L’ABBATTIMENTO DEL PALAZZO “SIRENA” DI ANTONIO ZIMARINO

Redazione-Quando un palazzo o una struttura pubblica (originariamente magari destinata a servizio della comunità) non trova più un possibile uso economicamente sostenibile o intralcia (?) un sistema urbanistico sorto magari anche dopo la sua costruzione, la soluzione più naturale è quella dell’abbattimento, della rimozione dell’ostacolo o delle difficoltà. Magari non è una struttura fatiscente, non crea pericoli, ma “ingombra”, nel senso che non si sa esattamente cosa farne e impedisce di pensare che possa essere fatto altro.

Certamente l’operazione sarebbe più difficoltosa se la struttura avesse una valenza storica accertabile, ma magari, è solo un edificio modernista, da post ricostruzione bellica e se, di fatto, ha perso “funzione” e se “ostacola” altre possibilità, la demolizione appare una soluzione coerente.

Non bisogna difendere il “vecchio” confondendolo con lo “storico” e sicuramente rinnovare, costruire di nuovo, smuove le economie, fa pensare ad altro, rinnova la percezione degli spazi … insomma, dinamizza, apre prospettive, crea lavoro etc. etc.

Un dubbio sorge però quando si riflette sul fatto che si tratte di una struttura pubblica, cioè di un “bene comune” che era comunque a possibile servizio dei cittadini. Era stato pensato come tale e in passato era stato funzionale, ma poi col passare del tempo magari era sovradimensionato, o aveva difficoltà a essere gestito.

Il caso che sto citando, è “reale”: in questi giorni è in via di demolizione in una cittadina della costa adriatica un palazzo grande, centrale, in piena zona turistica, perfettamente solido, con alcune pretese architettoniche, costruito nel dopoguerra come “luogo di possibilità” commerciali, artistiche, espositive, sociali … insomma un “centro sociale” o un centro senza esplicita vocazione commerciale che avrebbe dovuto servire (e realmente è servito per alcuni anni) a promuovere, accogliere, animare la vita turistica della cittadina stessa.

L’abbattimento è stato motivato dalla stessa Amministrazione pubblica in relazione al fatto che ha perso un’utilità, che la gestione è costosa e in costantemente in perdita, che costituisce un “blocco” urbanistico e visivo all’attuale sviluppo urbanistico.

Pur essendo tutti questi motivi sensati, plausibili e realistici, la questione mi ha suscitato delle riflessioni e delle perplessità, finché sono arrivato alla conclusione che l’abbattimento di questo palazzo (Palazzo Sirena, Francavilla a Mare, Ch) è un evento simbolico che rappresenta una “sconfitta”, un’assenza, un’incapacità strutturale di pensare la cultura come “progetto a lungo termine”, come risorsa pubblica duratura. Infatti, la scelta di abbatterlo è arrivata con la dichiarazione  dell’impossibilità (anche pratica) di pensarne un uso differente, di trovare per esso una nuova funzione pubblica e sociale in un contesto trasformato rispetto al momento economico o antropologico culturale che lo vide nascere.

Intendiamoci, non si può attribuire tale scelta a questo o a quel partito o amministrazione politica quanto del concetto di “amministrazione pubblica” in quanto tale e di come oggi è concepita dietro le pressioni delle logiche della funzionalità economica.

La vicenda di quest’abbattimento è fortemente “simbolica” al di là del merito delle questioni o della giustezza o meno delle scelte.

Sostanzialmente si abbatte perché non si sa come usarlo, non si sa come sistemare la viabilità (che si è modificata dopo la sua costruzione, con l’aumento esponenziale nel corso degli anni di una popolazione turistica stagionale (un po’ meno di abitanti) e conseguente circolazione automobilistica; non si sa come riempire quelle stanze e quegli ambienti, dato che non ci sono né idee ne risorse concrete per farlo e nemmeno (secondo gli Amministratori) delle associazioni di cittadini che potrebbero utilizzarle.  In pratica gli Amministratori da diverso tempo, non si erano sentiti, non si sono o non si sentono in grado di ridare funzione culturale, sociale o urbanistica all’edificio, mentre la sua eliminazione e rimozione apre altre chance, altre possibilità ma soprattutto, rappresenta la soluzione meno costosa.

Come si può ridare funzione all’edificio, a qualsiasi edificio divenuto “bene pubblico”?

Nel settore culturale ci sono delle ipotesi e delle strade da seguire: gli esempi sono enormi, bellissimi e molteplici, soprattutto in Europa, dove intere città hanno recuperato luoghi (realmente degradati e abbandonati, tessuti sociali ed economici in enorme difficoltà) attraverso un serio studio sulle necessità sociali e culturali dei cittadini e con un impiego di grandi risorse, ripagato da un aumento del benessere sociale (tradotto ad es. in minor spesa sanitaria), in un aumento delle opportunità e dell’attrazione turistica.

Certo, grandi risorse e grandi idee per grandi città e qui stiamo parlando solo di un palazzo. Tuttavia, senza andare così lontano a riflettere sulle grandi operazioni di recupero urbanistico, anche una città medio piccola, adiacente al paese in questione, (Pescara) presenta degli esperimenti interessanti: lo Spazio Matta ad esempio, è stato recuperato dal decadimento totale, con un modesto finanziamento europeo ed è ora un centro teatrale e laboratoriale vivissimo grazie allo sforzo immane di Associazioni che hanno dovuto “imparare” a stare insieme. Esperienza difficile ma molto bella e con risultati di indubbia qualità.

L’Aurum, un’enorme struttura industriale abbandonata ma con qualche seria pretesa architettonica, è adesso una struttura importante, un forte attrattore culturale e sociale anche se per molti versi ancora “contenitore occasionale” ma tutto sommato utile, funzionante, discontinuo ma davvero prezioso.  Per queste strutture ben più degradate in origine del palazzo in questione, le Amministrazioni anche di segno politico opposto, hanno fatto chiari sforzi e pur con contraddizioni e incertezze, hanno provato e provano a portare avanti delle “possibilità” concrete offrendo comunque opportunità ai cittadini.

Ovviamente nella stessa città ci sono anche tantissimi luoghi costruiti ma vuoti e molti altri vengono periodicamente ipotizzati ma irrealizzabili o inattivi quali ad es. La “Città della musica”, o l’ex Banco di Roma, o il “Museo (?)Vittoria Colonna” o … etc. etc. (e qui davvero andrebbe fatto un elenco serio di queste cattedrali nel deserto).

Il problema di fondo delle Amministrazioni è che per riqualificare uno spazio bisogna dargli uso, senso, progetto, risorse economiche, visione, orizzonti, idee ed entusiasmo. Ed ecco che l’abbattimento del Palazzo Sirena si configura come qualcosa di più complicato di una semplice questione amministrativa divenendo, in un quadro di senso più vasto, una “epifania”: viene abbattuto per mancanza di orizzonte, per mancanza di risorse, per mancanza di progetto, per assenza di visione.

Ma il costo di una demolizione non sarebbe potuta servire a sostenere qualcuno o un qualsiasi progetto che gli ridesse “vita”?

No: in realtà abbattere e costruire altro costa meno che progettare e riusare l’esistente. Distruggere costa meno che dare opportunità di lavoro e luoghi da “abitare” socialmente riutilizzando, costa meno che “pensare altro” che riusare, riadattare e immaginare.

Dirò di più: nel campo degli edifici “socialmente significativi”, anche il costruire costa molto meno che mantenere; ad esempio, se io faccio materialmente un edificio-museo o un edificio-teatro “ex novo” ho una serie di vantaggi dato che offro lavoro per un po’ e creo un “bene” immobile, i costruttori sono contenti, la spesa (col denaro dei cittadini e qualche sponsor) finisce quando la costruzione è finita. Un po’ di persone guadagnano l’Amministrazione ne ricava stima e immagine pubblica e un sostegno dagli imprenditori.

Poi però, far vivere un teatro o un museo, o uno spazio d’arte, è una questione non posta o rimossa perché la questione è enormemente complicata in termini relazionali e organizzativi: c’é bisogno di custodi, manutenzione, personale, attrezzisti, dotazioni tecniche, compagnie teatrali, musicisti, direttori artistici, comunicazione, comitati scientifici, assicurazioni etc. etc. … i costi sono alti e continueranno nel tempo, non finiranno.  Le relazioni e la gestione si complicano anche politicamente: a chi affidare gli incarichi? Attraverso quale sistema? … Devo fare gare, selezioni, concorsi … !

E’ chiaro che, pensare allo sviluppo, agli spazi in funzione culturale e sociale, nei tempi e nelle risorse “cortissime” delle nostre Amministrazioni, non è economicamente conveniente: costruire cattedrali nel deserto da riabbattere dopo qualche decennio invece, muove l’economia rapidamente.

Forse allora, il “peccato originale” di un palazzo come quello di Francavilla, provincia di Chieti, era proprio questo: per cosa è stato pensato nel Dopoguerra? In che modo e in quali termini si è pensata alla sua “funzione” urbanistica e sociale? Come è stato usato?

Si è costruito e basta. Bello forse, imponente, sicuramente, come simbolo della volontà di “ripartire” e di altre speranze dopo periodi difficili: ma verso dove esattamente?

E ora? I sogni le funzioni non sono più adatte al Presente erano sovradimensionate, erano un “eccesso di speranza”. Oggi quindi, non funziona e non può convenientemente funzionare per cui convenientemente, che si abbatta.

Certo, c’è una logica funzionale coerente nella scelta: ma quest’abbattimento non è appunto, simbolicamente la fine di un progetto, di una visione necessaria nel dopoguerra? Cosa abbiamo “ricostruito”, come abbiamo ricostruito? Cosa ricostruiremo e per chi o perché?

Naturalmente nel tempo le cose cambiano e nascono altre esigenze, ma sappiamo benissimo che il “Tempo” c’è e che vanno fatti i conti con esso. In altre epoche se ne aveva coscienza e le cose venivano fatte in relazione alla durata.  La miopia sostanziale di oggi è sempre la stessa, nella cultura come nell’economia: adattarsi al caso e non dare senso alla “durata”. Non si costruisce per durare, non si costruisce per restare, non si costruisce per “cambiare lo spazio” e la vita del cittadino.

Del resto, a Francavilla, provincia di Chieti, non si può fare un museo, già c’è anche se in stato comatoso (e perché non resuscitarlo prestandogli più cura?). Non si può fare un teatro, nemmeno delle giuste “dimensioni” rispetto alla realtà culturale della città, (come si fa a gestirlo?) Non si può realizzare un centro espositivo e di incontri o sale per incontri, biblioteca, lettura o intelligentemente sociali con un minimo di progettualità: costa troppo, troppo complicato per le relazioni politiche, troppi “costi”. Pensare uno sviluppo culturale che duri, che costruisca, che dia opportunità nel tempo, è troppo per l’Amministratore -Tipo dell’oggi. E nemmeno totalmente per colpa sua.

Allora si abbatta e si faccia altro purché sia “economicamente sostenibile” dal cittadino stesso al quale sì, spetterebbe un servizio ma siccome i fondi sono pochi conviene che se lo paghi direttamente: una bella fontana magari, che si risparmia perché il costruttore amico deve un favore; o un parco giochi pagato da una Onlus, o una sala slot sostenuta dalla Lottomatica o una palestra, una balera, una arena per concerti … insomma, qualcosa che viva di suo, senza impegnare l’Amministratore in responsabilità di scelta e progetto e possibilmente che faccia guadagnare l’Amministrazione… (concessioni, tassazione sull’uso dello spazio etc. etc.).

Del resto i cittadini cosa vogliono? Divertirsi e spendere: la soluzione è perfetta. Ci sono tanti che sanno che l’industria del divertimento immediato “tira” e tutti spendono volentieri per divertirsi.

Ma una qualsiasi Amministrazione pubblica, in che termini pensa al benessere e allo sviluppo dei suoi cittadini? Che cosa sa restituire loro in termini di cultura dignità e coscienza?

Non so cosa succederà dopo l’abbattimento, magari davvero qualcosa di meraviglioso che risolverà tutti i problemi di viabilità spazio e cultura ai cittadini di Francavilla, provincia di Chieti o in tutti quei luoghi dove abbattere è più conveniente che pensare ad alternative socialmente sensate. Nel caso specifico, come in fondo capita in tutti gli altri casi, non c’è dato da sapere: l’Amministrazione (simbolo di ogni altra Amministrazione) ha già detto che a breve presenterà il progetto di sistemazione. Questo significa di fatto, che l’abbattimento è avvenuto senza che ci fosse. Tutto resta nelle loro menti di qualsiasi partito siano, ma il cittadino, l’utente o il suo tessuto sociale non può e non deve sapere o proporre: c’è chi sa come funziona un bilancio e sa cosa possiamo o non possiamo avere, cosa è bene per noi e quale divertimento ci meritiamo.

Ma ora quest’abbattimento mi sembra solo un tragico esempio della mancanza di idee e di possibilità che oggi diamo alla Cultura, non quella mercantile, ma quella che costruisce identità e possibilità di

crescita umana e sociale.

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