” LACRIME DI COCCODRILLO ” DI VALTER MARCONE
Redazione- Alla politica italiana lo aveva detto in tutti i modi Giorgio Napolitano, il primo comunista a essere eletto Presidente della Repubblica italiana, il politico che aveva fatto del partito e del Parlamento la sua casa per oltre mezzo secolo e più.
Giorgio Napolitano presidente emerito della Repubblica si è spento il 22 settembre 2023 alla clinica Salvator Mundi al Gianicolo a Roma. La camera ardente al Senato è stata aperta domenica alle 10, alla presenza di Mattarella e accessibile a tutti dalle 11 alle 18 e lunedì 25 dalle 10 alle 16. I funerali si sono tenuti martedì con cerimonia laica, per la prima volta nell’Aula di Montecitorio. Nato a Napoli il 29 giugno 1925, è stato uno storico dirigente del Pci, presidente della Camera e ministro degli Interni, oltre che capo dello Stato per due mandati Attorno al suo feretro il mondo della politica che versa lacrime da coccodrillo .
“Molto si potrebbe aggiungere, ma mi fermo qui, perchè su quei temi specifici ho speso tutti i possibili sforzi di persuasione, vanificati dalla sordità di forze politiche che pure mi hanno ora chiamato ad assumere un ulteriore carico di responsabilità per far uscire le istituzioni da uno stallo fatale. Ma ho il dovere di essere franco: se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al paese. Non si può più, in nessun campo, sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme di cui hanno bisogno improrogabile per sopravvivere e progredire la democrazia e la società italiana” 22 aprile 2013 Giorgio Napolitano Discorso di rielezione a Presidente della Repubblica
E allo stesso modo lo aveva detto alla politica europea : “ «Toccherà a ciascuno fare la propria parte iniettando nella vita dell’Unione quel lievito di cultura e di partecipazione democratica la cui carenza ha esposto a così seri fenomeni e rischi di logoramento il grande, insostituibile progetto europeo».
E di fronte alla sordità che continuava in un silenzio assordante a negare una nuova legge elettorale e molte delle riforme che ancora devono essere fatte, ne trasse le conseguenze. Al suo successore disse che la sua esperienza di un doppio mandato non doveva ripetersi e si è ripetuta , di fronte al paese disse che non bisognava mai rinunciare alla “ alla decisione netta e tempestiva”. Cosi’ come fece nello scegliere il senatore Mario Monti per un governo di coalizione e come ha ripetuto dopo alcuni anni Sergio Mattarella chiamando Mario Draghi anche in questo caso a formare un goverso tecnico di coalizione . In entrambi i casi per uscire chissa se dalla burrasca o dalle secche. Comunque in entrambi i casi evitando di ricorrere alle urne. Cosa per la quale Napolitano e Mattarella sono stati “divisivi “per l’opinione pubblica che appunto a lungo ha discusso su che cosa era meglio in quei momenti : un governo tecnico o un ricorso alle urne. Tanto è che Sergio Mattarella con grande senso della realtà e soprattutto con il “senno del poi” rispetto all’esperienza Draghi, appena un anno fa il 25 settembre ha senza indugio ri-dato la parola agli elettori .Una decisione azzardata a detta di alcuni , anche se in realtà eravamo a fine legislatura, una decisione finalmente pertinente alla contesto tangibile , a detta di altri.
Per quanto riguarda la politica europea ora che egli stesso ha dato tanto di sé al servizio di questo ideale a cui si è convertito, speriamo che il suo appello venga ascoltato, soprattutto in occasione delle prossime elezioni europee del giugno 2024.
Giorgio Napolitano fu una grande delusione per la sua famiglia perchè non volle mai aderire alle richieste di quest’ultima intraprendendo una carriera professionale . All’età di 22 anni, divenne «funzionario» del partito, facendo della politica la sua professione, invece di diventare avvocato come suo padre.
Tuttavia, completò gli studi, conseguendo la laurea in giurisprudenza con una tesi sul mancato sviluppo industriale del Mezzogiorno. All’interno del partito, due leader nazionali di grande esperienza, legati al Meridione, lo segnano e contribuiscono a formarlo: Giorgio Amendola ed Emilio Sereni.
La scelta fu quella di fare il politico .Segretario della federazione di Caserta del PCI (1951-57), nel 1953 fu eletto alla Camera dei deputati, alla quale fu sempre riconfermato fino alle elezioni del 1996, salvo che nel 1963 quando non si presentò candidato perché segretario della federazione di Napoli (1962-66); la sua attività parlamentare si concentrò in particolare sui problemi dello sviluppo del Meridione e sui temi di politica economica nazionale.
Dal 1963 al 1966 fu segretario della Federazione comunista di Napoli. La sua ascesa continuò anche dopo la morte di Togliatti, nell’estate del 1964. Quando gli successe Luigi Longo, il partito fu attraversato da un dibattito tra due sensibilità principali (le correnti erano ufficialmente vietate). Il partito di Pietro Ingrao, detto «movimentista», era piuttosto radicale e cercava di sfruttare le proteste che cominciavano a emergere nell’Italia che cambiava, criticando i socialisti che avevano rotto l’alleanza con i comunisti per governare con la Democrazia Cristiana. Il partito di Giorgio Amendola, pur essendo filo-sovietico, era più attento al rispetto delle istituzioni, cercava riforme costruttive e intendeva mantenere i rapporti con il PSI. Napolitano scelse l’approccio del suo mentore; negli anni successivi sarebbe stato definito dai suoi avversari, non senza una certa condiscendenza, «migliorista».
Giorgio Napolitano rimase su queste posizioni, ma come responsabile della politica culturale del PCI dal 1969 al 1975, si sforzò di stabilire relazioni e dialogo con i non comunisti
Grazie alla sua conoscenza degli affari internazionali e ai suoi solidi contatti con i decisori di ogni tipo, Giorgio Napolitano ha esercitato un’influenza decisiva sulla politica internazionale del suo partito, che è diventata sempre più europeista e non ha più messo in discussione l’appartenenza dell’Italia alla NATO
Marc Lazar su Legrandcontinente.eu/it scrive : “ dopo l’invasione della Cecoslovacchia da parte delle truppe del Patto di Varsavia il 21 agosto 1968, gesto condannato dal partito italiano, il PCI intraprese la strada di quello che venne chiamato Eurocomunismo, a cui aderirono i partiti spagnolo e francese. L’obiettivo era quello di definire una strategia per accedere al potere in Europa occidentale nel rispetto delle regole della democrazia rappresentativa, prendendo le distanze dall’URSS e criticandola anche per le sue politiche interne e persino internazionali, senza però tagliare i ponti con essa. Si riconobbe il ruolo storico della Rivoluzione d’Ottobre e la forza che essa rappresentava di fronte all’imperialismo americano e alle potenze capitaliste. Di conseguenza, il PCI, molto cauto e timido, non sostenne mai i dissidenti dell’Est, a differenza dei socialisti, che lo tagliarono fuori da molti intellettuali. Giorgio Napolitano rimase su queste posizioni, ma come responsabile della politica culturale del PCI dal 1969 al 1975, si sforzò di stabilire relazioni e dialogo con i non comunisti.
In questo senso, la sua fama si diffuse oltre i confini italiani, ad esempio con la pubblicazione nel 1976 del libro Intervista sul PCI con lo storico Eric Hobsbawm, che venne tradotto in molte lingue. 2 Nello stesso periodo, e ancor più in seguito, divenne ministro degli Affari esteri del PCI. Cominciò a discutere con i socialdemocratici, in particolare quelli della SPD, e a familiarizzare con le complessità dell’integrazione europea, che lui e il suo partito avevano inizialmente condannato, ma che gradualmente erano arrivati a sostenere. Ottenne un visto per una serie di conferenze presso le università americane e visitò anche alcune istituzioni di grande prestigio in Germania e in Gran Bretagna. Fu membro della Commissione Affari Esteri della Camera dei Deputati, di cui divenne in seguito presidente. Dal 1984 al 1992 e dal 1994 al 1996 è stato membro della delegazione italiana all’Assemblea parlamentare della NATO. Acquisisce così una statura internazionale senza precedenti nel suo partito, ampiamente riconosciuta da tutte le altre forze politiche italiane, compresi i suoi principali avversari. Nel 1989 viene eletto al Parlamento europeo. Vi siede fino al 1992 e di nuovo dal 1999 al 2004, affermandosi come uno dei parlamentari più ascoltati e rispettati. Grazie alla sua conoscenza degli affari internazionali e ai suoi solidi contatti con i decisori di ogni tipo, Giorgio Napolitano ha esercitato un’influenza decisiva sulla politica internazionale del suo partito, che è diventata sempre più europeista e non ha più messo in discussione l’appartenenza dell’Italia alla NATO, che aveva denunciato al momento della sua formazione. Con la voce di Berlinguer, il PCI condannò l’invasione sovietica dell’Afghanistan nel 1979 e il colpo di Stato del generale Jaruzelski in Polonia nel 1981.(1)
Un funerale laico . Con una cerimonia che in breve si può riassumere così. Nella mattinata di martedì 26 settembre il Presidente della Camera Lorenzo Fontana svolge un intervento commemorativo. L’Aula osserva quindi un minuto di silenzio. Il Presidente del Senato Ignazio La Russa svolge a sua volta un intervento commemorativo.
Intervengono, quindi, dal banco della presidenza: Giulio Napolitano, figlio del Presidente emerito della Repubblica; Sofia May Napolitano, nipote del Presidente emerito della Repubblica; Anna Finocchiaro, Presidente della Fondazione Italia decide; Gianni Letta, già Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri e presidente di Civita ; Paolo Gentiloni, Commissario europeo per gli affari economici e monetari; Cardinale Gianfranco Ravasi; Giuliano Amato, Presidente Emerito della Corte Costituzionale. Ore 12.50 ca. Il Presidente della Repubblica, con il Segretario Generale e i familiari del Presidente emerito della Repubblica, lasciano l’Aula, seguiti dai Capi di Stato esteri, dal Presidente della Camera, dal Presidente del Senato, dal Presidente del Consiglio dei Ministri, dalla Presidente della Corte Costituzionale, con i rispettivi accompagnatori e Segretari generali, lasciano l’Aula e sostano in Transatlantico in attesa dell’uscita del feretro dalla Sala dei Ministri. Il Feretro viene trasportato verso l’uscita di Palazzo Montecitorio, seguito in corteo dalle Autorità sopra menzionate. Giunto all’ingresso principale, il Feretro viene posizionato all’interno del carro funebre. Dopo la partenza del Feretro, il Capo dello Stato prende commiato dai familiari, dai capi di Stato esteri e dalle altre Autorità costituzionali convenute e lascia Palazzo Montecitorio. Il Presidente della Camera prende a sua volta commiato dai Capi di Stato esteri e dalle Autorità costituzionali convenute e fa rientro nel proprio studio.
A sorpresa la salma di Napolitano è stata visitata nella camera ardente al Senato è stata visitata da Papa Francesco. Una visita laica da parte di un Pontefice che non ha accennato nemmeno un segno di croce .
Giorgio Napolitiano sarà sepolto accanto a Gramsci e Camilleri nel cimitero acatattolico detto anche degli inglesi . Riposerà nel giardino alle spalle della Piramide accanto a Emilio Lussu , Lindsay Kemp. Amalia Rosselli, Keats e Shelly.
Al di là della sua specchiata vita politica che appunto come ho avuto modo di dire segna tappe fondamentali della vita del nostro paese e della vita del partito a cui Napolitano apparteneva, c’è un avvenimento decisivo nella vita politica di questo leader ,la sua elezione a Presidente della Repubblica, l’elezione di un “ comunista “ a Presidente ma soprattutto la sua rielezione e dunque tutti gli atti ,ancora pieni di “cronaca” della sua presidenza che ne hanno fatto una figura discussa e che probabilmente tra qualche anno dalla sua morte troveranno una giusta collocazione storica.
Giorgio Napolitano decise di accettare la ricandidatura per senso di responsabilità e a condizione che i partiti si impegnassero senza indugi a riformare la legge elettorale e le istituzioni. Alla sesta votazione, con un ampio consenso, Giorgo Napolitano divenne il primo Presidente della Repubblica italiana a svolgere un secondo mandato. Ottenne molti più voti rispetto alla precedente elezione: era stato eletto per la prima volta Capo dello Stato il 10 maggio del 2006 al quarto scrutinio con 543 voti favorevoli, 195 voti in meno rispetto alla elezione del 2013.
La sua rielezione è stata un avvenimento inedito per il nostro paese l’Italia, ma è stata una specie di soluzione ad una profonda crisi istituzionale che pure Napolitano aveva additato e posto all’attenzione delle forze politiche presenti in parlamento. Una crisi sostanzialmente determinata dall’incapacità degli stessi partiti politici di riformare il paese e le istituzioni. Ma anche una crisi del Partito democratico ( 2) Una crisi lunga e profonda tanto da perpetuarsi in occasione della rielezione dell’attuale presidente Sergio Mattarella al suo secondo mandato istituzionale. Una crisi alla quale la politica vorrebbe dare una soluzione o con il semipresidenzialismo o il premierato.
In principio fu il presidenzialismo, o meglio il semipresidenzialismo alla francese. Vecchio pallino del presidente della Camera Gianfranco Fini, la soluzione istituzionale francese fu anche quella che prevalse alla fine nella Bicamerale presieduta da Massimo D’Alema nel 1997/98 prima di naugrafare per il passo indietro di Silvio Berlusconi. E la dicitura «elezione diretta del presidente della Repubblica» si ritrova anche al terzo punto del programma comune del centrodestra per le ultime elezioni politiche.Già da mesi, tuttavia (si veda il Sole 24 Ore dell’8 dicembre), a Palazzo Chigi ci si è orientati su una forma di premierato abbandondando l’idea di toccare la figura del Capo dello Stato. Parecchi, infatti, sono i vantaggi del premierato rispetto al presidenzialismo: intanto l’introduzione dell’elezione diretta del capo del governo e il rafforzamento dei suoi poteri comporta la modifica di pochi articoli della Costituzione rispetto all’elezione diretta del Presidente della Repubblica, che oltre ad attribuire al Capo dello Stato alcuni specifici poteri di governo che ora non ha, a cominciare dalla presenza al Consiglio europeo, andrebbe bilanciata con una serie di contropoteri (ad esempio un presidente eletto e quindi di parte non potrebbe più presiedere il Csm). Il ruolo di garanzia a di istituzione super partes del Capo dello Stato in un Paese così politicamente diviso con l’Italia, inoltre, non subirebbe modifiche. E a Palazzo Chigi hanno ben presente come il Quirinale sia l’istituzione che da parecchi anni gode della maggiore fiducia da parte degli italiani.(3)
La dignità delle persone, la vicinanza e l’attenzione verso i bisogni e i problemi dei più deboli e dei più indifesi sono stati al centro della sua vita personale e politica . Scrive Marco Tarquinio su Avvenire : “ Quasi undici anni fa Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica in carica, nel suo Messaggio di fine anno del 2012 tornava a chiedere a tutti noi – a cominciare da coloro che hanno il potere di decidere, di intraprendere e di informare – di osare il «linguaggio della verità», aiutandoci reciprocamente a fare i conti con la realtà per complicata che essa sia. E rincuorava quanti s’impegnavano (e s’impegnano) a farlo senza rassegnarsi a disuguaglianze e sopraffazioni, a corruzioni e tradimenti del patto democratico e costituzionale che dà senso alla nostra comune cittadinanza. Ancora lì siamo, in un concerto politico-mediatico spesso distorcente, stordente e mortificante.Napolitano, protagonista di una lunghissima militanza di partito sino a ricoprire importanti ruoli di governo e le più alte cariche istituzionali, avvertiva anche che i giovani italiani avevano «ragioni da vendere» a polemizzare «con partiti e governi» a causa di «pesanti errori e ritardi, scelte sbagliate e riforme mancate», definendolo un «groviglio e intreccio di nodi irrisolti che pesa sull’avvenire». Ancora lì siamo, in un’epoca di guerra e di cambiamenti climatici, di finanza irresponsabile e di nazionalismi indifferenti e insidiosi, di diffusi impoverimenti morali e materiali, di minoranze radicalizzate eppure inconcludenti e di maggioranze disorientate.E il lascito di questo tenace «servitore della patria», parola di papa Francesco, ora che dopo 98 anni il suo personale tempo s’è compiuto, è uno sprone a rifare bella la politica, a ricominciare a scrivere la storia per costruire un futuro davvero diverso. Un domani che si chiama Italia e dall’Italia non esclude e non spinge via nessuno e nessuna. Un avvenire che si chiama Europa e nell’Europa accoglie e include, valorizzando le identità, le culture e le fedi.”
Proprio come aveva detto alla politica italiana ed europea, proprio come era nella sua speranza più intima che ha coltivata in ogni modo fino allo scadere del suo tempo mortale .
(2)La rielezione di Giorgio Napolitano è anche la cronaca della crisi del Partito Democratico che aveva rilasciato delle dichiarazioni in merito alle strategie per la costituzione di un nuovo governo ( tentativo Bersani con i 5 stelle) e dell’elezione del nuovo Capo dello Sttato. Questa strategia, definita da alcuni esponenti del PD del “doppio binario”, consisteva nel cercare un accordo con il Movimento 5 Stelle per la formazione di una maggioranza di Governo ed un diverso accordo, più ampio, con le altre forze politiche presenti in Parlamento per l’elezione del Presidente della Repubblica. Una strategia rivelatasi però piena di contraddizioni . Per un semplice fatto di alleanze. Ovvero come andava considerato il Movimento 5 Stelle in queste due strategie rispetto all’alleanza con altri partiti. Una questione che si è trascinata fino alle elezioni dello scorso anno che ha determinato, per come è stata condotta la vittoria delle destre .
La cronaca delle elezioni presidenziali del 2013 raccontache : “ con la candidatura di Franco Marini al primo scrutinio per l’elezione del Presidente della Repubblica venne esplicitata proprio una strategia del “doppio binario” che induceva il Partito Democratico ad interpretare contemporaneamente due diverse posizioni politiche, l’una in contraddizione con l’altra. Non stupisce quindi che la candidatura di Franco Marini alla prima votazione, maturata in accordo con il centrodestra, non ebbe successo, non solo per la defezione dell’alleato SEL o per la defezione, peraltro annunciata, di una parte dei deputati e senatori del PD che non erano d’accordo sulla candidatura di una figura tradizionalista e partitocratica in un clima rovente di antipolitica.
Al quarto scrutinio ci fu la riprova della coesistenza di due linee politiche divergenti e contraddittorie nel Partito Democratico.Infatti, dopo l’insuccesso della candidatura di Franco Marini il Partito Democratico decise di attendere il quarto scrutinio, che consente di eleggere il Capo dello Stato a maggioranza assoluta, e di serrare le fila approvando all’unanimità ed in accordo con SEL la candidatura di Romano Prodi, una candidatura fortemente osteggiata dal centrodestra che aveva messo un veto proprio sull’ex Presidente del Consiglio, ex rivale di Berlusconi.
A questo punto la posizione assunta del Partito Democratico per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica appariva chiaramente schizofrenica: la candidatura di Romano Prodi rappresentava una inversione ad U rispetto alla posizione assunta con la candidatura di Franco Marini, poichè in sostanza veniva rinnegato in modo plateale il precedente tentativo di accordo con il centrodestra.Lo stato confusionale in cui si trovava il Partito Democratico era testimoniato anche da un’altra circostanza: la posizione assunta dal PD con la candidatura di Prodi non assumeva nemmeno il significato di un ritorno alla coerenza con le posizioni assunte nel tentativo di formare un governo con il Movimento 5 Stelle, ma veniva presentata come un arroccamento della coalizione di centrosinistra, come un tentativo di procedere in autonomia.Eppure l’eventuale elezione di Romano Prodi a Presidente della Repubblica avrebbe bloccato qualsiasi ulteriore tentativo di accordo con il centrodestra e probabilmente quella parte del Partito Democratico contraria a qualsiasi accordo con Berlusconi aveva individuato nella persona di Romano Prodi un candidato di prestigio in grado di ottenere il consenso di tutto il centrosinistra e di almeno una parte del Movimento 5 Stelle, visto che Romano Prodi era annoverato tra i nominativi graditi anche al M5S. In realtà la prima scelta del Movimento 5 Stelle era caduta su un’altro candidato, Stefano Rodotà, ma nonostante fosse un esponente del PD una eventuale convergenza di tutto il centrosinistra su questo nominativo era esclusa da una netta contrarietà di una parte dello stesso Partito Democratico.
La contraddizione interna al Partito Democratico esplose nuovamente con il voto su Romano Prodi, che non solo non venne appoggiato dal M5S, ma venne tradito da quella parte del suo partito che non voleva rinunciare alla possibilità di un accordo con il centrodestra. Romano Prodi ottenne al quarto scrutinio solamente 395 voti che fecero emergere la presenza di 101 franchi tiratori tra le fila del centrosinistra.”
A questo punto la crisi del Partito Democratico era conclamata, Rosy Bindi si dimise dall’incarico di presidente del partito e Bersani annunciò le sue dimissioni dall’incarico di segretario.
La quinta votazione procedette a vuoto per prendere tempo. Nel frattempo alcuni leader di partito (Mario Monti, Pier Luigi Bersani e Silvio Berlusconi) e alcuni delegati regionali avevano incontrato separatamente il Capo dello Stato Giorgio Napolitano per chiedere la sua disponiblità ad essere rieletto, sostenendo che la sua statura politica fosse l’unica in grado di garantire l’unità e la coesione nazionale in una fase così drammatica della vita politica italiana.