EVOLUZIONE DELLA DEMOCRAZIA TRA PARADOSSI E CONTRADDIZIONI
Redazione-Occultato da ogni logica realtà c’è sempre un paradosso, un accostamento di opposti che contraddice il comune sentire ma comunque reale, una contraddizione spesso relegata nell’ombra, mentre alla luce del sole si manifestano solo le conseguenze razionali di presupposti paradossali. Non potendo fare a meno del lume della ragione ereditato dall’Illuminismo, si tende generalmente a ignorare o, nel migliore dei casi, a normalizzare ciò che “si scontra con l’opinione”, come suggerisce l’etimologia stessa del termine “paradosso”. Ma forse, è proprio andando contro ciò che appare scontato che si può accedere alla conoscenza dei pilastri che sostengono la realtà ordinaria e, in particolare, riscoprendo il paradosso come strumento di analisi della politica si può giungere a una visione assolutamente razionale della stessa. Applicando tale schema di ragionamento alla democrazia si vuole riportare alla luce quella zona d’ombra dove giacciono i paradossi del sistema democratico, sia nel suo funzionamento che nel percorso affrontato per consolidarsi e che intraprenderà per espandersi.
Paradossi nell’essenza della democrazia
«Quando lasceremo risuonare la libertà, quando la lasceremo risuonare da ogni villaggio e da ogni casale, da ogni stato e da ogni città, saremo capaci di anticipare il giorno in cui tutti i figli di Dio, uomo negro e uomo bianco, ebreo e cristiano, protestante e cattolico, potremo unire le nostre mani a cantare le parole del vecchio spiritual negro: “Liberi finalmente, liberi finalmente; grazie Dio Onnipotente, siamo finalmente liberi.”»
Libertà e uguaglianza, queste le promesse della democrazia che Martin Luther King ricordava al popolo americano il 28 agosto 1963. Eppure queste due parole che sentiamo risuonare ogni qualvolta si parli di democrazia, pur costituendo le basi di quest’ultima, indicano differenti atteggiamenti nei suoi confronti. Sebbene tali concetti siano percepiti come un unicum nell’opinione comune e sembri quasi che l’uno non possa sussistere se non affiancato dall’altro, libertà e uguaglianza sono state storicamente le basi sulle quali si sono evolute ideologie reciprocamente antitetiche, quali il capitalismo e il comunismo. Il loro scontro, che ha caratterizzato il XX secolo fino al crollo del muro di Berlino, è l’emblema della contraddittorietà di due principi ineluttabilmente conniventi in democrazia, nonostante il consolidamento di uno infici l’effettiva presenza dell’altro. Un valido esempio di un “eccesso” di uguaglianza a discapito della libertà è fornito dalla sedicente democrazia dell’Unione Sovietica, come, allo stesso modo, si può accusare il capitalismo di un’ottica fortemente incentrata sulla libertà e troppo poco attenta al principio di uguaglianza.
In base alla predilezione della libertà o, al contrario, dell’uguaglianza si è sviluppata una dicotomia rispetto al modo di intendere l’idea democratica riassunta rispettivamente nella teoria partecipativa e in quella costituzionale. La prima ci porta a definire la democrazia come il governo dei molti, ai quali è garantito il potere decisionale in virtù della loro partecipazione al processo politico. La teoria costituzionale, invece, restringe l’obiettivo sui governanti piuttosto che sul popolo, come si può evincere dalla definizione di Schumpeter: “Il metodo democratico è lo strumento istituzionale per giungere a decisioni politiche, in base al quale singoli individui ottengono il potere di decidere attraverso un competizione che ha per oggetto il voto popolare”. L’arbitrio potenzialmente illimitato degli eletti viene, però, arginato e controllato dalla stessa fonte di legittimità di quel potere, cioè gli elettori, che al momento delle elezioni hanno il diritto di reiterare o, viceversa, di non rinnovare la carica di un determinato candidato, in base al comportamento da lui adottato durante il mandato. Queste opposte concezioni si scontrano e si incontrano continuamente fino a tessere delle relazioni che costituiscono la trama fondamentale nel grande arazzo della democrazia.
Paradossi nel funzionamento
Il paradosso principale della democrazia, che ne costituisce la base e la discrimina rispetto ad altri tipi di regime, concerne il suo funzionamento piuttosto che la sua essenza. In democrazia non vi è, infatti, una vittoria completa di una parte sull’altra e una conseguente sconfitta totale dell’avversario, ma vi è una costante fagocitazione delle richieste, delle ideologie, delle strategie e, in definitiva, delle parti che non riescono ad ottenere in maniera effettiva il potere decisionale. Questo determina la possibilità di un’alternanza al potere di forze politiche fra loro differenti che arricchiscono il sistema con una pluralità di punti di vista e di soluzioni alternative, costruendo un terreno di confronto per tutti i partecipanti alla politica. In virtù di questo, si può definire la democrazia come un regime non a somma zero, in quanto esso non si risolve nel dominio della parte con effettivo potere decisionale sull’altra, come avviene nei sistemi dittatoriali, ma vi è una costante ridefinizione della classe politica regnante che si dimostra favorevole a eventuali cessioni del potere alla parte a cui precedentemente era interdetto il suo esercizio. La parte sconfitta, dunque, non è mai del tutto perdente poiché a lei è garantita la possibilità di una vittoria futura e la sua tutela durante tutto il periodo di permanenza all’opposizione. La maggioranza, alla luce di questo processo, ha pieno interesse nel rispetto delle minoranze proprio in previsione di un ribaltamento delle parti, poiché, evitando di vessare le minoranze quando le era assicurato il potere, non deve temere vendette da parte loro una volta persa la propria supremazia. Il rispetto delle minoranze ha come effetto, assolutamente non secondario, una costante revisione e discussione delle soluzioni proposte dalle varie parti in gioco che si traduce nell’emissione di politiche differenti da quelle prospettate dalle singole componenti del sistema. Queste risoluzioni, essendo risultanti di un accordo fra fazioni opposte e portatrici di interessi contrapposti, dovrebbero implicare vantaggi per entrambe le parti rappresentate e costituire la vera essenza del bene comune.
Le condizioni strutturali che permettono la nascita di un sistema politico non a somma zero sono strettamente interrelate alla costruzione di legami di fiducia all’interno della società. Questa permette di conservare una politica democratica poiché solo in sua presenza si concretizza la possibilità dell’avvicendamento di una molteplicità di elementi ai vertici della struttura sociale. Qui ci si imbatte in un ulteriore paradosso: la fiducia si sviluppa generalmente in ambienti e gruppi ristretti la cui sopravvivenza è minacciata dalle condizioni necessarie allo sviluppo delle istituzioni cardine della democrazia stessa. Regime, peraltro, caratterizzato dalla necessaria presenza del conflitto, elemento opposto alla fiducia, che viene allo stesso tempo da questa limitato. La democrazia risulta quindi essere sé stessa e il suo contrario, un delicato equilibrio di opposti per niente statico, una reazione in continuo bilanciamento, in cui la preponderanza di un elemento su un altro dà luogo a qualcosa che non merita già più la definizione di democrazia.
Paradosso come strumento per l’analisi dell’evoluzione storica della democrazia
Per il dinamismo che gli è proprio, il regime democratico è costantemente proiettato verso la sua dimensione normativa, sul “come dovrebbe essere” e questo spinge il meccanismo verso una modifica ininterrotta delle proprie capacità, della propria stessa struttura e dei propri limiti. Per il suo basarsi su principi opposti eppure conciliabili, la democrazia contiene in sé la propria evoluzione e si prospetta allo stesso tempo come ciò che è e ciò che vorrebbe essere. Nel corso della storia la democrazia ha dovuto rinnovarsi più volte per poter sopravvivere, come nel caso del passaggio dalla democrazia partecipativa dell’antica Grecia a quella rappresentativa. Sebbene nell’immaginario comune si tenda a glorificare la democrazia greca e demonizzare quella moderna, di quest’ultima non si devono notare solo i limiti che innegabilmente le appartengono, ma anche i vantaggi apportati al sistema democratico che solo così ha potuto non solamente sopravvivere, ma anche adattarsi a dei confini territoriali molto più ampi di quelli ai quali era abituata precedentemente. Durante il lungo intervallo temporale che separa la democrazia partecipativa da quella rappresentativa si sono affermate quelle che Dahl chiama “egemonie chiuse”, regimi caratterizzati da un’unica classe politica al potere. A partire da questo particolare sistema politico, la democrazia nasce secondo una duplice direttiva che richiama i principi già citati di uguaglianza e libertà. Da una parte la democrazia scaturisce da un ampliamento della partecipazione e quindi da uno sviluppo basato sul principio di uguaglianza, dall’altra si basa su un incremento nella possibilità di dissenso, dunque su un più largo riconoscimento delle libertà politiche. Quello che possiamo definire come un “risorgimento” della democrazia non è una pura e semplice riesumazione della democrazia degli antichi, bensì un suo adattamento ai tempi moderni, la cui modifica più palese consiste nei meccanismi di delega.
Paradosso come strumento per l’analisi dell’evoluzione futura della democrazia
Il passaggio da democrazia partecipativa a rappresentativa ha ristrutturato a tal punto la democrazia da darle un volto quasi irriconoscibile, a cui essa non può rinunciare ritornando alle sue caratteristiche originarie, ma solo modificandosi ancora verso una seconda espansione territoriale del luogo di esercizio della democrazia, con un approfondimento della distanza fra governati e governanti ancor più cospicuo di quello verificatosi nel passaggio dalla democrazia antica a quella moderna. La soluzione di Dahl al problema posto da un eventuale allargamento territoriale dello spazio democratico sarebbe un’imitazione di quanto avviene nelle piccole democrazie europee, dove, per compensare la cessione di potenza dall’unità statale a un’entità sovrastatale, la politica interna si dimostra maggiormente attenta alle necessità più urgenti dei cittadini. In tal maniera si evita il rischio di creare un fossato fra i cittadini e le autorità che significherebbe una minore importanza e un decremento di partecipazione del cittadino alla cosa pubblica.