cinéma et la nouvelle psychologie (1945), conferenza tenuta all‟Institut des hautes études cinématographyques.

[11]Bergason, L’immagine-movimento, Milano, 1984, pp. 13-14. Il movimento e l’istante.

[12] Ivi, L’immagine-movimento, Milano, 1984, 16. Il movimento e l’istante

[13]L’immagine-movimento, Milano, 1984, “Il movimento e l’istante,p.17

[14]Bergason, L’immagine-movimento, Milano, 1984, “Il movimento e l’istante”,p.18

[15]Ivi,p.19

[16]Ivi,20-21

[17] ivi, p. 24

[18]ivi, pp. 23-24

[19]C. Von Ehrenfels, M. Wertheimer

[20]Cocteau, nel film di R. Bresson, LesDamesduBoisde Boulogne: «Il n’y a pasd’amour, il n’y a quedespreuvesd’amour».

[21]Mario Pezzella, “Estetica del cinema”, Ed.Il Mulino, Bologna, 2010,p.9 (Primo capitolo)

[22] Contenuti sintetizzati. Testo di Mario Pezzella, “Estetica del cinema”, Ed.Il Mulino, Bologna, 2010,p.10-11

[23] Contenuti sintetizzati. Testo di Mario Pezzella, “Estetica del cinema”, Ed.Il Mulino, Bologna, 2010,p.12-13

[24] Ibidem,p.14

[25] Ibidem,pp.14-15-16.

[26] Contenuti di di Mario Pezzella, “Estetica del cinema”, Ed.Il Mulino, Bologna, 2010,p.17-18-19

[27] Contenuti di Mario Pezzella in Op. cit.,pp. 19-20

[28] Ivi,p.21

[29] Ibidem, pp. 22-23

[30] Ibidem,pp24-26

[31] Ibidem,pp. 24-25

[32] Ivi, pp.28-29-30.31

[33] Ibidem, pp.32-33

[34] Ivi, p. 88

[35] Ivi,,pp 35-36-37

[36]Mario Pezzella, “Estetica del cinema”, Ed.Il Mulino, Bologna, 2010,p.41-42 (Secondo Capitolo)

[37] Ivi, p. 43

[38] Ivi,p.43

[39] Ivi,pp45-49

[40] Ivi,pp.46-47-48

[41] Ivi,pp.49-50

[42] Ibidem,p.51

[43] Ivi

[44] Rif. Ivi pp, 50.51.52

[45] Ivi,pp.53-54

[46] Ivi,pp. 53-54

[47] Ivi,53-56

[48] Ivi, 57-58-59

[49] Ivi, 57-58-59

[50]Mario Pezzella, “Estetica del cinema”, Ed.Il Mulino, Bologna, 2010,p.41-42 (Terzo  Capitolo)

[51]CFR. Grifith nel 1902 – montaggio narrativo – film di porter, Life Of on American Fireman – cit. in Op. Mario Pezzella, “Estetica delcinema”,pp61-62-63 in Mario Pezzella, “Estetica del cinema”, Ed.Il Mulino, Bologna, 2010,p.41-42

[52] Ivi, pp 61-62-63-64

[53] Ivi,pp. 69-70

[54] Ivi, cit.Benjamin mette in risalto tale distinzione nel suo saggio sulle ‘Affinità elettive di Goethe’ – cit. in Op. Mario Pezzella, “Estetica del cinema”,p.71

[55] M. Pezzella in op. cit., pp. 76-77-78

[56] Ibidem, pp. 78-79-90

[57] Ivi, pp. 83-84

[58] Ivi, pp. 85-86

[59] Ivi, p. 86

[60] Ibidem, pp. 87-88.

[61] Mario Pezzella, “Estetica del cinema”, Ed.Il Mulino, Bologna, 2010,p.41-42 (Quarto  Capitolo), pp. 93-94-95

[62] Ivi, p. 97

[63] Ivi, pp. 97

[64] Ivi, p. 97

[65] Ivi, pp. 99-100

[66] ) Ivi, p. 103

[67] Ivi, pp. 104-105-106

[68] Ivi, p 107

[69] Ivi,p.109

[70] Ivi, pp. 109-110

[71] ivi, p.115

[72] Ivi, pp. 116-117

[73] Ivi, p. 128

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