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” IL WESTERN NEI FILM E NEI ROMANZI : VITA DI UNA FRONTIERA IN BILICO ” DI VALTER MARCONE

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Redazione-  Di settimana in settimana,il lunedì e il martedì, in prima e seconda serata su Rai Movie il lunedì e su Iris il martedì si possono rivedere film cult di quella che fu la stagione del western ovvero il racconto di quella epopea alle cui immagini e narrazioni sono legati alcuni anni della mia adolescenza.

In una città, Sulmona, in cui erano aperte quattro sale cinematografiche ridotte oggi ad una sola sala che funziona anche a singhiozzo. Di quelle sale due erano parrocchiali perchè annesse a due chiese. L’una proprio nel centro della città su Piazza Garibaldi, l’altra a sud appena fuori l’arco di Porta Napoli , Entrambe le sale erano gestite da religiosi e sorgevano a pochi minuti a piedi da dove abitavo. In quelle sale oltre a film con storie edificanti venivano proiettati film western. Io ne ero un frequentatore assiduo; l’ingresso costava venti lire a differenza delle altre due sale dove si pagava un biglietto da cinquanta lire. Ero solo un ragazzo, avevo dieci, undici anni e mia madre mi lasciava appena andare da solo. E da solo in quelle sale ho visto film in cui erano trasposte per esempio le tragedie e le commedie di Shakespeare e anche opere del melodramma italiano , specialmente le opere di Giuseppe Verdi .

All’epoca nelle altre due sale si proiettavano i film del neorealismo, le commedie all’italiana, le storie dell’America lontana e cara perchè ci aveva liberato dal nazifascismo e ci aveva dato anche da mangiare negli anni Cinquanta con quei suoi pacchi “ Dono del popolo americano” che venivano distribuiti per esempio dalla Poa ,la Pontificia opera di assistenza insieme alla tessere del “Caro pane” degli Eca gli Enti di assistenza comunale che funzionarono ancora per un decennio dopo la fine dell’autarchia fascista e della guerra . Dopo quegli anni da ragazzo e da adolescente , quando quelle due sale parrocchiali avevano chiuso da tempo , il venerdì, e questa volta in comitiva, avevamo preso l’abitudine di andare al cinema, all’ultima rappresentazione della serata per vedere i film novità che venivano programmati per i tre giorni del fine settimana. In quella stessa sala , il Pacifico che prendeva il nome da uno dei soci che gestiva la sala dove erano venute ad esibirsi anche le compagnie di giro, il cosiddetto varietà che il lunedì metteva assieme la proiezione di un film e un avanspettacolo con can can finale di ballerine. L’altra sala , il Balilla, un vero e proprio gioiello architettonico ma piccola come si evince dal nome,soprannominato anche “ il pidocchietto”, aveva un pubblico più riservato e un palcoscenico minuscolo che comunque ospitava , specialmente prima della seconda guerra mondiale, degli spettacoli di cabaret. Famose, come raccontava mio padre, erano le “serate nere” ossia serate in cui c’era come clou lo spogliarello con sorpresa finale. Infatti l’attrice cominciava a spogliarsi e arrivata alla biancheria intima non si riusciva mai a vederla nuda perchè in quell’istante si spegnevano tutte le luci e quando si riaccendevano la spogliarellista appariva in calzamaglia nera, da qui la “ serata nera”.

A Sulmona c’era poi anche un Teatro comunale oggi intitolato a Maria Caniglia e ancora funzionante che periodicamente ospitava vere e proprie stagioni liriche concentrate nell’arco di alcuni giorni in cui venivano rappresentate opere liriche. Il loggione dove andavo volentieri con mio padre e i suoi amici era la fossa dei leoni dei tenori e soprani . Il “ loggione” determinava ogni volta il successo o meno di quel tenore , baritono o soprano. In delirio quando ospitava opere in cui si esibiva un tenore nativo di Sulmona , Tony del Monaco, che era già molto conosciuto per alcune sue apparizioni in programmi televisivi. Il Teatro Comunale ospitava anche le stagioni del Teatro Club curate dall’avvocato Pasquale Speranza che riusciva a portare a Sulmona compagnie di ottima levatura e le stagioni della Camerata Musicale curate da Filippo Tella con concerti di strumentisti anche famosi . Un teatro che avevo frequentato da studente fin dalle scuole medie dove mi venivano regalati dei biglietti omaggio. Un teatro che ho frequentato anche come giovane corrispondente del quotidiano nazionale allora di proprietà della famiglia Perrone, Il Messaggero, redazione di Sulmona per la pagina culturale. E che ho calcato con la Compagnia dei giovani nata all’interno del Centro Servizi Culturali rappresentando con la regia di Franco Incani la piece “ La nuova liberazione “ di Stanislav Witkiewicz . Autore di oltre trenta drammi, alcuni dei quali perduti, scritti in gran parte negli anni 1918-26. Anticipatori di molte soluzioni del moderno teatro dell’assurdo, quelle opere teatrali di Witkiewicz fanno sentire il rifiuto di qualsiasi regola di verosimiglianza ed esaltano il gusto surrealista per la parodia e il non-senso, senza lesinare esuberanti invenzioni linguistiche.

Una compagnia che ha continuato per qualche tempo la sua attività all’inizio degli anni Ottanta rappresentando testi diun giovanissimo Lucio Di Cicco, che poi ha lavorato in ferrovia e che oggi vive tra Roma, Sulmona e Delft, in Olanda e ha pubblicato proprio in queste settimane il romanzo “ Vita avventurosa di un’acciuga cantabrica , edito da L’Orma editore .

Ma dicevo dei venerdì in compagnia. In quelle occasioni ho visto film di impegno politico e sociale come per esempio “Indagini su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” e tanti altri. Ma tornando al western e alle attuali serate televisive del lunedì e del martedì , alla mia età non riesco a fare a meno di rivedere quei film western visti da ragazzino , forse perchè mi ricordano quell’età e la nostalgia di quel tempo ma anche forse perchè quelle storie , semplici continuano ad affascinarmi ora come allora.

Si tratta di storie che raccontano la vita di sceriffi che da pistoleri si trasformano in uomini di legge; si tratta di uomini che si dedicano alla caccia e alla vita solitaria sulle montagne , di uomini in cerca di oro; si tratta a volte della lotta contro il sopruso e la violenza di un capobanda che nelle vesti onorabili di proprietario attraverso i suoi sgherri impone una sua legge; si tratta della lotta tra agricoltori e allevatori che si contendono terra ed acqua,; si parla della grande epopea del popolamento del west, dei fatti della guerra tra nord e sud e delle gesta dell’esercito nordista. Ma anche del genocidio, perpetrato in vario modo degli indiani e della narrazione di una America in travaglio per affermare una identità. Ma anche un’America in cui molto si può identificare nel breve romanzo di Jack London che ha come protagonista il cane Buck in quanto storia esemplare di “ fierezza e sopportazione, ma anche per la capacità di amore e di riconoscenza”.

Vedendo oggi quei film mi continuo a domandare , al di là del valore nostalgico e quindi psicologico che cosa hanno rappresentato quei film e in genere tutta la narrazione di genere western nella storia di un’America in cui appunto il western è stato,probabilmente, quello che l’Iliade e Odissea sono state per il mondo classico. Proprio la vita della frontiera rappresenta per l’epos americano un modo non di fantasticare ma di raccogliere delle esperienze fondamentale e dare loro una dignità storica. Il genere western nel cinema, nella letteratura ma anche nei fumetti è stato inventato quasi due secoli fa e ha concorso a fondare un mito. E’ noto come le nostre civiltà vivono di miti e della loro storia. E’ quello che è capitato per il western che ha raccontato personaggi appunto mitici tra cui sceriffi e uomini di legge con la colt in mano per proteggere comunità in formazione la cui vita veniva turbata. Miti di allevatori che credevano per esempio nel futuro delle ferrovie, la strada ferrata che avrebbe permesso alla loro carne congelata di viaggiare attraverso il paese ma anche di superare le frontiere come poi in realtà è avvenuto . Il racconto di allevatori di serie A e di serie B ossia quelli che allevavano bovini e quelli che invece allevavano pecore .

E poi la leggenda degli uomini a cavallo , i cow boy , le storie che raccontano come si impara quel mestiere . E ancora la vita negli accampamenti indiani, le loro tradizioni, il difficile recupero di ragazzi e ragazze rapite dagli indiani durante le loro razzie e inseriti nelle loro comunità fino a diventare dei loro. La storia di diligenze che trasportavano oro rapinate da banditi diventati famosissimi o la trasposizione nei film di leggende come” L’oro di Mackenna” (Mackenna’s Gold) un film del 1969 diretto da J.Lee Thompson , tratto da un romanzo di Will Henry.

Il film racconta la leggenda del Cañón del Oro, in seguito chiamato Adams perduto, in cui è custodito un tesoro in oro dagli spiriti degli Apaches. Si dice che un uomo di nome Adams lo abbia trovato da giovane, ma che gli indiani lo abbiano accecato, dopo aver ucciso i suoi compagni. Il protagonista riceve da un indiano morente una mappa che si imprime nella memoria distruggendone il disegno. Catturato da alcuni banditi accetta di condurli in quel luogo ma al momento in cui vi si introducono un terremoto seppellisce la vena d’oro e loro si salvano per miracolo.

Il western al cinema dunque .Cavalli ,mandrie,trappole per animali da pelliccia, caccia ai bisonti, accampamenti indiani, cariche dei soldato in blu della Confederazione del Nord,nascita di stazioni ferroviarie, assalto alle diligenze e alle banche. Lo sterminio del popolo indiano come si racconta in un western recente “Balla con i lupi “ in cui l’attore Kevin Costner, oltre che esserne il regista interpreta la storia di un soldato dell’esercito nordista che incontra la cultura del popolo indiano e la sperimenta vivendo in una tribù e pagando per questo un prezzo molto alto perchè perseguitato dai suoi stessi commilitoni che lo ritengono un traditore. Una interpretazione quella di Kevin Costner , quarantatre anni di carriera con moltissimi film anche western . Vincitore di 8 premi su 24 nomination, tra cui 2 premi Oscar, 2 premi Golden Globes, 1 premio SAG, 1 premio DGA; tra gli ultimi riconoscimenti che ha ricevuto, quello per “Miglior regia” (Oscar 1991) per la pellicola “Balla coi lupi”.

Pistole colt come la Colt Single Action Army, un tipo di pistola a tamburo a retrocarica di 6 colpi ad azione singola, prodotta per la prima volta negli Stati Uniti d’America nel 1873 e fucili a ripetizione , a canna singola, in grado di sparare più colpi, prima di dover caricare nuove munizioni . I fucili a ripetizione rappresentarono un progresso significativo rispetto ai precedenti fucili a retrocarica a colpo singolo quando venivano usati per il combattimento militare, poiché consentivano una cadenza di tiro molto maggiore. I fucili a ripetizione “convenzionali” esordirono nella guerra civile americana durante i primi anni 1860,

Ma prima del cinema ci fu una letteratura western con racconti pubblicati a 10 cent la copia e storie come quelle raccontate da Ann Stephen che a metà Ottocento vendeva tirature di 65 mila copie . Una letteratura che raccontava anche personaggi veramente esistiti come Bufalo Bill o Calamity Jane. Una letteratura alla quale il cinema potè attingere a piene mani perchè aveva solo l’imbarazzo della scelta per raccontarne le storie. Un western universale di cui non si possono dimenticare le storie raccontate da John Ford o che hanno come protagonista John Wayne il cui vero nome era Marion Robert Morrison. ,un nome femminile per un uomo sulla cui tomba è scritto“Feo, Fuerte y Formal” (brutto, forte e gentiluomo) diventato dunque un’icona del maschio duro e coraggioso. Sin da piccolo andava a scuola a cavallo e preferiva farsi chiamare “Duke”, perché girava sempre con un cane di nome “Little Duke”. Fino alle rivisitazioni di Bud Specer e Terence Hill e al western all’italiana di Sergio Leone .

Mi piace qui ricordare due protagonisti indiscussi del western John Ford e John Wayne . John Ford,(1894-1973 famoso soprattutto per una filmografia veramente imponente nel genere western ; film premiati con quattro Oscar alla regia. Contribuirono alla sua fama e al successo di molti dei suoi film western attori come Victor McLaglen, Henry Fonda John Carradine, Lee Marvin ma soprattutto John Wayne .Cento trenta film tra cui vale la pena di ricordare Sentieri selvaggi (1956), Cavalcarono insieme (1961), L’uomo che uccise Liberty Valance, una trilogia sulla Cavalleria dell’ Esercito dell’Unione . Gli altri due film sono: I cavalieri del Nord Ovest (1949) e Rio Bravo (1950).Film che raccontano storie individuali ma anche storie di comunità che mettono in evidenza coscienza sociale e senso di appartenenza come valori da continuare a coltivare .

Tra i film western ormai “ cult” non vanno dimenticato “ Per un pugno di dollari” e “C’era una volta il west”, due capolavori che reinventano il genere western detto poi “ all’italiana” secondo la sensibilità di un regista le cui opere sono diventate un mito : Sergio Leone . Fabio Melelli ha scritto un libro dal titolo : “Sergio Leone e il western all’italiana, tra mito e storia “monografia sul geniale inventore del western all’italiana, un regista che ha profondamente rinnovato i canoni del cinema, influenzando cineasti di tutte le nazionalità.
Il West per Leone è stato un luogo mitico dove mettere in scena raffinatissimi balletti di morte, un West molto lontano da ogni caratterizzazione storica.
Nel libro viene ricostruita la genesi di capolavori come Per un pugno di dollari e C’era una volta il West, riflettendo sulle ragioni di un successo di portata mondiale. Viene inoltre messo in rilievo il contributo musicale di Ennio Morricone e di attori col tempo diventati vere e proprie icone del cinema di Leone.

Dunque il western come l’epopea di un’America in cui la vita e la frontiera sono sempre in bilico . La Storia di un paese che ha caratterizzato decenni e che sembra emblematicamente allungare le sue luci e le sue ombre in questo presente. Perchè come in molte di quelle storie l’America oggi appare smarrita : il benessere non basta più perchè si sono persi gli ideali. Quelle storie scritte e trasposte nei film presentavano gli ideali di una nazione giovane che pionieristicamente tentava di affermare una visione del mondo nuova che nei secoli ha animato quella comunità e dato vita alle storie di progresso e libertà. Un America che teme il futuro perchè non ha più ideali.

“Make American Great Again” fu lo slogan di Donald Trump durante la sua presidenza e gli americani , o meglio molti americani, se ne convinsero. In realtà è stato poi Joe Biden a ridare all’America un nuovo ruolo dal punto di vista economico e finanziario con la sua “Bidenomics” che ha incrementato il Pil più del sette per cento. Ma gli americani che andranno prossimamente alle urne sono timorosi a causa del possibile aumento del costo del danaro e delle tensioni con Cina e Russia. Purtroppo il buon andamento dell’economia con la creazione di posti di lavoro e l’aumento del reddito non è sufficiente a rassicurare gli americani ormai senza mete ambite. Secoli di storia delle imprese pioneristiche con tutto quello che hanno significato ,fino allo sbarco sulla luna, sembrano essere state messe da parte. Gli americani non vedono più di fronte a loro orizzonti ambiziosi.

L’America di oggi soffre di uno stallo avendo dinanzi sfide epocali e gli americani hanno la sensazione di non riuscire proprio a governare quelle sfide. Quindi la guerra peggiore che l’America sta combattendo in questo momento è proprio una guerra contro se stessa. Per esempio in tema di odio e pregiudizio che sono due pericoli sempre incombenti. Che ci ricordano storie come quella di Matthew Shepard che morì il 12 ottobre 1998 dopo novanta bastonate e cinque giorni di agonia. Ucciso perchè era gay. C’è una legge oggi contro i diritti di odio che porta il suo nome ma episodi di intolleranza continuano a macchiare proprio gli ideali di quella legge. Il suo brutale assassinio è raccontato in “ Il seme della violenza-The Laramie Project “ spettacolo che i registi Ferdinando Bruni e Francesco Frongia hanno tratto dal testo del drammaturgo Moises Kautman. E’ prodotto dal Teatro dell’Elfo , Fondazione Campania in collaborazione con il Festival dei Due Mondi di Spoleto.

Un’America molto vicina all’epopea western viene invece raccontata dal documentarista italo americano Roberto Minervini con un film di finzione che è molto simile ad un western però senza indiani , banditi, sceriffi, mandrie di bovini al pascolo, controversie tra allevatori e agricoltori per l’uso della terra. Un film che però ricorda l’avventura eroica della guerra e mette in evidenza la negatività di ogni guerra. Il film è “The Damned” ( I dannati ) un’apologia sull’insensatezza di ogni genere di guerra ma allo stesso tempo un ritorno alla frontiera e alla insicurezza in mezzo al nowhere del Montana, una regione ribelle in cui viene inviato un contingente di soldato dell’esercito degli Stati Uniti del Nord a presidiare le terre vergini del Nord-Ovest durante la guerra di successione. Minervini in questo film lascia senza nome il nemico quando dalla boscaglia parte una valanga di fuoco . Chi spara? Lo spettatore non lo saprà mai ma è questa la metafora più sorprendente di questo film a mio avviso, La metafora di un’America alla ricerca di se stessa dentro l’apologo morale della negazione di ogni guerra anche perchè di guerre gli americani ne hanno combattute molte sul suolo del loro paese ma anche in giro nel mondo, guerre giuste o ingiuste che fossero.

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