” LA BADESSA ROSVITA ” – PROF.SSA GABRIELLA TORITTO
Redazione- La badessa Rosvita, pur essendo una religiosa, è ricordata come una fine intellettuale dell’Età di Mezzo.
Fu badessa all’interno della fondazione di Gandersheim nel Ducato di Brunswick ed è passata alla storia per la sua febbrile attività poetica, per la profonda preparazione culturale e per il grande amore verso i classici greci e latini.
Fu un vero e proprio caso letterario, difficilmente paragonabile a quello delle altre donne vissute in tutte le epoche. Comunque viene collocata accanto alle colleghe che durante l’Età Medievale si contraddistinsero per la cultura e per le composizioni in prosa e in versi.
Alcuni studiosi hanno voluto indagare sull’etimologia del suo nome, dandone diversa traduzione/interpretazione. Ora “rosa bianca”, ora “sussurrio di vento”, ora “pronta arguzia”, ora “persona di salda fama” ma la stessa badessa in una sua opera si autodefinisce “squillante voce” di Gandersheim: “clamor validus gandersheimensis”, traduzione latina dell’espressione tedesca “hruod-svind”.
Infatti nel decimo e undicesimo secolo Gandersheim, come Corvey, fu un centro culturale importante, luogo di ritrovo di uomini di cultura, di maestre ed allieve famose.
Anche il monastero di Sant’Emmerano di Ratisbona fu la “nuova Atene” al tempo degli imperatori Ottoni. In quei monasteri si organizzarono scuole che furono frequentate da donne che vi insegnarono e che lì, come Rosvita, ebbero la loro formazione culturale.
E noi per rispetto accetteremo l’indicazione della stessa monaca: “hruod-svind” ovvero “clamor validus gandersheimensis”, che peraltro ci indica il programma letterario che la caratterizzò.
Della sua vita si sa ben poco. Ciò che ci è pervenuto, trapela dalle sue stesse opere letterarie. Incerta è anche la data di nascita, probabilmente da collocarsi fra il 930 e il 940 d.C., essendo contemporanea della badessa Gerberga II, nipote dell’imperatore Ottone I.
Quella di Gandersheim fu una “Stift”, ossia una comunità spirituale con regole ferree. La “Stift” attraversò il prospero periodo fra il decimo e l’undicesimo secolo e vide la rinascita delle città e in cui rifiorirono gli studi e le scienze.
Stando alle notizie tramandateci dalla stessa Rosvita, Gerberga, pur essendo più giovane, fu sua insegnante e grande esperta di scienze.
Rosvita iniziò ad emergere come poetessa dopo l’incoronazione dell’imperatore Ottone I e l’edizione del Libro I delle sue “Leggende”.
È incerta anche la data della sua morte. Alcune notizie le apprendiamo da Cronaca di Hildescheim secondo cui Rosvita cantò le gesta di tutti e tre gli imperatori denominati Ottone. Ne consegue che Rosvita sia vissuta almeno fino al 1002, in quanto la data coinciderebbe anche con la notizia della scomparsa della sua insegnante Gerberga II.
Vi sono però documenti relativi alla sua attività letteraria che arrivano fino al 973. Si può quindi ipotizzare che Rosvita abbia continuato a vivere un altro trentennio senza lasciare alcuna testimonianza, fatta eccezione del riferimento cronachistico ricordato sopra. La sua morte potrebbe quindi datarsi intorno al 975 oppure agli inizi del 980. Fatto è che nel 1975 a Berlino Est si celebrò il possibile millenario della scomparsa della poetessa, nonché drammaturga.
Di lei sappiamo che nacque da una nobile famiglia sassone, imparentata forse con quella della più anziana Rosvita che nel 919, a sua volta, sarebbe stata badessa della stessa fondazione. La sua aristocratica dinastia risulterebbe attestata dal carattere esclusivo dell’abbazia di cui fu anche badessa, di origine principesca, unita da solidi legami con la Casata Imperiale sassone e perciò insignita di speciali privilegi.
Dunque la storia di Rosvita, specialmente agli inizi, si fonde con quella della famiglia dei Landolfingi, come documentato nella Primordia coenobii Gandeshemensis, redatto intorno al 919.
Anche Gerberga II, sua maestra, appartenne alla casata dei Landolfingi. Ella fu figlia del Duca di Baviera Enrico, nonché (come già anticipato) nipote di Ottone I. Protesse Rosvita e le rimase accanto per tutta la vita, a conferma della comune nobile origine.
Rosvita si dichiarò fiera di appartenere alla stirpe sassone, il cui nome derivava proprio da saxum. Secondo la sua interpretazione in Gesta Othonis e (a suo parere) per “consiglio dell’Eterno Signore del mondo”, (la stirpe sassone) aveva ereditato la regalità dei Franchi: “ Francorum (…) nobile regnum (…) ad claram gentem Saxonum nomen habentem a Saxo per duritiam mentis bene firmam”.
Nel 959 Rosita, poco più che ventitreenne, entrò nel monastero di Gandersheim, quando divenne superiora Gerberga II.
Se non emergono notizie relative alla sua esistenza attraverso le opere letterarie da lei scritte, queste ( le opere) ci sono pervenute tutte attraverso quell’arco di tempo in cui si è snodata in modo continuo ed ordinato la sua produzione. Il periodo fu quello trascorso “in monasterio Candershamense”.
La prima attività letteraria di Rosvita furono le leggende sacre scritte in metro elegiaco, come la storia della Vergine Maria, l’Ascensione del Signore, le passioni di San Gangolfo, di San Pelagio, di San Dionigi e di Sant’Agnese, nonché la conversione di Teofilo e un miracolo di Basilio. La badessa prese spunto da testi scritti prima di lei ma, relativamente a San Pelagio, si avvalse della narrazione ascoltata precedentemente da un concittadino del Santo, proveniente da Cordova e testimone oculare della di lui vita e morte.
Per scrivere Leggende si servì di testi apocrifi, come il Vangelo di San Giacomo, nonché di storie ricche di elementi meravigliosi, come miracoli e patti diabolici, che ci svelano le tendenze romanzesche della poetessa.
La sua ultima fatica letteraria furono i poemi storici con cui celebrò sia le gesta di Ottone I fino all’incoronazione imperiale del 962 (oltre la quale la monaca non osò cimentarsi) sia le origini del monastero di Gandersheim.
Cultrice degli antichi classici, compose anche dei drammi: sei. Rosvita fu l’unica donna che nel Medioevo provò ad imitare Terenzio. Anzi ebbe l’ambizione di volerlo sostituire nelle scuole e nelle biblioteche, non sulla scena. In quel tempo le opere di Terenzio erano molto conosciute e studiate, sebbene la loro oscenità costituisse motivo di scandalo. Pertanto la badessa Rosvita pensò di sostituirle con altri contenuti, celebrando la vita delle giovani, caste, sante vergini, oppure trattando gli amori delle commedie in modo ampio e discreto.
Ad esempio “Abraham” e “Paphnutius” raccontano la conversione di due cortigiane. “Callimachus” e “Dulcitius” narrano il trionfo di quattro donne su due libertini. “Gallicanus” e “Sapientia” risultano più fedeli ai caratteri della commedia antica. La badessa disdegnò la narrazione di aspetti comici, presenti in parte solo in “Dulcitius”, mentre sembrò preferire spesso elementi lugubri se non macabri. Il suo stile predilesse la prosa rimata ai versi poetici.
Le opere di Rosvita esulano da ogni contesto teatrale del tempo, tuttavia risultano “sostenute” da un naturale ed innato istinto drammatico che vivifica i dialoghi e li rende sorprendentemente avvincenti.
La singolarità delle opere della poetessa e drammaturga Rosvita ha determinato numerose traduzioni in varie lingue del mondo e ha spinto a qualche tentativo di rappresentazione.
Nonostante Rosvita disdegnasse rappresentare atti secondo i temi cari al latino Terenzio, nelle sue opere rivelò una precisa conoscenza del mondo e delle passioni che lo animano e dominano, il che potrebbe indurci ad illazioni. Sappiamo però che ella entrò giovanissima nel monastero e che ancor più giovane iniziò a comporre versi. La sua vis poetica fu certamente l’esito di un’approfondita attività di ricerca. Ne deduciamo che molte descrizioni sono frutto della sua fertile immaginazione poetica.
Fu ben presto avviata dalle dotte insegnanti Rikkardis e Gerberga II ad una buona formazione culturale, tanto che nelle sue opere continui sono i riferimenti alla filosofia, alla teoria della musica, alla matematica, a suggello dell’ampia cultura che la contraddistinse.
Fu elogiata, stimata ed incoraggiata da molti artisti suoi contemporanei dei cui mancati consigli e supporto si rammaricò moltissimo, volendo ella migliorare il “lavoro con la penna”. Non aveva però di che rammaricarsi dato che superò di gran lunga le sue due insigni maestre.
La Biblioteca di Gandersheim fu la fonte principale da cui attinse molte opere antiche, anche dai contenuti scabrosi che tentò di mitigare.
A Gandersheim, centro di cultura dei Sassoni, la badessa Rosvita, in quanto cronista dell’imperatore, partecipò alla vita, alle imprese e alle vicende politiche di corte. Da badessa qual era, la sua esistenza fu priva di esperienze e passioni “civili” vissute in prima persona. La conoscenza del mondo, che lei ebbe, si formò attraverso lo studio e la lettura di antiche opere di filosofia e letteratura.
A Gandersheim si parlava il greco, conosciuto anche dalla badessa Gerberga II e dalla sorella Edvige di Svevia, nonché da Teofane, la moglie bizantina dell’imperatore Ottone II. Forse anche Rosvita ebbe l’opportunità di impararlo e parlarlo.
Di certo Rosvita studiò Terenzio, Virgilio, Orazio, Lucano, Sulpicio Severo, Venanzio, Prudenzio etc.. Fra i filosofi predilesse Boezio. Conobbe San Girolamo con la sua “Vita Sancti Galli”, la “Vita Hartumodae” di Agius, Alcuino, le “Sequenze” di Notkero e si avvalse spesso della “Vulgata” ma anche dei Vangeli apocrifi. Studiò il Trivio e il Quadrivio.
Nelle opere della badessa Rosvita le donne soffrono, reagiscono, combattono i loro nemici fino alla morte. Sono donne che vogliono essere artefici del loro destino e che rappresentano un’anticipazione di quel “faber quisque fortunae suae” (antica massima attribuita da Sallustio al console Appio Claudio Cieco) che Umanesimo e Rinascimento fecero propria.
Quelle di Rosvita sono donne che si oppongono al destino tessuto per loro dagli uomini. Sono donne che vincono contro gli inganni e le chiusure predisposte per loro da una società prepotente, meschina e bugiarda. Sono donne celebrate nella loro bellezza e magnificenza di costumi, adorne di abiti e gioielli preziosi. Sono donne narrate nella grandezza e nobiltà d’animo non quando sono al vertice del potere ma quando, sopraffatte dalle avversità e dalla cattiva sorte, restano integre nella loro purezza spirituale, degne di ogni rispetto e considerazione.
Le opere di Rosvita mirano a fondere il “terreno” con il “celeste”, il vizio con la virtù in un tempo, il decimo secolo, in cui l’oscurità, la notte più buia dell’uomo ebbe il sopravvento sulla Grazia.
F.to Gabriella Toritto