Redazione- Una esperienza complessa e completa in un viaggio pensato alla riscoperta del padre della psicoanalisi: Sigmund Freud, nella cornice dell’austera ed elegante capitale Austriaca quale è Vienna.
La prima sosta avviene in Slovenia sul lago di Bled, nel cuore delle Alpi Giulie, immerso in un folto e lussureggiante verde che incornicia un cuore languido e cheto come il lago, un paesaggio della natura e della psiche che attende silenzio per essere compreso ed ascoltato.
Cosi, in linea con ” l’esplorazione silente” di emozioni evocate, sono rimasta in una “sospensione significativa” respirando ad occhi chiusi nel dondolio delle acque, ascoltandomi nella lievità del reale in una compresenza fluida che mi ricorda il poeta Pessoa quando descrive quel momento preciso in cui si incontra “la quiete dell’anima”, si ritrova nel profondo e come unica priorita’: nessuna priorità.
…LIEVE,LIEVE, UN VENTO PASSA E SE NE VA’
SEMPRE MOLTO LIEVE
ED IO
NON SO’ A COSA STO’ PENSANDO
NE’ INTENDO DI SAPERLO……
E dico fluidità, perchè cio’ attende a scambio, miscellanea, contaminazione, come avviene in natura tra le sostanze che si mischiano tra loro.
Porto con me le letture sull’UOMO DEI TOPI, che hanno validato l’immagine di Freud uomo, terapeuta, padre.
Curioso, ambizioso, libero e non convenzionale, che ha vissuto la relazione terapeutica come inizio e fine di un percorso di studi sull’esistenza e l’uomo, dove cultura, medicina, arte, politica ed economia si compenetrano influenzate ed influenzabili.
Vienna mi riportata all’operosità, sostenibilità e soluzioni ponderate in una cornice ricca di storia nel Gotico nel suo splendore originale, senza però riservare al maestro nulla di indimenticabile.
Un nome punteggiato sulla porta del Museo, privato di arredi originali, mura ridipinte; in un clima lontano dalla conservazione del reale. Non ha fatto onore all’illustre cittadino : NEMO PROFETA IN PATRIA, come si suol dire.
Questo non mi ha impedito l’emozione di guardare i suoi bagagli con le iniziali stampigliate, il genogramma su una parete, gli incartamenti antichi, gli occhiali, gli scritti, gli ambienti divisi per ordine e scopo.
Mi sono immaginata una paziente, nel salire le scale verso la saletta di attesa, ed ho pensato al maestro: nell’affaccio al cortile; il sigaro fumante; il pennino d’inchiostro e l’attesa di incontrarmi.
Cosi nutrita di impressioni ho giocato in città tra sacker torte, mostra di klimt ed il concerto di Mozart tra carrozze di cavalli al tramonto e piccoli doni da recare a casa.
Recherò con me la compostezza del luogo, cosi scevro di esibire.
I silenzi della folla pur se numerosa.
L’edificio circolare in cui avevano vorticato i folli dove avrei voluto esistere per studiarne i mali.
La vita di un maestro, cosi semplice ma pur complessa, piena di chiarezze espositive impudiche e avanguardistiche e zone d’ ombra nel dolore di un male che diviene, come tutto, occasione di studio sui fenomeni dell’esistenza.
Lo rileggerò con nuovi occhi e cuore, cogliendo sempre, negli scritti, il suo sguardo che penetra nell’anima.
Ho appreso come la vocazione debba necessariamente convivere con un certo ordine; la corrispondenza tra lo sguardo e la realtà; la fiducia nell’esattezza delle indagini; la speranza di un cambiamento significativo che è vita per il paziente ed il suo compagno di viaggio che è il terapeuta.