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“COM’E’ BELLA LA CITTA’ : LA CITTA’ IDEALE,LA CITTA’ REALE .UN’OCCASIONE PER RICREARE LA CITTA'”- DI VALTER MARCONE

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Redazione- Com’è bella la città /Com’è grande la città / Com’è viva la città /Com’è allegra la città./ Vieni, vieni in città /Che stai a fare in campagna?/Se tu vuoi farti una vita/Devi venire in città/Com’è bella la città…/Piena di strade e di negozi/E di vetrine piene di luce /Con tanta gente che lavora/Con tanta gente che produce/Con le réclames sempre più grandi/Coi magazzini le scale mobili
Coi grattacieli sempre più alti /E tante macchine sempre di più….(1)

Così cantava Giorgio Gaber quella corsa sfrenata verso modelli di vita, spesso frenetici, tra i quali quello cittadino, che offrono vantaggi e svantaggi oltre che ad insidie pericolose come il traffico, i ritmi ,il consumo di suolo.Solo per fare alcuni esempi. Per rendere bene l’idea della crescita della città che tra l’altro ha favorito lo spopolamento della campagna Gaber ripeteva il ritornello con un ritmo crescente e sempre più incalzante e alcune partri del testo medesimo .

Com’è bella la città uscì nel 1969, quando il fenomeno dell’inurbamento stava trasformando il territorio del nostro paese e le abitudini di vita di milioni di italiani . Gaber era cresciuto e viveva a Milano, che appunto rappresentava la punta dell’iceberg di questo fenomeno. Così,ironicamente scrisse questa canzone per far finta di invogliare tutti a vivere in città. Una specie di sublimazione ma anche di idea di contrappasso per una palingenesi che probabilmente non arriverà mai. O forse si , visto i tempi che corrono e visto il futuro che ci aspetta. In realtà prende in giro beffardamente la nuova aspirazione a vivere in un ambiente cittadino abbandonando campagna e paesi dell’entroterra che erano stati, si può dire la spina dorsale, sorgono infatti lungo la catena degli Appennini, di una civiltà e di un mondo . Musicalmente si sente in questa canzone l’influenza di Jacques Brel, cantautore francese maestro della chanson che fu la principale ispirazione per Giorgio Gaber.

La dicotomia tra città e campagna è un argomento che tanto a livello letterario quanto nella musica è molto trattato. Pensiamo a Il ragazzo della via Gluck di Adriano Celentano, che mette in evidenza come a causa della costruzione delle città la campagna stia lentamente sparendo. L’opposizione città – campagna torna spesso nei monologhi e nelle canzoni di Gaber che non propende per nessuna delle due realtà. Certamente critica il consumismo e quindi l’urbanizzazione sfrenata, ma insiste sull’idea che occorre sempre fare i conti con la realtà.

Non va dimenticato che Gaber è uno dei rappresentanti più conosciuti della così detta “Scuola milanese”. Insieme con Sandro Luporini ha dato vita ad esperienze di Teatro Canzone, genere di ampio respiro che univa alla gestualità del teatro l’elaborazione compositiva del cantautore. Testi e canzoni che spesso criticano il consumismo di una società a volte ipocrita e incoerente . Prima di dedicarsi al Teatro Canzone, Gaber era conosciutissimo per i suoi lavori in televisione come simpatico presentatore ed artista poliedrico ed ironico. Preferì dedicarsi poi al teatro perchè lo ritenne uno strumento più consono alle sue idee e meno vincolante in tema di libertà di espressione.

Ma le città hanno ispirato molti autori che hanno scritto canzoni indimenticabili proprio sulle città . A cominciare da Alex Britti , un romano che scrive di Milano e riesce ad evocarne tutte le atmosfere, da quelle più goderecce a quelle più malinconiche. Con l’america nei bar,/con la moda sempre in festa/con la gente che lavora sempre troppo/ed una strana atmosfera di conquista. Per continuare con Max Pezzali Un milanese che scrive una canzone su Roma e che parla della capitale con le sue caratteristiche ed il suo fascino unico ed eterno : In questa città/C’è qualcosa che non ti fa mai sentire solo/Anche quando vorrei dare un calcio a tutto/a farsi bella e presentarsi col vestito buono
E sussurrarmi nell’orecchio che si aggiusterà. Un singolo la cui copertina è stata disegnata dal fumettista Zerocalcare. E poi Napul’è di Pino Daniele da cui traspare una Napoli che si specchia nel suo mare e nella canzone che più di tutte ha saputo descriverla nelle sue contraddizioni. Napule è mille culure/(Napule è mille paure)/Napule è nu sole amaro/(Napule è addore e’ mare)/Napule è na’ carta sporca/ (E nisciuno se ne importa).Napul’è è stata tra le prime canzoni scritte da Pino Daniele ed ha avuto un successo imperituro . E poi ancora Firenze canzone triste di Ivan Graziani Una canzone d’amore finito, ricordi che diventano quasi un film per chi la ascolta. Firenze lo sai, non è servita a cambiarla /La cosa che ha amato di più è stata l′aria/Lei ha disegnato, ha riempito cartelle di sogni/Ma gli occhi di marmo del Colosso Toscano/Guardano troppo lontano

Particolari di una donna che si fondono con dettagli di una città. Bologna è femmina per Guccini, ha il carattere forte e prorompente delle donne emiliane. Il cantautore modenese la descrive come “vecchia signora dai fianchi un po’ molli”, con affetto e passione. Oh quant’eravam tutti artistici, ma senza pudore o vergogna /Cullati fra i portici, cosce di mamma Bologna/Bologna è una donna emiliana, di zigomo forte/Bologna capace d’amore, capace di morte. Il cielo su Torino di Subsonica la band torinese per eccellenza celebra la sua città con questo brano. Samuel, il frontman del gruppo, non ha mai fatto segreto dell’amore che prova per Torino che gli ha dato i natali sia anagrafici che musicali e nella quale continua a vivere e fare musica. Per i sussurri mischiati con le nostre grida ed i silenzi/Per il tuo amore che è in tutto ciò che gira intorno /Acquista un senso questa città e il suo movimento/Fatto di vite vissute piano sullo sfondo. Genova per noi di Paolo Conte che è di Asti e quindi con il suo sguardo piemontese riesce a descrivere l’impatto di chi arrivava, negli anni ‘70, nella città ligure. Dettagli di mare che si scontrano con “l’immobile campagna con la pioggia che ci bagna” da cui proviene l’autore. In un′immobile campagna con la pioggia che ci bagna/E i gamberoni rossi sono un sogno/E il sole è un lampo giallo al parabrise
Ma quella faccia un po′ così/Quell’espressione un po′ così/Che abbiamo noi che abbiamo visto Genova. Impossibile non ricordare anche l’interpretazione di Bruno Lauzi. Romanticismo senza fine in Com’è triste Venezia di Charles Aznavour .Decisamente un grande classico. Com’è triste Venezia soltanto un anno dopo/Com’è triste Venezia se non si ama più/I musei e le chiese si aprono per noi Ma non lo sanno che oramai tu non ci sei. E infine per questo elenco sicuramente non esaustivo Trieste di Sergio Endrigo che pur essendo vissuto a Trieste solo tre anni, ne fa un quadro perfetto e suggestivo. Canzoni antiche da osteria/Di vino, donne e nostalgia /Trieste mia.

Dalla composizione di Giorgio Gaber dunque una carrellata sulle più belle canzoni sulla città per ricordare che la città ha una sua musica , una sua storia, una sua estetica . Per esempio la città nella letteratura del Novecento .

Federigo Tozzi scrive Con gli occhi chiusi nel 1913. Incominciamo da qui, da quando il secolo muove i primi passi, un viaggio nelle città italiane attraverso gli occhi degli scrittori. E’ un viaggio assai parziale, di poche tappe, Il romanzo di Tozzi è un fermo immagine di Siena colto quando si è ormai a due passi dal primo conflitto mondiale: “…Le case, bassissime, quasi per affondare nella campagna, da Porta Ovile, da Fontebranda, da Tufi, sorreggono quelle che hanno a ridosso, le trattengono dalla loro voglia di sparpagliarsi più rade; i punti più alti sono come richiami alle case costrette ad obbedire per non restare troppo sole.Nei rialzi sembra che ci sia un parapiglia a mulinello, negli abbassamenti le case precipitano l’una addosso all’altra; come frane. Oppure si possono contare fino a dieci file di tetti, lunghe lunghe, sempre più alte; di fianco, altre file che vanno in senso perpendicolare alle prime. La Torre del Mangia esce fuori placida da tutto quell’arruffio. “

Nessuna presenza umana, le case stesse ne fanno le veci .Non molto diversa, in questo, dalla Firenze del ventennio fascista che riempie di sé Cronache di poveri amanti di Vasco Pratolini: “…Ha cantato il gallo del Nesi carbonaio, si è spenta la lanterna dell’Albergo Cervia. Il passaggio della vettura che riconduce i tranvieri del turno di notte ha fatto sussultare Oreste parrucchiere che dorme nella bottega di via dei Leoni, cinquanta metri da via del Corno. Domani, giorno di mercato, il suo primo cliente sarà il fattore di Calenzano che ogni venerdì mattina si presenta con la barba di una settimana…”

La Ferrara di Bassani in Una notte del ’43, il racconto di cui si offrono queste poche righe, è compreso in Cinque storie ferraresi, scritto nel ’55 e ambientato nei primi anni del dopoguerra invece è “… Sul momento uno può anche non accorgersene. Ma basta star seduti per non più di qualche minuto ad un tavolino all’aperto del Caffè della Borsa, avendo dinanzi la rupe a picco, d’un rosso quasi dolomitico, della Torre dell’Orologio, e, appena più a destra, la terrazza merlata dell’Aranciera, perché la cosa salti subito all’occhio. Si tratta di questo: d’estate come d’inverno, col sole o con la pioggia, è molto raro che chi ha da passare lungo quel tratto di corso Roma, anziché infilarsi sotto il basso portichetto dove nella penombra, accresciuta durante i mesi più caldi dal grosso tendone esterno, si annidano gli antri contigui del Caffè della Borsa e dell’antica farmacia Barilari, preferisca tenersi al marciapiede di fronte, lungheggiante in linea retta e in piena luce la bruna spalletta della Fossa del Castello. Se qualcuno lo fa, potrà essere il turista con l’indice infilato fra le pagine della scarlatta Guida del Touring, assorto, il naso all’aria, nella contemplazione delle incombenti quattro torri del castello Estense, potrà essere il viaggiatore di commercio che, la bosa di pelle sottobraccio, corre via trafelato verso la stazione ferroviaria, potrà essere il contadino della Bassa venuto in città per il mercato, il quale, in attesa della corriera pomeridiana di Comacchi o di Codigoro, porta attorno con evidente imbarazzo il proprio corpo reso pesante dal cibo e dal vino da lui ingurgitati poco dopo mezzogiorno in qualche bettola di San Romano… Potrà essere chiunque, insomma, ma non certo un ferrarese. ..” La Ferrara di Bassani è città d’arte: la raffinatezza architettonica e urbanistica dell’antica capitale degli Estensi è presente nello sguardo e nel sentire dello scrittore ad ogni pagina, nelle Storie ferraresi come nel Giardino dei Finzi Contini,

Anna Maria Ortese in Il mare non bagna Napoli,1953 scrive per descrivere un mondo : “…Mi trovavo davanti alla Banca d’Italia, poco prima dell’Augusteo, nel tratto che va dal grosso edificio della Banca fino a piazza Trieste e Trento, passando davanti alla Galleria Umberto e al Vico Rotto San Carlo. Qui finiva (o cominciava) la celebre via Roma, già Toledo, dal nome del viceré Don Pedro, che la fece aprire nel 1536 sul fosso ovest della cinta aragonese. Quasi rettilinea, in lenta salita da sud a nord, lunga due chilometri e 250 metri, come avvertono le guide, è l’arteria principale della città. Stendhal la definì “la via più gaia e più popolosa dell’universo”, e suppongo che questa fama le sia rimasta. …”

In Ragazzi di vita di Pasolini, del 1955 Pasolini : “La Roma monumentale è cancellata, nemmeno proposta per contrasto. Essa non ha nulla a che vedere con il Riccetto, respinto in una specie di girone infernale sconvolto e sconquassato, perduta ogni armonia, della città come della natura. Il paesaggio lunare ed estremo, tra gli sterrati fangosi, le scarpate, le discariche, il trionfalismo di certe costruzioni del ventennio già fatiscenti, i falansteri spersonalizzanti della metropoli moderna, le baracche di fortuna, è il correlativo oggettivo di un momento di profonda trasformazione culturale e sociale. Potrebbe essere una distruzione creatrice, ma Pasolini sembra piuttosto incline a dirci che si tratta di una creazione distruttrice, un’anticreazione che, sottratte le sue vittime a cultura e natura, le lascia alla deriva presso lo scoglio delle Sirene: canto delle Sirene è il rombo dei motori che il Riccetto ode nelle prime righe, canto della nuova società fatta di consumi, da cui l’umanità del ragazzo finirà stritolata. Tutta contemporanea, dunque, la Roma di Pasolini, colta nel momento in cui rinnova urbanisticamente se stessa e rinnova membra; e questo rinnovamento ha bisogno dell’espulsione della parte più povera della popolazione .”

La Milano di Alberto Savinio in Ascolto il tuo cuore città, completato prima della guerra ma stampato solo nel ’43, quando all’urto del rinnovamento urbanistico si univa il dolore per distruzioni provocate da ben altro che l’entusiasmo modernista del decennio precedente,racconta così la città : “…E’ sera e io cammino sul filo dei miei ricordi, ma la traccia a poco a poco impallidisce e muore. Dove mi trovo? L’ala sinistra del Palazzo reale è cinta da uno steccato come da una benda enorme, oltre a questa si apre uno spazio immenso non d’altro pieno che di tenebre, nel quale i miei ricordi annaspano per un po’ e poi annegano, come dentro un lago che la notte mi teneva celato. Milano in questo periodo di trasformazione è come una città colpita qua e là da distruzioni immani, in mezzo alle quali sorgono già, come viluppi di nuvole dalla bocca di un cratere, gruppi massicci di costruzioni nuove.(…) Il faro che orienta il mio faticoso andare è l’alto edificio dell’albergo Plaza, che come torre sorge, corrusco di luci e di scritte pubblicitarie, su questa intenebrata terra di nessuno. Traversato l’oscuro ‘lago’ arrivo nella “città nuova”. Città dura. Città di ferro. Enormi palazzi si serrano in gruppo, uniscono le rigorose file delle loro finestre prive di persiane – i loro occhi senza ciglia- si danno la mano attraverso archi massicci, pesano con tutti i loro dodici piani sui portici che li sorreggono di sotto, e che stanno zampe plumbee e quadrate nella positura di mostruose scolopendre raggelate. Lanterne enormi pendono tra pilastro e pilastro, e su questi marmi lustri, su questi negozi bianchi che ancora non hanno calore di vita, non attività di commerci, su queste vetrine vuote spandono una luce metallica e fredda. I portoni, chi sa perché? Rammentano il trionfo di Radames. Carri armati dell’edilizia. E’ soltanto un’impressione? I passanti sono suggestionati dai ricordi, e stentano a prendere contatto con queste case nuove. Ma passerà. Tutto passa….”

Luciano Bianciardi pubblica La vita agra nel 1962. Milano è ormai tra le città emblema del pieno tumultuoso ingresso dell’Italia nell’era dell’industria. Che crea benessere (o almeno minore miseria), ma accelera i processi di marginalizzazione ed espulsione

Paolo Volponi, Le mosche del capitale, uscito nel 1989, ambientato nel 1980: “…La grande città industriale riempie la notte di febbraio senza luna, tre ore prima dell’alba. Dormono tutti o quasi, e anche coloro che sono svegli giacciono smemorati e persi: fermi uomini animali edifici; perfino le vie  i quartieri i prati in fondo, le ultime periferie ancora fuori della città, i campi agricoli intorno ai fossati e alle sponde del fiume; anche il fiume da quella parte è invisibile, coperto dalla notte se non dal sonno. Buie anche le grandi antenne delle radiocomunicazioni e dei radar della collina. E’ un rumore del sonno quello di un tram notturno che striscia tra gli edifici del centro. Gli uomini le famiglie i custodi i soldati le guardie gli ufficiali gli studenti dormono, ma dormono anche gli operai: e non si sentono nemmeno quelli dei turni di notte, nemmeno quelli dei turni di guardia di ronda tra le schiere dei reparti o sotto le volte dei magazzini. Quasi tutti dormono sotto l’effetto del Valium, del Tavor e del Roipnol….” (2 )

Tutta la cultura italiana come quella europea è percorsa da una idea che viene da lontano, quella di città ideale, un luogo immaginario dove poter vivere una felicità sognata . Italo Calvino per primo in Italia in uno studio intitolato “Quale utopia?”definisce l’idea di città ideale come un vero “campo d’energia utopica”, in grado di manifestarsi in una pluralità di linguaggi artistici, non solo in quelli verbali e letterari, ma anche con i segni concreti dell’architettura e della urbanistica. Infatti, nella trattatistica filosofica e politica, come nell’arte figurativa, nell’architettura e naturalmente nei trattati di urbanistica, la città ideale è un tema ricorrente .(3)

Certo qui non posso fare l’esame di quel lungo filo rosso che ha determinato la vita e le sorti della città nella storia . Mi limito solo a richiamare l’attenzione su un momento decisivo nella storia del nostro paese per le sorti della città ma anche per come oggi noi le vediamo e le viviamo la ricostruzione post bellica

Leggo in un testo pubblicato dall’associazione Formalit del 2015-16 “la rappresentazione letteraria della città una descrizione appunto della rinascita di molte città dopo le distruzioni della seconda guerra mondiale : “Durante la seconda metà del Novecento le città occidentali hanno avuto, in coincidenza con il periodo della ricostruzione successivo al secondo conflitto mondiale, la possibilità di interrogarsi sulle proprie forme, di catalizzare speranze di rinnovamento e rinascita, di incarnare nuovi modelli di sviluppo. In seguito alle devastazioni subite, le città si configuravano nell’immaginario collettivo come una tabula rasa, una pagina bianca segnata dalla presenza inquietante dei fantasmi del nazi-fascismo. Su queste rovine vennero disegnate nuove strutture, vi venne proiettato un futuro, che si sperava in grado di lasciarsi alle spalle ingiustizie, inuguaglianze, orrori della modernità e della guerra. Il modello urbano sul quale venne impostato il rinnovamento della città nel secondo Novecento fu la metropoli americana. La postmodernità, ovvero quel periodo che segue cronologicamente la modernità e che porta allo sviluppo di un nuovo approccio in architettura prima, nell’arte e nella letteratura poi, interpreta questa possibilità come “leggerezza” e come “gioco”. Lo spazio urbano diviene una scacchiera sulla quale ci si può muovere secondo infinite combinazioni; questa libertà di movimento viene da molti accolta con
euforia. Tuttavia all’euforia si contrappone lo sguardo critico di coloro che, ben presto, vedono nei
profili degli skyline metropolitani il ritratto di un sogno tradito, il fallimento di una possibilità di
rinnovamento radicale. “

Città dunque ricostruite tradendo quella che era l’aspirazione al cambiamento ma soprattutto alla riconsegna della città ad un modello di vivibilità. Fino ad arrivare ad eccessi veramente preoccupanti . Elena Comelli già nel 2020 scriveva “Per la prima volta nella storia, all’inizio di questo decennio la popolazione urbana del pianeta ha superato quella rurale e l’80% delle emissioni di gas a effetto serra si produce nelle città. L’inurbamento è in forte sviluppo e l’homo civicus è destinato a crescere dai 3,9 miliardi attuali a circa 6,4 miliardi di persone entro il 2050, su una popolazione globale di oltre 9 miliardi. Chi riuscirà a decarbonizzare le città, dunque, avrà vinto la battaglia per la protezione del clima. Se il processo globale d’inurbamento seguirà le linee di tendenza attuali, il quasi raddoppio della popolazione urbana porterà a raddoppiare i consumi di risorse naturali necessarie alla vita delle città e a triplicare la loro superficie, mangiando terreni agricoli e minacciando la sicurezza alimentare dell’umanità. “ (4)

«Impedire l’immigrazione nelle città, sfollare spietatamente le medesime; facilitare con ogni mezzo e anche, se necessario, con mezzi coercitivi, l’esodo dai centri urbani; difficoltare con ogni mezzo […] l’abbandono delle campagne, osteggiare con ogni mezzo l’immigrazione a ondate nelle città». Con queste parole, nell’articolo “Sfollare le città”, comparso il 22 dicembre 1928 sulle colonne de Il Popolo d’Italia, Benito Mussolini esprimeva la posizione del regime di fronte al fenomeno dell’urbanesimo, che nel corso del decennio aveva spinto masse sempre più numerose ad abbandonare le campagne per trasferirsi in città. La drasticità con la quale il capo del governo indicava la soluzione del problema non costituiva solo una tra le tante manifestazioni della ben nota irruenza verbale mussoliniana. Essa rifletteva e amplificava quell’atteggiamento a metà strada tra l’inquietudine e la diffidenza che aveva animato le classe dirigente post unitaria di fronte alla prospettiva di un possibile sviluppo delle principali città italiane sul modello delle metropoli europee. (5)

Il 10 febbraio 1961 venne abrogata una legge del 1939 intitolata “Provvedimenti contro l’urbanesimo” di contrasto all’immigrazione urbana. Con questa norma il fascismo aveva costruito intorno alle città italiane tante barriere burocratiche contro gli immigrati, ovviamente italiani: chi voleva iscriversi all’anagrafe municipale venendo da fuori – dalle campagne o da altre città – doveva dimostrare di avere un lavoro; per avere un lavoro era necessario registrarsi all’ufficio di collocamento, ma l’iscrizione era riservata ai soli residenti. I vantaggi che rispetto alle campagne potevano dare i contesti urbani (lavoro, servizi, sussidi) dovevano rimanere esclusivamente nelle mani degli abitanti “storici”, di chi vantava un maggior tempo di permanenza e quindi una certificazione nei registri di popolazione: sotto Mussolini non esistevano ancora gli slogan “Roma ai romani” o “Verona ai veronesi”, (6)

La Costituzione dichiarò il diritto dei cittadini italiani a spostarsi liberamente all’interno del Paese (art. 16), ma questo diritto rimase sulla carta. I primi governi repubblicani decisero che la legge contro l’urbanesimo doveva rimanere in vigore, anzi andava applicata con criteri estremamente rigidi, oltre il dettato normativo. La situazione sociale era in effetti molto delicata: in un Paese impoverito dal fascismo e dalla guerra, il rientro degli uomini e delle famiglie nei luoghi di origine rendeva più penosa la mancanza di lavoro. La ricostruzione aveva bisogno di tempi lunghi e l’emigrazione all’estero stentava a ripartire: la scelta da parte dello Stato fu quella di mantenere gli strumenti di controllo dei mercati del lavoro ereditati dal fascismo.

Così per tutti gli anni Cinquanta i comuni italiani continuarono (in alcuni casi iniziarono) ad avvalersi della legge 1092/1939 contro l’urbanesimo per impedire l’iscrizione anagrafica ai nuovi arrivati.

Oggi questi timori suonano ridicoli, irreali. Il diritto dei cittadini italiani di risiedere ovunque vogliano all’interno della Penisola è ormai dato per scontato. Eppure all’inizio degli anni Sessanta, a pochi anni dall’inizio di una vera immigrazione straniera in Italia, non lo era. Negli ultimi decenni il nesso tra il possesso di un lavoro e il permesso di soggiorno ha riguardato milioni di cittadini non italiani, che sono stati costretti a passare attraverso la farsa del decreto flussi per potersi vedere riconosciuto il diritto a stare in Italia.

Ma la trasformazione delle città si deve sicuramente al “il miracolo economico italiano”, una fase storica di grande incremento economico per l’Italia che si era trasformata: la società prevalentemente agraria, patriarcale e classista dell’immediato dopoguerra era scomparsa a far posto a una società più libera, economicamente dinamica, e in fase di modernizzazione.

Dunque com’è bella la città. La città ideale e la città reale. Ecco allora una occasione per ricreare la città. E’ l’opportunità che offre il programma nazionale “Città metropolitane 2021-2027”. Ho già parlato per esteso su queste pagine in “Rigenerare la città”della possibilità appunto di“ rigenerare“le città attraverso una serie di occasioni ed opportunità .

Il programma nazionale Città metrpolitane 2021-2027 è una di queste, triplica le risorse e include numerose città fino a 39 città medie del Sud Italia . Vale circa 3 miliardi di euro tra fondi europei e cofinanziamento nazionale (contro gli 860 milioni iniziali della programmazione precedente) da investire sulla transizione ecologica e l’inclusione sociale.

Il Piano ha come obiettivi principali la prevenzione e mitigazione dei cambiamenti climatici – Green deal – e la lotta all’esclusione sociale – Social Pillar europeo.

Grande importanza, tanto da essere una priorità, viene data alla mitigazione del rischio ambientale grande priorità al contrasto e mitigazione del rischio ambientale. Insieme ad una transizione ecologica che dispone le città a divenire cosiddette “ città circolari” dove l’attenzione viene data alla gestione delle acque ,al ciclo dei rifiuti, la riduzione delle emissioni e l’organizzazione della mobilità e della logistica urbana.

Gli ecosistemi territoriali di cui la città sono il fulcro vengono minacciati dalla fragilità idro-geologica che producono catastrofi , dalla iper-urbanizzazione, dal consumo del suolo .

Tali rischi sono resi più accentuati dal cambiamento climatico che impatta su infrastrutture rigide e complesse quali sono le città che necessitano di interventi per migliorare la loro resilienza.

Il piano prevede, come si legge in un resoconto del Sole 24 Ore, ( 7) che “l’autorità di gestione del Piano sia l’Agenzia per la coesione territoriale. Le 14 città metropolitane vengono delegate alla gestione del Pon dall’Agenzia a seguito della presentazione di un programma per la spesa dei fondi. Per le 39 città medie del Sud, alla loro prima esperienza con il Pn Metro, la scelta è stata di renderle organismi beneficiari per non gravare eccessivamente sulle amministrazioni. Il 6 e 7 febbraio l’Agenzia avvierà un dialogo con queste città per iniziare un percorso di accompagnamento alla co-progettazione per la spesa dei fondi.Le città medie riceveranno complessivamente 327 milioni di euro, di cui quasi 277 già destinati alle priorità e suddivisi per regione, più 50 milioni della «quota di flessibilità» che saranno assegnati dopo l’avvio del programma «sulla base delle prime evidenze» e secondo le «modalità più opportune» individuate dall’Autorità di gestione. L’elenco delle città beneficiarie – che dopo la prima fase potrà essere esteso ad altre città medie, «ove necessario e opportuno» – è stato definito dall’Agenzia tenendo conto della popolazione residente (almeno 20 mila abitanti) e dell’indice di disagio economico elaborato dall’Istat in base al tasso di occupazione, al tasso di scolarizzazione e all’indice di dipendenza strutturale tradizionale.

( 1 )Fonte Lyric Find

Compositori: Alessandro Luporini / Giorgio Gaberscik

Testo di Com’è bella la città © Downtown Music Publishing

(2)http://www.diesselombardia.it/index.php/materiali-per-l-insegnamento-letteratura/1833-la-citta-nella-letteratura-del-900-italiano-prelievi-antologici-di-giuliana-zanello

Giuliana Zanello è nata a Milano nel 1957. Si è laureata all’Università Cattolica del Sacro Cuore e insegna al liceo classico di Busto Arsizio. Collabora occasionalmente con IlSussidiario.net

Federigo Tozzi, Con gli occhi chiusi, 1913

Vasco Pratolini, Cronache di poveri amanti, 1947

Giorgio Bassani, Cinque storie ferraresi, Una notte del ’43,1956

Anna Maria Ortese, Il mare non bagna Napoli, 1953

Pier Paolo Pasolini, Ragazzi di vita, 1955

Alberto Savinio, Ascolto il tuo cuore, città, 1943

Luciano Bianciardi, La vita agra, 1962

Paolo Volponi, Le mosche del capitale, 1989

(3)http://revistamorus.com.br/index.php/morus/article/viewFile/208/185

( 4 )https://www.ilsole24ore.com/art/gli-abitanti-citta-puntano-raddoppio-modelli-urbani-il-cambiamento-ACcRDSCB

(5)https://aulalettere.scuola.zanichelli.it/come-te-lo-spiego/la-citta-negata-urbanesimo-e-ruralita-nellitalia-fascista/

(6)https://www.rivistailmulino.it/a/10-febbraio-1961

(7)https://www.ilsole24ore.com/art/fondi-europei-risorse-triplicate-citta-metropolitane-e-39-citta-medie-sud-AEuOZ1dC?refresh_ce

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