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LA PITTIMA E IL PIANTONE: IL RECUPERO CREDITI FRA STORIA E LEGGENDA

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Redazione-Il 53% degli italiani è in debito con Equitalia, concessionario dell’Agenzia delle Entrate per la riscossione, per cifre inferiori ai mille euro. Nel 2014 l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato una mappa dell’evasione con dati sconfortanti. Parlare di esazione fiscale in tempi come i nostri è facile, forse anche troppo. Ma il presente non è tutto: il recupero dei crediti pubblici e privati ha una sua Storia e bisogna dargliene atto. Anche quando sembra incredibile.

La pìttima

Venezia, primo Rinascimento. Un personaggio petulante vestito di uno sgargiante mantello rosso piantona un mercante di spezie evidentemente infastidito: è la pìttima.

La pìttima, una figura a metà fra Storia e leggenda (le fonti storiche parrebbero latitare), era un soggetto che veniva impiegato nelle Repubbliche di Genova e Venezia con un solo compito: seguire il debitore moroso e ricordargli in continuazione il suo debito pendente, senza fermarsi mai.

La prima conseguenza era ovviamente il fastidio che si creava nel debitore, ma poteva anche darsi che non fosse sufficiente: armato di una santa pazienza, questo poteva continuare la sua vita ignorando la pìttima anche per un lungo periodo. E infatti la storia non finiva qui.

Il debitore era anzitutto debitore di una somma tale da ritenere necessario il ricorso alla pìttima. E chi, più che un imprenditore, un mercante, un giocatore poteva aver contratto un simile debito?

Qui entra in gioco il secondo effetto della pìttima. Il debitore, uscito di casa, si sarebbe sicuramente recato in un luogo di aggregazione o di lavoro. E lì la pìttima l’avrebbe seguito con le sue lamentele continue. Immaginiamo l’effetto che avrebbe avuto la cosa su un potenziale contraente del debitore, che al momento di farsi dare un assegno o di firmare un contratto avesse visto avvicinarsi il (volutamente) visibilissimo mantello rosso e la lamentosa ricostruzione della storia patrimoniale di chi aveva davanti. Tanto sarebbe bastato a rovinare affari e reputazione del debitore, inducendolo a pagare prima possibile (se possibile) o rovinandolo del tutto.

Pagata dai creditori, la pìttima era in ogni caso un soggetto pubblico, impiegato direttamente dallo Stato.

Questo interessamento non deve sembrare strano. Nei sistemi del tipo delle Repubbliche marinare, basati sul commercio marittimo privato ma caratterizzati anche da un certo “statalismo”, infatti, la regolarità degli scambi e dei pagamenti era un valore fondamentale, specie se avvenivano fra concittadini. Non mancano poi, nelle Repubbliche e nei Comuni medioevali, casi di riforme continuate nel tempo per l’influenza di fattori esterni, estemporanei, emergenziali: nel 1370, la Repubblica di Pisa fu costretta a riformare la sua Massa delle Prestanze (che oggi potrebbe essere definita come un sistema di gestione del debito pubblico) a causa dei tributi per la discesa in Italia dell’imperatore Carlo IV di Boemia. Era la terza volta in ventidue anni.

Nonostante la pìttima servisse a mantenere la regolarità dei traffici (o forse proprio per questo) la società borghese in pieno sviluppo non deve aver dimostrato un grande apprezzamento per sua funzione di sanzione indiretta. Il suo nome deriva dal tardo latino “epithĕma“, che letteralmente significa “ciò che è posto sopra“. In senso figurato, il Vocabolario Treccani ne riporta oggi il significato di “Persona uggiosa, fastidiosa, che annoia con le sue insistenze o le sue lamentele“, indirizzando il lettore ai sostantivi cataplasma e impiastro.

Il Piantone

Alla metà dell’Ottocento il Regno delle Due Sicilie è governato dalla famiglia Borbone, tornata al potere a Napoli nel 1815 dopo nove anni di esilio a Palermo.

Uno dei problemi più impellenti degli Stati è da sempre il gettito fiscale, forma stabile di acquisizione di liquidità. E i Borbone di Napoli avevano trovato una soluzione molto particolare: il piantone.

Si trattava di una forma di sanzione indiretta. Il contribuente moroso era costretto ad ospitare fino a due soldati in casa sua, facendoli mangiare e dormire a sue spese, per un periodo massimo di dieci giorni in base all’ammontare del debito.

Ora, la natura di questo istituto non era punitiva: in caso di pagamento, il piantone veniva revocato. Ma l’effetto deterrente era certamente efficace, almeno sulla carta. Chi si sarebbe messo in casa uno o due soldati, armati e pronti magari a fare quello che più loro aggradava? Ecco che allora il piantone spiegava in pieno la sua efficacia di sanzione indiretta: sarebbe bastato qualche giorno e il contribuente avrebbe sicuramente ceduto (o almeno questa era la ratio della norma). In alternativa a vitto e alloggio, il contribuente poteva pagare la somma di due carlini al giorno per ogni “ospite”. Due carlini corrispondevano a circa 8 euro odierni, ma si deve pensare che il salario giornaliero di un contadino dell’epoca corrispondeva a circa due carlini, più uno circa per il vitto, in una società ancora poco incline all’uso di massa del denaro.

E se i soldi non c’erano?

Anche in questo caso, il piantone aveva un suo effetto benefico per lo Stato. A ben vedere, l’erario avrebbe comunque potuto risparmiare fino a un totale di venti giorni di vitto e alloggio per ogni contribuente sanzionato, che avrebbe mantenuto i soldati come poteva per il tempo previsto. E se pure il contribuente si fosse sobbarcato la spesa, il risparmio massimo di 40 ducati (400 carlini) per ogni imposta evasa non era un risparmio da poco.

A vederla oggi è una misura disumana. Tutti i più importanti diritti già riconosciuti o in fase di riconoscimento erano danneggiati o messi in pericolo: dal diritto di riservatezza nella propria vita privata alla proprietà, per non parlare dei pericoli per l’incolumità personale del contribuente, della sua famiglia e dell’eventuale servitù, ormai già riconosciuti quali cittadini. Ma questa misura, se vista nell’ottica del bilancio statale, poteva fare la differenza.

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