“CIO’ CHE FA MALE ” ( PRIMA PARTE)- DOTT.SSA RITA FARNETI
Ill feelings di Alice Hattrick, scrittrice britannica, si presenta con una frase incisiva
Redazione- E’ una considerazione profondamente soggettiva e politica della natura della malattia, del suo tempo, del suo silenzio, testimonianza dei corpi che abita e dell’invisibilità che le appartiene*.
L’autrice narra la complessità della condizione di malattia, grazie al taglio autobiografico imposto al testo, ed invita a soffermarsi sull’ invisibilità del malato. Pubblicato negli U.S.A a febbraio 2022, ad oggi disponibile nella sola versione inglese, il libro si è conquistato recensioni più che favorevoli, soprattutto in Inghilterra, dove era disponibile già dal 2021.
Fin dalle prime pagine emerge la volontà della scrittrice di costruire un racconto che, poi, trasformerà in una sorta di diario.
Scrivi un diario per dire qualcosa a te stesso e per te stesso, ma lo fai anche per i posteri. Se ti senti male e la malattia che ti viene diagnosticata non ha una causa apparente, forse quel futuro lettore invisibile sei tu. (…) Il tuo diario crea uno spazio per raccontare i tuoi sentimenti, per quanto incoerenti o esagerati, diventa un luogo dove parli senza giudizio, paura o vergogna.
E’ un’operazione di sartoria psicologica quella della scrittrice britannica, bene esprime un senso di isolamento ed il bisogno di combatterlo, lei per prima consapevole della solitudine del malato. Dare voce alle percezioni del corpo e forma alle sue rappresentazioni non svilisce affatto una condizione espressa nella disfunzione o nel danno d’organo, come abitualmente si usa interpretare la malattia, uno status biologico che supera i ranges che appellano alla normalità.
Anche per Sir Gordon Waddell e Sir Mansel Aylward, medici britannici e studiosi insigni, la malattia rappresenta un’esperienza personale interna, uno status sociale accordato alla persona dalla società, ma è al tempo stesso condizione ben distinta da cosa s’ intende per disordine della struttura o della funzione dell’organismo umano deviante dalla norma biologica.
La malattia significa anche sofferenza ed è il dolore a scandire un senso del tempo diverso, a dettare regole nuove, offrendosi al consenso/dissenso sociale. Il modo attraverso il quale la società poi tenderebbe ad omologare la malattia come fallimento, maggiore se incistato nella cronicità, può esercitare un’azione quasi pervasiva, forse perturbante.
Ci si interroga con sufficiente attenzione, acribia e sensibilità – sembra fin dall’inizio domandarsi l’autrice – su quali cose appartengano davvero al soggetto e quali le espressioni da legittimare, di cui la malattia possa essere un testimone attendibile?!
La novità, ed anche l’originalità del testo, si colloca soprattutto in una critica della visione cultural-sociale che guarda alle malattie senza avere occhi per i malati, rafforzando così un modus operandi che mira ad una performance efficiente: occupandosi dunque di organi malati, è meno scontata l’interazione con la persona che abita quegli organi. Se poi ci si concentra solo sulla malattia – e in questi due anni di pandemia lo abbiamo sperimentato un po’ tutti – risulta meno naturale parlare con i malati di ciò che realmente provano.
Salomon Resnik, medico e psicoanalista, insisteva spesso sulla necessità di dotarsi di un terzo occhio per poter guardare: serve almeno quanto serve un terzo orecchio per saper ascoltare. Per Alice Hattrick l’azione di chi cura è spesso subordinata alla mera medicalizzazione che s’ impone con efficacia risolutiva sulla patologia o sui sintomi ad essa correlati.
Sufficit?.
Nel racconto, pieno di metafore, attraverso le quali l’autrice s’addentra nella nebulosità della patologia paterna, la malattia pare indefinibile ed assume spesso il significato di un sottoprodotto della mente.
Mio padre è chiaramente un uomo fisicamente malato (… ) la sua insufficienza cardiaca contribuisce al suo stato d’animo, e sicuramente influenza, in grande stile, la sua vita fisica, ma c’è una parte di lui e del suo comportamento che esiste al di fuori dell’insufficienza cardiaca.(…)La sua malattia sembra estendersi oltre lo scompenso cardiaco, in un regno mentale più simile a uno stato depressivo (…) la depressione è molto comune nelle persone che hanno subito importanti interventi chirurgici al cuore (…) Sembra l’aspetto meno curato(…) come se un corpo dovesse essere trattato scisso dalla mente.
Per l’autrice la malattia potrebbe invece essere una sorta di documento, archivio denso di dettagli, fatto di storie personali e vicende che accomunano la gente. Raccoglie traumi condivisi, personali casi di malattia ma anche aspetti di malattie vissute da scrittrici come Virginia Woolf ed Elizabeth Barrett Browning.
Ill feelings sembra dunque sgombrare il campo dai luoghi comuni, ben lungi da una riflessione superficiale che potrebbe definire la malattia come qualcosa di noto e ben intercettabile. L’essere dei malati significa per Alice Hattrick tenere conto di una scala valoriale dai gradienti diversi: esiste un modo di essere malato ed un modo altro di esserlo, esistono sfumature, distinzioni e, soprattutto, livelli diversi che finiscono per assumere comunque significativa importanza.
Se la medicina occidentale si definisce nella performance e nell’ efficienza – meno sulla qualità della relazione che può considerarsi eventuale valore aggiunto – occorre rammentare come la persona ammalata viva uno scollamento fra un prima ed un dopo, una frattura fra ciò che nella propria vita era presente ed ora non lo è più.
Per questo Ippocrate di Cos invitava ad ascoltare la comunicazione non verbale nel paziente: oggi siamo lontani da quel livello di empatia, sembra prevalere l’immagine di una medicina agguerrita ed efficientista, l’ospedale rimane una grande macchina da guerra ed il morire deve attuarsi nel silenzio asettico di una stanza. Inutile ribadire quanto le indicazioni di Ippocrate fossero già allora brillanti, lungimiranti, acute ed attuali.
Il medico deve studiare i costumi, il regime, il modo di vita, l’età di ognuno; i discorsi, i silenzi, i pensieri, il sonno, l’insonnia, i sogni, come e quando, i gesti involontari come strapparsi i capelli, grattarsi, piangere, perché il più grande errore che si commette è separare la psiche dal soma.
Una medicina che sappia unire soma e psiche, mediante un approccio olistico, è capace di comunicazione: il medico possiede la capacità di saper leggere (ovvero l’intelligenza diagnostica), quella di saper curare (ovvero l’arte del togliere la malattia) e soprattutto il talento di trasmettere le informazioni necessarie nel modo adeguato. Prioritario nei testi di Ippocrate è l’interesse per l’uomo e l’importanza della sua conoscenza: se c’è amore per l’uomo ci sarà anche amore per la scienza (…), attenzione e corretta simmetria nella comunicazione fra medico e paziente, fra docente e discente, fra gli esperti ed i profani. E’ quanto la Hattrick sostiene anche attraverso i propri ricordi, i dubbi, forse anche i suoi conti in sospeso.
Quando dico che sospetto che mio padre covi una malattia separata dalla sua diagnosi di insufficienza cardiaca, quello che voglio dire è che la sua mente sembra spesso come se fosse intrappolata in una gabbia d’acciaio. L’ angoscia mentale, che lo conduce attraverso attacchi di infelicità e malessere, è spesso attribuita a ciò che è più dominante nella sua cartella clinica.
Ma mio padre è sempre stato un uomo insoddisfatto, che fantasticava costantemente sulla sua vita da artista di successo e non ci riusciva mai.
Anche prima della sua insufficienza cardiaca si crogiolò nelle proprie delusioni.
È possibile che mio padre abbia sempre sofferto di qualche tipo di disturbo non diagnosticato, ma non sono qualificata per fare un’ipotesi su cosa potrebbe essere.
Ogni medico che ha incontrato non è stato in grado di dargli una ragione definitiva per l’insufficienza cardiaca.
Sono perplessità, inquietudini centellinate con certosina minuzia, una narrazione irrequieta che cerca cause, ragioni, per conquistare una verità possibile, ben certa l’autrice che quest’ultima sarà facilmente in grado di sbilanciarla dentro dubbi ulteriori.
Nella storia medica e familiare del padre, e prima ancora della madre, la scrittrice solleva incertezze, nella forma di domande impopolari, più vicine ad affermazioni, travestite nella composta, pungente, accorata
forma di un dubbio, sotterraneo, che del testo diventa forse il tratto più significativo. ( prima parte)