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COMICITA’ PER FORMARSI E FORMARE: PERCHE’ RIDERE E’ UNA COSA SERIA-DI MONIA CIMINARI

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Redazione-Il riso è stato molto importante nella mia vita soprattutto per quanto riguarda la  mia formazione, una formazione non unilaterale, ma volta a guardare la persona nella sua interezza, rispettando le sue inclinazioni, la sua  libertà e soprattutto, la sua creatività. La creatività e in particolare quella legata alla comicità, ci aiuta ad essere noi stessi a contatto con il nostro sé, vivo creativo, per dare ogni giorno senso alla nostra vita, senza compiere gesti eccezionali.

Max Scheler ed E.Stein nella prima metà del XX secolo avevano gettato le basi per una tale concezione di formazione umanamente ricca: la formazione come bildung è descritta analiticamente da E.Stein ( filosofa tedesca allieva di Husserl) in una conferenza  a Spira il 18 ottobre dl 1930 agli insegnanti cattolici del platinato.

Per cui il processo formativo è un processo di co-crescita di forze esteriori ed interiori, naturali e soprannaturali secondo un preciso modello, una forma, una ritmica che ognuno ha dentro di noi e che bisogna ben coltivare e rispettare, altrimenti non ci sarà una vera formazione ma solo una facciata esteriore.

La formazione pertanto, come aveva già affermato lo stesso Scheler nel 1925, non può ridursi a perseguire unilateralmente uno solo dei saperi, ma tutti i saperi secondo un ordine stabilito, in un sistema formativo integrato tra reti formali e informali lungo tutto l’arco della vita che ci aiuti ad essere autentici, responsabili, critici oltre alle idee preconcette e quindi a sapere, saper fare, saper essere di più per noi stessi e gli altri[1].

Io ho sperimentato questa apertura alla creatività in veste comica quando, dopo una serie di attività lavorative non congeniali ho ripreso a frequentare i corsi di qualificazione professionale e gli studi universitari e sono riuscita a lavorare nel sociale come oss all’Asur, Area Vasta 3 di Civitanova Marche. Qui tra i vari corsi di aggiornamento ho frequentato quelli sulla comicoterapia con l’associazione ridere per vivere che è specializzata in questo settore, iniziando a formarmi seriamente per poter attivamente operare in questo campo.

Visto che mi facevano bene sia fisicamente che psicologicamente sono andata avanti, partecipando a vari seminari di studio sull’arte del clown tenuto da Colombaioni presso lo Sferisterio a Macerata, apprezzando la “vena umoristica” di Ennio Monachesi, studiando la dimensione comica dell’esperienza umana attraverso il libro ”Homo Ridens” di Peter L. Berger, “Il significato del comico”, saggio scritto dal filosofo francese H. Bergson, “L’umorismo che fa riflettere” di L. Pirandello e la comicità e il cinema di Totò. Ho iniziato così a fare la volontaria del sorriso nelle case di riposo, negli ospedali, nei centri diurni per disabili, nelle biblioteche, fino a definire un  progetto di Ludicità, comicità e salute che ho potuto presentare in diverse scuole elementari e medie, che lo hanno apprezzato con entusiasmo.

Ridere fa bene a tutti, è una terapia che la gelotologia, dal greco gelos che vuol dire appunto riso, consiglia per aumentare le difese immunitarie, stimolare il sistema nervoso e cardiovascolare e per affrontare al meglio le vere e proprie malattie.

Attraverso la vista e l’udito, il cervello rileva uno stimolo risorio , una situazione che spinge al riso, che colpisce quella zona del cervello, il talamo e l’ipotalamo deputati a riconoscere le emozioni e quindi a scatenare, in risposta, il riso.

Più la risata e fragorosa e più arriva lontano, il diaframma si alza, mentre i muscoli del torace e dell’addome si contraggono. Il riso scende dall’alto al basso, dalla mente cosciente sino all’istinto viscerale e quando la risata cessa, assieme al necessario respiro profondo che viene effettuato, inizia un piacevole e benefico stato di rilassamento, nel quale cambia anche la composizione del sangue, che diventa più ossigenato.

Il giusto ridere quindi agisce positivamente nel cervello, fa aumentare la produzione degli ormoni quali adrenalina e dopamina, che liberano le nostre endorfine naturali, che provocano una diminuzione del dolore e della tensione, permettendo il raggiungimento di uno stato di relax e tranquillità. Le encefaline, a loro volta, sembrano esaltare il sistema immunitario, aiutando combattere meglio le malattie (aumenta la formazione delle nostre cellule serial Killer deputate a eliminare quelle nocive o tumorali che si possono formare nel nostro corpo), migliora la muscolatura del torace, innesca una ginnastica addominale che migliora le funzioni del fegato e dell’intestino, la respirazione, la circolazione. Il riso fa buon sangue e migliora l’attività del cuore (durante una risata, il cuore aumenta le pulsazionianche fino a 120 al minuto e la pressione arteriosa è in rapida ascesa).

Il caso più classico di guarigione ottenuta non con i farmaci ma con sane risate è quello di Norman Cusins, docente e ricercatore della facoltà di Medicina dell’Ucla, venne colpito da una grave forma di artrite reumatoide spondilite anchilosante che provocava, tranne rarissimi casi, la paralisi progressiva e poi la morte. I medici gli predissero pochi mesi di vita e allora lui abbandonò l’ospedale e si trasferì in un grande albergo. Interruppe così la terapia consigliata dai medici e sostituì le medicine con massicce dosi di vitamina C e film comici.(il suo libro la volontà di guarire “Anatomia di una malattia” ).

Ridere fa portare fuori il nostro bambino interiore, vivo creativo, stimolante che deve essere incoraggiato per far riaffiorare, così, quel ragazzetto che abbiamo cacciato anni or sono dalla nostra esistenza,  recuperando  vitalità per dare un senso diverso alla nostra vita.

<< Quando facciamo i Clown Dottori ci adoperiamo affinché il malato anche solo per 10-20 minuti si scordi della sua malattia, ritorni ad essere una persona e non un malato>>: questa è una famosa frase tratta dal film “Patch Adams” interpretata dallo  strepitoso Robin Williams.[2]

Medico e clown, convinto cultore del recupero della risata in veste curativa, Adams è arrivato ad edificare nel tempo l’istituto Gesundheit, una clinica nel West Virginia dove sono state curate gratuitamente più di quindicimila persone con l’aiuto complementare della terapia del sorriso che oggi è molto attiva in Italia in molti ospedali, centri diurni, per anziani, con i disabili, con i malati mentali e psichiatrici attraverso la creazione intorno a loro di un autentico clima di  fiducia gioviale e reciproca.

Il riso  pertanto  è come scrive  Peter L. Berger, sociologo dell’università di Boston, nel suo libro Homo Ridens, un fenomeno che coinvolge tanto il corpo quanto la mente, e rimanda pertanto al singolare rapporto esistente tra la soggettività umana e la realtà materiale. Nell’introduzione afferma che suo padre, accanito raccontatore di barzellette, lo ha incoraggiato ad intraprendere l’arte del comico più o meno nel periodo in cui andava all’asilo.

Il sentimento autentico della comicità nel bambino dipende molto dalla sua interazione con la realtà degli adulti. Nel mondo della prima infanzia sogni e realtà si mescolano alla vita reale, vi si intrecciano per poi riuscire fuori. Nel momento in cui riuscirà bene a distinguerli la pratica della comicità diventa una cosa possibile.

Nella maggior parte dei bambini un senso pienamente sviluppato della comicità si ha intorno all’età di cinque o sei anni, quando i piccoli possono fare da sé dei giochini e trarne piacere. Pare che abbiano uno spiccato senso della comicità quei bambini che hanno genitori allegri e sanno guidarli in questo senso. Il riso nasce principalmente all’interno di una relazione sicura di attaccamento con la madre o chi per lei, come misura equilibrata di ansia e rassicurazione gestite  da una madre amorosa.

Uno psicologo ha tracciato la distinzione tra riso sociopositivo e quello socionegativo. Il bambino si evolve dal primo tipo in direzione del secondo.

Esiste un riso innocuo o innocente che incoraggia la solidarietà del gruppo e il riso malevolo a scapito di qualcuno che viene escluso dal gruppo. L’umorismo può essere usato come arma. Avner Zin[3], uno psicologo israeliano che ha scritto molto sulle funzioni psicologiche del riso, afferma come effettivamente un’occasione comune della risata ha a che fare con lo svilimento, l’umiliazione o il ridimensionamento di un individuo o di un intero gruppo. Sin dalle epoche tribali era solita la pratica di recitare versi satanici per irridere il nemico alla vigilia della battaglia. L’utilizzo aggressivo dell’umorismo fino ai nostri giorni può spaziare dalle burle e i tiri mancini, alle rappresentazioni visive, tipo le vignette umoristiche, agli atti verbali che vanno dalla battuta di spirito per una specifica situazione a una commedia. Un bersaglio apprezzato dall’aggressività umoristica sono i gruppi etnici ( le barzellette sui cinesi, tedeschi, polacchi) e i gruppi professionali come quelle classiche sui carabinieri o i gruppi politici e  chi più ne ha più ne metta.

L’umorismo può essere utilizzato come arma per vincere i cattivi, rappresentato nel film “La vita è bella” di Benigni, dove il sorriso ha vinto contro i crimini nazisti.

Sul significato del comico ha scritto molto Herry Bergson, filosofo francese, premio Nobel per la letteratura nel 1927, che, nel suo noto saggio sul significato del comico, delinea  una funzione  globale del riso che coinvolge l’uomo in tutta la sua natura fisica, psichica e spirituale.

<<Il riso>>, sottolinea H. Bergson, ”[4]<< se è un gesto che appartiene a pieno titolo al comportamento umano, allora deve essere lecito domandarsi qual è il fine che lo anima e in primo luogo far luce sulle occasioni in cui accade>>.

Per l’autore vi sono almeno tre punti che debbono essere sottolineati:

  1. “ Non vi è nulla di comico al di fuori di ciò che è propriamente umano”.
  2. è necessario che chi ride non si lasci coinvolgere emotivamente dalla scena che lo diverte. Il comico esige dunque, per produrre tutto il suo effetto, qualcosa come un’anestesia momentanea del cuore”.
  3. ridiamo meglio quando siamo insieme ad altri, ed il riso è spesso il cemento che tiene unito un gruppo di persone.

Il riso sembra essere strettamente connesso con la vita sociale dell’uomo, con il suo essere un animale sociale: “ il comico nasce quando uomini riuniti in .gruppo dirigono l’attenzione su uno di loro, facendo tacere la sua sensibilità, ed esercitando solo la sua intelligenza”. Nel diavolo a molla ci fa ridere la cieca ostinazione, il suo “saltar su” come una molla: un comportamento rigidamente meccanico applicato a ciò che è vivente.

Quindi ci fa ridere:

–  qualcosa di meccanico applicato a ciò che è propriamente umano.( una marionetta ci fa ridere perché i suoi gesti sono rigidi e meccanici) l’ostinazione cieca e meccanica applicata a ciò che è vivente;

– il gesto ripetitivo sempre quello come un verso,un tic, una frase ripetuta;

– volti simili che fanno delle smorfie;

Ciò di cui ridiamo è per Bergson tutto ciò in cui l’immaginazione scorge una sorta di meccanizzazione della vita.

Il riso  ha una funzione sociale ed è come un castigo sociale: di questa funzione sociale del riso la commedia è per Bergson l’espressione più esemplare. Tra tutte le forme di comicità quella che più stringe un rapporto strettissimo con la sfera sociale è la comicità morale.

Le passioni spesso si prendono gioco di noi e subordinano tutte le nostre azioni ad un unico meccanismo. E’ questo ciò che accade ai personaggi comici di molte commedie: lo spettatore è chiamato a ridere di un uomo, i cui gesti sembrano quelli di una marionetta, mossa da un burattino con la sua gelosia, l’avarizia, l’ avidità, che ci è ben nota e di cui sappiamo prevedere i movimenti. Di qui la forma di tante commedie che hanno per protagonisti, non già individualità ben determinate, ma personaggi tipici, marionette dietro le quali traspare le passioni che li domina.

Ma di qui, anche il fine che li prefiggono, correggere ridendo i costumi.

La commedia è per Bergson  una forma artistica spuria, proprio perché affonda le sue radici nella vita e perché alla vita ritorna come un valore da salvaguardare e a cui sottomettere i propri sforzi.

E’ dunque una contemplazione della vita volta a sanare i pericoli che la mettono in forse. Il riso può essere così definito come una forma di espressione sociale  le cui  origini non appartengono alla società, ma alla vita stessa e debbono essere  viste sullo sfondo della lotta tra lo slancio vitale e l’inerzia della materia verso lo la libertà dello spirito e ci fanno riflettere.

Pirandello in questo senso ha scritto un suo famoso saggio l’Umorismo[5]  nel 1901 in cui dice che l’opera umoristica non rappresenta una realtà armoniosa, ma la realtà così com’è, sempre frammentaria, scomposta, proprio perché mentre compone la sua opera, la coscienza lo avverte di tutte le sue disarmonie che ci sono nella realtà, smaschera le menzogne delle convenzioni sociali e degli autoinganni e ci fa riflettere.

L’arte umoristica non cerca l’armonia, ma  la vita stessa  per metterne in luce tutte le contraddizioni. L’umorista quindi è un malato, un malato di verità perché è in grado di vedere la realtà così com’è , oltre le apparenze.

Leggendo le sue novelle mi ha molto interessato La carriola[6] che descrive un avvocato esasperato dalla vita di tutti i giorni nei rapporti con la famiglia, la società e la professione, dove rischia di smarrire se stesso e si sfoga facendo fare cose assurse alla sua cagnetta. Immaginare la povera cagnetta costretta a camminare a due zampe come una carriola, in un primo momento ci fa ridere, poi profondamente riflettere. La società ci vuole tutti uguali, rispettosi, perfetti, accondiscendenti ( attraverso gli schemi rappresentativi interni consideriamo il troppo ridere un’espressione di superficialità, nel medioevo se ridevi molto eri come un folle ), ma noi non siamo degli automi ed in qualche modo ci dobbiamo sfogare ed esprimere. Ciaula[7] si esprime con il suo gra, gra da cornacchia che fa ridere chi gli sta intorno. La risata di chiunque lo circonda nasconde cose serie: nasconde il fatto che Ciaula vive immerso in una società ignorante, dove in caso di incidenti gravi, come quelli in una miniera, i soccorsi non ci sono e non si presentano e si lascia morire su se stessi, tra traumi e miserie.

Nasconde lo sfruttamento minorile, << stasera c’è tanto lavoro straordinario da fare>> dice Zi Scarda.

Ciaula come al solito gli risponde con la sua solita risata da cornacchia mentre continua a carreggiare grossi pesi sulla schiena che gli spezzano le ginocchia sotto gli insulti del datore di lavoro. Ma alla fine di tutta questa fatica Cialua scopre, là fuori, qualcosa di straordinario: scopre la luna e si mette a piangere.

L’animo umano non viene analizzato dal nostro prossimo, che non vuole analizzarlo per convenienza, ma nonostante tutto, le botte dei ragazzi, la vita stressante in miniera, la disperazione di Zi Scarda, non sono riusciti ad annientarlo, la sua sensibilità riemerge più che mai a contatto con la natura, che sola sembra capirlo.

Dietro le risa beffarde, il pianto di Ciaula rivela una sensibilità nascosta e calpestata.

La risata pirandeliana palesa una vanità apparente, un’accusa contro le costrizioni sociali, le incomprensioni familiari, contro la pazzia e la cattiveria umana che si cela dietro una maschera. La risata, che suscita Pirandello, è la fiera della verità di un uomo che è corpo, mente e anima quindi L’uomo,la bestia e la  virtù[8] da cui il titolo di una sua famosissima opera teatrale interpreta sul grande schermo nel film omonimo dal grande Totò nel 1953 con la regia di Steno, tra gli altri interpreti Viviana Romance, Orson Welles e Franca Faldini[9].

Totò interpretava il professore di latino che impartiva lezioni private al figlio di un capitano di marina mercantile sempre in viaggio, per niente fedele alla moglie  che  trascurava. Quest’ultima non si sa perché, se per ripicca o per solitudine, avvia una relazione con il professore e rimane incinta.

I due, per non far scoprire il tradimento e attribuire la maternità al Capitano, gli fecero una bella sorpresa al suo ritorno.

Lei si agghindò tutta e il marito non avendola vista mai così rise prendendola in giro, ma gli amanti gli fecero mangiare una bella torta condita generosamente di un afrodisiaco come benvenuto che il marito divorò con gusto e tutta la notte i due coniugi fecero  all’amore e così in qualche modo l’imbroglio fu apparentemente  risolto.

Come tanti imbrogli e ingiustizie ha dovuto risolvere nel corso della sua vita Rosaro Chiàrchiaro detto il menegramo interpretato straordinariamente da Totò nel film a episodi ispirati a quattro novelle di Pirandello Questa è la vita, regia di Luigi Zampa, sceneggiatura di Vitalino Bracanti, di cui La patente  è della durata di circa quindici minuti.

La patente tratta della  iettatura e del  malocchio, che dovrebbero essere soltanto oggetto di riso: infatti il portare in tasca un chiodo di cavallo o il fare un gesto di scaramanzia contro chi ci abbia augurato qualche malanno, non vuol sempre dire che davvero si ceda alla potenza nefasta della iettatura. Ma può anche succedere che in una certa società, tra certa gente, la fama di menagramo finisca col divenire un proprio linciaggio morale.

In una cittadina del Meridione, un uomo ha questa disgrazia; tutti lo segnano a dito, tutti lo schivano per timore della sua potenza maligna; perde per questo persino il posto e sta rischiando, insieme con la sua famiglia, la fame più nera. E allora in mezzo a questa società feroce che ridacchiando e scherzando lo uccide a poco a poco, egli contrattacca con spietata coerenza:<< Mi volete menagramo? Ebbene, lo sarò con tanto di patente, cioè col riconoscimento ufficiale di un tribunale vero e proprio, con una sentenza che dimostrerà anche agli increduli il mio sinistro potere. E da ora in poi, con questo mio sinistro potere, dovrete fare i conti sul serio >>. Ancora una volta, Pirandello trae, in questa novella, tutte le conseguenze che possono trarsi dal comportamento di una società egoista e crudele. E tuttavia come in altri luoghi, senza che questa analisi spietata rimanga fine a se stessa, ma riuscendo a raccogliere da essa un appello, sia pure sconsolato, a più fraterni rapporti umani.

Nella novella, a far da interlocutore al protagonista interpretato da Totò, è  il giudice istruttore, curato dallo stesso Pirandello con  profondo senso di umanità, inquieto e pensoso nello stesso tempo della cattiveria e della miseria umana. E sarà il giudice, nel finale, a richiamarci alla coscienza quanta tragedia sia nella figura grottesca dello iettatore, e a trasformare il nostro facile riso in un moto di sottile comprensione.

La novella si conclude così con l’immagine suggestiva del giudice D’Andrea ancora con la testa fra le mani che socchiudendo dietro le lenti i piccoli occhi plumbei, stende le mani e abbraccia il Chiàrchiaro a lungo, forte forte.

Questi lo lascia fare. << Mi vuol bene davvero? >> gli domanda. << E allora istruisca subito il processo in modo da farmi avere al più presto quello che desidero>>.

Il Chiàrchiaro protende di nuovo il braccio, batte la canna d’India sul pavimento e , portandosi l’altra mano al petto, ripete con tragica solennità: << La patente >>.

La produzione di Pirandello è vastissima: ha scritto novelle, opere teatrali, saggi per concorsi. Mi sono limitata a citare quelle che ho considerato abbastanza significative ed espressive per il tema trattato, come la commedie  interpretate dal grande Totà, il quale con la sua mimica, la sua gestualità e la sua espressività particolarmente accentuata ci pone in evidenza i difetti dell’umanità: queati in un primo momento ci fanno ridere, ma poi ci inducono a riflettere su noi stessi. Totò con i suoi giochi di parole gags e caratteristiche prevalentemente ludiche riusciva a prendere in giro le autoritò e i palloni gonfiati: “Ma mi faccia il piacere signor Trombetta, Trombone, Tronfione! Celebre battuta di Totò a colori che è diventata quasi un esclamazione sociale.

In conclusione, le doti necessarie per far ridere sono:

  • Capacità di ascolto; – capacità di comunicazione;
  • Capacità di osservazione; – conoscenze culturali;
  • Capacità di connessione creativa;

Il primo strumento che un conduttore deve usare quando entra in aula è il termometro: la capacità di poter misurare la temperatura emotiva del gruppo e, in poco tempo, si scatta una fotografia sulla linea di partenza.

Fondamentale è la sensibilità del conduttore che, insieme a momenti di silenzio, sappia dosare concentrazione, lunghi respiri, occhio clinico e una buona cassetta di attrezzi da articolare

con amore.

[1] D.WINNICOTT,Vivere creativamente, in Dal luogo alle origini, Raffaello Cortina, p.32.

[2] Patch Adams, Visite a domicilio, Urra, Milano 1999, p. 75.

[3] Peter L. Berger, HOMO RIDENS, La dimensione comica dell’esperienza umana, Bologna 1999, p. 90.

[4] H.Bergson,”Il riso. Saggio sul significato del comico”,Laterza, Bari 1983.

[5] L. Pirandello, L’umorismo, Mondatori, Milano 1995.

[6] L.Pirandello, Novelle per un anno, grandi tascabili economici Newton,Roma 1993, p. 156.

[7] Ivi, p. 701.

[8] L.Pirandello, Maschere Nude, Grandi tascabili economici, Newton, Roma 1993 p. 253.

[9] Antonio Girelli, Totò ‘ A livella e Poesie d’amore, Grandi tascabili economici Newton, Roma, p.137.

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