” LA CARNE DI DIO ” DOTT.RE MARCO CALZOLI

Redazione–  In questa dimensione terrena l’uomo vive di segni. Il suo spirito si relaziona agli altri mediante il corpo. In questo senso il mistero è velato dalla materia. La verità pertanto non può essere espressa se non per simboli.

L’incarnazione di Cristo è la discesa di Dio nella dimensione materiale. Il suo corpo è il Velo Nero dei cabalisti, che separa e al tempo stesso rivela il Mistero, la Divinità stessa.

Per questo, secondo la dottrina rosacrociana espressa da Fludd, la materia, nella quale siamo immersi, non va abolita ma va trasfigurata spiritualmente. Il corpo ci separa dallo spirito ma allo stesso tempo lo rivela, seppure imperfettamente. Pertanto il corpo non va eliminato ma va integrato in una sempre migliore unione con lo spirito.

Scoto Eriugena scriveva che se Dio è divenuto un uomo tra di noi, allora tutto è Luce, tutto è stato trasfigurato a somiglianza di Dio.

I misteri fondamentali della fede sono la incarnazione, morte e risurrezione di Cristo e la Unità e Trinità di Dio. Cristo patì per noi, assumendo un corpo come il nostro, affinché la nostra umanità fosse redenta, cioè liberata dal potere della materia, che però non viene cancellata ma integrata alla destra di Dio Padre.

In ogni Santa Messa avviene di nuovo in maniera incruenta il sacrificio di Cristo sulla croce. Con la consacrazione del sacerdote il pane e il vino cambiano sostanza e si trasformano nel corpo e nel sangue di Cristo risorto. Pane e vino serbano solo l’apparenza dei doni materiali (gli accidenti, le specie), mentre la sostanza è trasformata nel corpo e sangue del Risorto, ivi presente veramente e realmente.

Teilhard de Chardin ebbe una intuizione formidabile quando scrisse che l’Eucaristia in realtà è la quintessenza della realtà. Ogni cosa del mondo è Carne di Cristo. “Come la Carne, esso ci attrae con il fascino che ondeggia nel mistero delle sue sinuosità e nella profondità dei suoi occhi. Come la Carne, esso si decompone e ci sfugge sotto l’azione delle nostre analisi, dei nostri decadimenti e della sua propria durata. Come la Carne, non lo si abbraccia veramente che nello sforzo senza fine per raggiungerlo sempre oltre ciò che ci è dato”.

La Presenza reale di Cristo nel mondo, continua il gesuita, “anima, ammorbidisce, riscalda anche la più infima delle energie” che ci invadono o ci sfiorano.

Il mistero della croce dolorosa è il mistero del mondo. Così come è il mistero del mondo la continua risurrezione che avviene ogni mattina, anzi ogni istante che sorge un sorriso su un volto. Il mondo è ricco di dolore e fascino al tempo stesso. Perché esso è l’Ostia, il mistero di Dio che soffre e rinasce alla gioia ogni istante, sino alla fine dei tempi.

In questo continuo mistero, la chiesa, che rinnova anche sull’altare il recondito atto eucaristico, è segno e profezia del Dio che muore e poi risorge.

Guardini scriveva che dopo il Medioevo la chiesa, pur con molte eccezioni, diventò qualche cosa di avulso dal reale. Il credente era tale perché rifuggiva dal mondo e dall’azione in un sentimento vago di fede, certamente pio, ma quasi astratto. Era una entità vaga e irreale. Questo atteggiamento si vede bene nell’idealismo tedesco e non solo, per il quale la realtà è spirito, cioè una concezione ideale. C’era anche chi diceva che l’essere dei filosofi, anziché costituire una cosa concreta, fosse un valore. Si respirava un’aria rarefatta, in cui vi era un dislivello tra la fede e l’azione concreta. La chiesa era vissuta come una entità ideale, individuale, molto profonda certamente e valida sacramentalmente, ma lontana dalla realtà degli uomini.

Sempre secondo Guardini, alla fine dell’ Ottocento e all’inizio del Novecento, o presso a poco, la mentalità delle persone si trasformò radicalmente. Dalla idea si passò ai fatti, dalla filosofia idealista si passò alla scienza, la quale mira al concreto. La realtà prese il sopravvento. Le Rivoluzioni industriali furono espressione di un interesse rinnovato verso le cose nell’abbandono costante di sterili e limbiche categorie ideali, che cercavano di inquadrare il reale senza viverlo appieno.

È la mentalità che ancora oggi nel 2024 permea la nostra società. Oggi non andiamo per categorie ma ci affacciamo al mondo in ogni istante in cui esistiamo. Anche la chiesa si è rinnovata. L’emergere del laicato e il ruolo caritativo della chiesa rendono questa santa istituzione una realtà viva, calata nel reale. Il latino è stato abbandonato nella liturgia ed essa risulta fruibile a tutta l’assemblea: l’assemblea ha adesso un rapporto non più meramente devozionistico ma “vivo” e “sentito” con la chiesa, che è diventata una entità reale, a cui anche loro possono partecipare e collaborare.

In questo senso Guardini poteva scrivere: “La Liturgia è integralmente realtà. Si distingue perciò da qualsiasi religiosità di puro concetto o di puro sentimento, dal razionalismo e dal romanticismo religioso. Il credente entra in essa in contatto con realtà terrene: con uomini, cose, azioni, oggetti e insieme con realtà metafisiche: il Cristo reale, la Grazia reale. La liturgia non è solo pensiero, né solo sentimento; è, prima di tutto, divenire, crescere, maturare, essere. La liturgia è un divenire fino alla pienezza, un crescere fino alla maturazione. Tutta la natura vi deve essere risvegliata, afferrata, educata, trasfigurata. Nell’immagine di Cristo, dall’amore ardente dello Spirito Santo, verso la Maestà del Padre che tutto attira sé”.

È insomma il dissidio tra spirito e vita che tormentava Thomas Mann. Per il grande scrittore le attività intellettuali sono quelle all’insegna dello spirito, cioè della contemplazione, mentre le attività mondane sono quelle all’insegna della vita, cioè dell’azione. Secondo Mann chi più si dedica allo spirito si allontana dalla vita, e viceversa. Nei Buddenbrook Thomas passò un periodo nel quale leggeva i filosofi e si dedicava all’arte, quindi perdette di energia vitale, in quanto non usciva la sera e non andava a eventi mondani, nonostante gli fossero utili per la sua attività di imprenditore. Sembra che il cattolicesimo tendenzialmente abbia esercitato una sorta di equilibrio tra spirito e vita, invece la borghesia, secondo Mann, punta decisamente verso l’azione e quindi è a discapito della contemplazione. È insomma la tesi del grande sociologo Weber, per il quale lo spirito del protestantesimo, centrato sul lavoro, infatti sta alla base del capitalismo, porta a un disincanto del mondo, con la perdita della visione mitica e religiosa del mondo.

Ritornando a Guardini, egli sosteneva che dopo il Medioevo le persone hanno smesso di stare in equilibrio tra realtà e Assoluto e hanno iniziato a far prevalere il lato spirituale (sentimento, pensiero) a discapito della realtà. Invece nel mondo di oggi si assiste a un nuovo equilibrio tra queste due istanze, a una beata congiunzione tra i due poli, come si sperimenta nella chiesa, che è intrisa sia di realtà sia di spirito. Nel mondo rinnovato, quindi, a detta di Guardini, il pensatore vede “inebriato nella chiesa l’ultimo, immenso ricettacolo di tutte le essenze”. L’artista vive nella chiesa “con una forza che sconvolge il cuore, la enorme energia plasmatrice, trasfiguratrice, sublimatrice di tutto il reale e con un senso di chiarezza e bellezza eccezionali”. L’uomo moralmente impegnato vede in lei “una pienezza di vivente perfezione”.

Ma il mondo non smette mai di trasfigurarsi in una trasformazione sempre migliore. Hegel diceva che l’Essere può mutare. Nel divenire incessante degli uomini nella storia, avviene la continua trasformazione della Carne del mondo. Riflettiamo brevemente su una pericope evangelica.

Matteo 14, 34-36: “Passati all’altra riva, vennero nel paese di Genesaret. E la gente di quel luogo, riconosciuto Gesù, diffuse la notizia per tutto il paese all’intorno, e gli presentarono tutti i malati, e lo pregavano che lasciasse loro toccare almeno il lembo della sua veste; e tutti quelli che lo toccarono furono guariti”.

Gesù approda a Genesaret. È un luogo sconosciuto. Giuseppe Flavio, storico giudaico contemporaneo di Gesù, indica questo nome come una regione, ma doveva essere anche una città, probabilmente una località tra Magdala e Cafarnao. La città forse diede il nome anche al lago di Genesaret o di Tiberiade. Il termine forse deriva dall’ebraico gan sarim, “giardino dei principi”, perché la tradizione ebraica vede in quel lago un luogo paradisiaco. “Sette mari ho creato e di questi non ho scelto nessuno se non quello di Genesaret”, dicono gli ebrei. Nel 1991 venne scoperto un porto nella pianura e si pensa che sia quello di Genesaret di cui parla in vangelo.

Il popolo gli tocca le frange del mantello. Ogni pio ebreo doveva portare un mantello con alle quattro estremità delle frange (“frangia” è detta in ebraico tzitzit) per ricordarsi dei comandamenti della Torah. “Metterai delle frange alle quattro estremità del mantello con cui ti copri” (Deuteronomio 22, 12). In greco Matteo usa qui il termine kraspedos, che di solito traduce l’ebraico tzitzit. Con questo particolare Matteo vuole dirci che Gesù è il Messia: in lui si adempie Zaccaria 8, 23: “Dice il Signore degli eserciti: In quei giorni, dieci uomini di tutte le lingue delle genti afferreranno un Giudeo per il lembo del mantello e gli diranno: Vogliamo venire con voi, perché abbiamo compreso che Dio è con voi“.

Guardando queste frange, portate ancora oggi dagli ebrei, essi devono ricordarsi di essere un popolo consacrato al Signore e alla Torah. Essi baciano queste frange mentre ascoltano la preghiera per eccellenza di Israele (lo Shemà: Deuteronomio 6, 4) e con esse baciano la Torah. Matteo vuole dirci quindi che Cristo è la Torah vivente, sotto la quale gli infermi trovano rifugio. I malati qui sono simbolo degli ‘anawim, i “poveri” di Israele, in ebraico etimologicamente “curvi”, sia perché indigenti sia in atto di adorazione nei confronti di Dio. I poveri, i veri fedeli, quindi anche i malati, sono coloro che rappresentano meglio il popolo eletto, che riconosce in Cristo Dio stesso, quale Torah vivente. Non per nulla Giovanni chiama Cristo Logos, che in greco vuol dire Parola, in latino si traduce Verbum.

Gesù è il vero ebreo in quanto Messia, di più è la Parola di Dio fatta carne. Per questo egli può innovare la tradizione. Continuiamo a leggere Matteo (capitolo 15): “1 In quel tempo vennero a Gesù da Gerusalemme alcuni farisei e alcuni scribi e gli dissero: 2 «Perché i tuoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli antichi? Poiché non si lavano le mani quando prendono cibo!». 3 Ed egli rispose loro: «Perché voi trasgredite il comandamento di Dio in nome della vostra tradizione? 4 Dio ha detto: Onora il padre e la madre e inoltre: Chi maledice il padre e la madre sia messo a morte. 5 Invece voi asserite: Chiunque dice al padre o alla madre: Ciò con cui ti dovrei aiutare è offerto a Dio, 6 non è più tenuto a onorare suo padre o sua madre. Così avete annullato la parola di Dio in nome della vostra tradizione. 7 Ipocriti! Bene ha profetato di voi Isaia, dicendo: 8 Questo popolo mi onora con le labbra ma il suo cuore è lontano da me. 9 Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini». 10 Poi riunita la folla disse: «Ascoltate e intendete! 11 Non quello che entra nella bocca rende impuro l’uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l’uomo!» “.

I farisei costituivano una importante corrente del giudaismo dell’epoca, assieme a sadducei, esseni e zeloti, di cui parla abbondantemente Giuseppe Flavio. È stata la corrente che poi si è affermata nell’ebraismo. L’ebraismo di oggi è quello rabbinico, cioè principalmente farisaico, anche se vi sono fuse anche altre tradizioni. I farisei erano legalisti, il nome significa “separati”, cioè diversi dal resto degli ebrei per via di una osservanza puntigliosa della Torah e delle altre norme.

Oggi il termine “fariseo” può trarre in inganno, invece a quel tempo costituiva la più importante corrente del giudaismo. Gesù vi dialoga spesso e a volte è vicino alle loro posizioni, cioè quelle del rabbino Hillel. Gesù, come loro, credeva alla risurrezione e alla esistenza degli angeli, al contrario dei sadducei.

È interessante che i farisei vennero da Gerusalemme in Galilea, dove stava Gesù. Evidentemente si era sparsa la voce della predicazione di Cristo e i farisei volevano verificare. Gerusalemme, in Giudea, era il centro della vera spiritualità ebraica, mentre i giudei rimproveravano ai galilei di avere a volte una fede annacquata, non solo ma li accusavano persino di essersi mischiati con gli assiri, quindi non erano visti di buon occhio: gli ebrei erano assai rispettosi riguardo la purezza dell’ebraismo.

I farisei non accettavano solo la Torah ma anche i Profeti, altri Libri e la tradizione orale. Però per i farisei non esisteva la Torah scritta senza la Torah orale (in ebraico Torah she be’al pe’, che letteralmente significa “che è sulla bocca”). Invece i sadducei ritenevano valide solo le norme scritte, come ricorda un passo di Giuseppe Flavio.

Gesù in altri passi non annullava la tradizione orale, quindi Cristo dava importanza a tutte e due le Torah. Questa discussione con i farisei non vuol dire che Gesù disprezzava la Torah orale, ma che la Torah orale non deve essere anteposta a quella scritta. E in ciò potevano essere d’accordo anche alcuni farisei.

Cerchiamo di capirci. Per il Talmud occorre “mettere una siepe attorno alla Torah”. Nella Torah scritta ci sono alcune leggi che l’ebreo deve osservare, ma spesso quando c’è un precetto da adempiere si tendeva a renderlo più rigido per paura di trasgredirlo, cosicché questa “siepe” che si metteva attorno alla Torah tendeva a falsarla. È il problema della tradizione orale che falsa la Torah scritta e il suo spirito con un legalismo troppo rigido.

Il lavaggio delle mani non era nell’ebraismo una norma di igiene, ma era molto profonda. La Torah scritta non dice esplicitamente che bisogna lavarsi le mani prima dei pasti, ma serba solo delle allusioni. Questa prassi quindi è nata sulla base di queste allusioni e per opera della tradizione orale, ed è molto antica. Le attestazioni più aurorali si trovano nei vangeli.

Era una norma orale riservata dapprima ai sacerdoti e poi ad ogni giudeo, in quanto per gli ebrei la mensa è un altare e l’ebreo è un sacerdote. È una importante legge di purificazione spirituale, che i rabbini in seguito spiegheranno dettagliatamente. Tale pratica si chiama netilat yadayim, che significa “elevazione delle mani”, in quanto, dopo l’abluzione, le mani vengono rivolte al cielo, cioè alzate, per la preghiera.

È interessante che per gli ebrei l’abluzione delle mani prima di mangiare si faccia in un recipiente in quanto per l’ebraismo ogni luce che proviene da Dio (e questa prassi suscita una grande Benedizione divina) avviene mediante un mezzo materiale. Anche la Torah avviene tramite il mezzo della parola.

Il sacerdote si lavava le mani ogni mattino nel Bacino del Tempio, quindi tale norma è passata ad ogni ebreo prima dei pasti per significare che il popolo di Israele è un popolo sacerdotale.

Allora i farisei chiedono a Cristo perché i suoi non rispettano tale importante prassi, e partono da Gerusalemme (Palestina del sud) per recarsi fino in Galilea (Palestina del nord) proprio per rimproverarlo su questo.

Gesù risponde come Dio in persona, come fosse la Parola di Dio, Logos, la Torah fatta carne. Cristo dà un nuovo comando, si pone sullo stesso piano di Dio, che rimprovera i farisei di aver falsato la Torah per colpa della tradizione.

Qui Cristo non rinnega l’ebraismo e la Torah, rinnega una interpretazione o meglio il fatto che la tradizione orale (umana) possa annullare il comandamento.

In sostanza cosa è la religione? La religione di Cristo non è una semplice norma. Cristo innova addirittura la Torah scritta quando dice “Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato” (Marco 2, 27). In Giovanni 13, 34 Cristo dà persino “un comandamento nuovo”, quello dell’amore, così come Dio Padre diede a Mosè le Tavole della Legge.

La religione si adatta allo spirito dell’uomo che si evolve nei tempi. Ogni religione deve attualizzarsi con lo scorrere del tempo. Tempora mutantur et nos mutamur in illis. Per questo Cristo ha dato a Pietro il mandato di sciogliere o legare e ciò che Pietro scioglierà o legherà sulla terra avrà effetto nel cielo.

Il mondo stesso è la Carne di Cristo e il mandato petrino è un perfezionare sempre meglio il mistero di Dio incarnato in questa dimensione terrena.

Le anime delle persone si evolvono nel tempo, quindi è necessario che la chiesa cattolica compia una innovazione nella continuità, come osservava Benedetto XVI.

Il Papa è il rappresentante di Cristo in terra e mediante la autorità di Cristo manipola la sua Carne innovando il mondo. Come il sacerdote spezza il pane, così il Papa manipola la Carne di Cristo del mondo dando nuove interpretazioni o nuove norme, abolendo anche quelle del passato. Dando cioè una nuova figura alla carne di Cristo costituita dal suo corpo mistico, che sono i credenti di oggi.

È Cristo (e il suo rappresentante in terra, il Papa) la vera Legge. È la Legge incarnata, la Parola fatta carne di Giovanni 1, 14: “E la Parola si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Giovanni 14, 6: “Io sono la Via, la Verità e la Vita”. La verità non è il disvelamento dell’essere, come voleva Heidegger, ma una Persona. “Quid est veritas?”, chiede Pilato a Gesù in Giovanni 18, 38, “cosa è la verità?”: la frase dà come anagramma “est vir qui adest”, “è l’uomo che ti sta davanti”.

Chi trova la Legge di Cristo trova il senso della propria vita. Non gli serve altro. Egli è la sola cosa necessaria.

Nell’Oasita eloquente, un testo proveniente da quattro manoscritti dell’antico Egitto, in sostanza un’opera sapienziale con un cappello introduttivo narrativo, è scritto:

ḫbA hp ḥḏ tp-ḥsb = sovvertita è la legge, distrutta è la rettitudine.

Da millenni il genere umano vede che la comunità degli uomini è allo sbando. Non è un fenomeno di oggi. Le persone cercano una regola che li guidi e gli dia luce, ma attorno a loro non la trovano. Isaia 5, 7: “Egli attendeva giustizia (mishpat) ed ecco oppressione (mispah), voleva equità (sedaqah) ed ecco iniquità (se’aqah)”.

Risponde il Salmo 118, 105:

ner leragli debareka we’owr lintibati = lampada per i miei passi è la tua Parola e luce sul mio cammino.

È Cristo, la vera Parola di Dio, che illumina e dà piena realizzazione alla vita di ogni persona sulla faccia della terra. Isaia 51, 7-8: “Ascoltatemi, voi che conoscete la giustizia, popolo che hai nel cuore la mia legge! Non temete gli insulti degli uomini, né siate sgomenti per i loro oltraggi. Infatti la tignola li divorerà come un vestito, e la tarma li roderà come la lana; ma la mia giustizia rimarrà in eterno, la mia salvezza, per ogni epoca”.

Leggiamo in Giovanni 2: “1Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. 2 Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. 3 Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno più vino». 4 E Gesù rispose: «Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora». 5 La madre dice ai servi: «Fate quello che vi dirà». 6 Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. 7 E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le giare»; e le riempirono fino all’orlo. 8 Disse loro di nuovo: «Ora attingete e portatene al maestro di tavola». Ed essi gliene portarono. 9 E come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l’acqua), chiamò lo sposo 10 e gli disse: «Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po’ brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono». 11 Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui”.

Quando nella nostra vita manca il vino buono, bisogna ricorrere a Cristo, solo questi riesce a tramutare l’acqua delle nostre miserie nel vino buono. Ed è significativo che Cristo compie il miracolo su invito della Madre, la Vergine Maria, che la chiesa proclama Mediatrice di ogni grazia.

Le giare di pietra erano per la purificazione degli ebrei. Gesù va oltre il legalismo giudaico, Cristo innova e concentra tutto quanto nella propria Persona divina. Il vino, con cui si sigla la Nuova Alleanza, è il suo sangue. La salvezza non deriva dall’osservanza di norme bensì dal sacrificio della croce, dall’Ostia. I servi riempirono le giare “fino all’orlo”: questo dimostra la grandezza del dono di Gesù, il suo amore sovrabbondante per tutti noi. Il vino buono tenuto in serbo “fino ad ora” è la Nuova Alleanza, quella definitiva, con cui Egli salva definitivamente il genere umano.

Il vino in abbondanza è segno del tempo di salvezza. Amos 9, 13: “Ecco, verranno giorni, – dice il Signore – in cui chi ara s’incontrerà con chi miete e chi pigia l’uva con chi getta il seme; dai monti stillerà il vino nuovo e colerà giù per le colline”.

Gli esegeti richiamo il fatto che i miracoli del vino accadevano anche nelle feste per il dio greco Dioniso, divinità del vino e dei misteri. Ad Elide la sera prima della festa si usava porre nel santuario del dio, alla presenza di uomini distinti, tre vasi vuoti; poi si chiudevano le porte e l’indomani mattina si trovavano i vasi pieni di vino (Ateneo I, 61).

Quello che accadeva nel passato trova pieno compimento in Cristo. Efesini 1, 10: la volontà di Dio è “il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra”. Il verbo “ricapitolare” è nell’originale greco anakefalaiōsasthai: il kefalaion era l’asticella di legno attorno alla quale si avvolgeva di nuovo (anà) il rotolo di papiro. Paolo quindi vuole dirci che tutti i discorsi e i fatti della storia precedente trovano il loro pieno compimento in Cristo, attorno al quale si avvolgono come un papiro.

L’unica vera cosa che conta è la glorificazione di Dio. Abbiamo un’anima spirituale, quindi ci realizziamo completamente soltanto anelando e celebrando Dio. Anche per il Corano, nel quale il termine “glorificazione”, in arabo tasbīḥ, include la lode (tamḥīd), la magnificazione (takbīr) e la proclamazione dell’unicità divina (tahlīl). La radice araba della glorificazione di Dio, che è sbḥ, contiene un senso per cui Dio viene glorificato in quanto del tutto separato dal mondo dei terrestri e delle altre sue creature. È insomma la stessa idea del termine ebraico Qadosh, Santo, che etimologicamente vuol dire “separato” dal mondo umano.

La radice araba è anche associata all’idea di un particolare ardore nel compiere una azione. In Corano 79, 3 è scritto che gli angeli “planano nuotando” (wal-sābiḥāti sabḥan), cioè fanno evoluzioni ardite e veementi. In questo senso, la glorificazione di Allah da parte degli uomini è il riconoscimento della Sua superiorità trascendente e, per questo, è un atto particolarmente ardente. Solo Dio deve essere glorificato, solo a Dio si deve lode e adorazione.

La parola araba wajūd, che nella riflessione filosofica araba traduce “essere” e “esistenza”, è il nome di azione del verbo wajada, che significa “trovare”, “trovarsi”. Un altro derivato dello stesso verbo è wajd, “gioia”, che nella mistica islamica designa la ricerca nostalgica di Dio.

Quindi possiamo inferire che per i sapienti islamici la gioia delle creature sta nella ricerca di Dio. Propriamente è sul suo essere che poggia la nostra gioia e la nostra realizzazione. E il massimo atto di una persona sta nella glorificazione di Dio e nella sua lode.

Per l’Islam questo si verifica perché Dio è talmente trascendente dalle sue creature: cioè da essere per questo “adorabile”. Tutte le creature traggono l’esistenza e la conoscenza dalla sua perfezione assoluta, cioè dalla sua trascendenza. Un celebre versetto del Corano recita (2, 255): “Dio! Non c’è altro Dio che Lui, il Vivente, che di Sé vive, lā ilāha illā huwa, l-ḥayu l-qayūmu: non lo prende mai né sopore né sonno, a Lui appartiene tutto ciò che è nei cieli e sulla terra. Chi mai potrebbe intercedere presso di Lui senza il suo permesso? Egli conosce ciò che è avanti a loro e ciò che è dietro, mentre essi non abbracciano della sua Essenza se non ciò che Egli vuole. Spazia il suo trono sui cieli e sulla terra, né lo stanca vegliare a custodirli: è l’eccelso, il possente!”.

Ma come insegna Papa Francesco, il banco di prova della preghiera è l’amore concreto per il prossimo. Cristo chiede di amare il prossimo, cioè colui che ci sta accanto e con il quale ci confrontiamo ogni giorno. È nella quotidianità che possiamo saggiare quanto amiamo veramente Dio e i fratelli.

Dopo il Concilio Vaticano II, durante la Messa il sacerdote non è rivolto più al Santissimo ma all’assemblea. Cristo vive tra i fratelli, quindi il vero amore per Lui si deve estrinsecare in quello per gli altri. “Se non ami il fratello che vedi, come potrai amare Dio che non vedi?” (1 Giovanni 4, 20).

La nostra salvezza passa attraverso la carne di Dio. Sia perché dall’Ostia siamo trasfigurati in Cristo sia perché amando la Carne del mondo ci conformiamo sempre più a Gesù, seguendo il suo esempio. “Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica” (Giovanni 13, 15-17). Ma anche perché la Carne del mondo è lo stesso Dio, qui incarnato, noi siamo il suo tempio (1Corinzi 3, 12: “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?”): è questa la logica paradossale del cristianesimo (Kierkegaard). In base a questo “paradosso”, servendo l’uomo si serve Dio.

Nel suo Diario il filosofo danese Kierkegaard osservava come “l’idea della filosofia è la mediazione, quella del cristianesimo il paradosso” (567).

“Ma Gesù Cristo è il paradosso, la sintesi paradossale di un Dio e di una povera creatura umana: l’umiliazione Gli appartiene perciò in modo essenziale … Gesù Cristo è il segno dello scandalo e l’oggetto della Fede. Solo nell’eternità Egli siede nella gloria: qui in terra Egli deve essere sempre rappresentato nel Suo abbassamento, perché ciascuno possa scandalizzarsene e credere” (1442).

Bibliografia

  • M. A. Amir-Moezzi, I. Zilio-Grandi (a cura di), Dizionario del Corano, Milano 2007;
  • R. Guardini, La realtà della Chiesa, Brescia 2021;
  • S. Kierkegaard, Diario, a cura di C. Fabro, Milano 2000;
  • R. Schnackenburg (a cura di), Il Vangelo di Giovanni, Parte Prima, Brescia 1973;
  • P. Teilhard de Chardin, La Messa sul Mondo, Brescia 2019.

Marco Calzoli è nato a Todi (Pg) il 26.06.1983. Ha conseguito la laurea in Lettere, indirizzo classico, all’Università degli Studi di Perugia nel 2006. Conosce molte lingue antiche e moderne, tra le quali lingue classiche, sanscrito, ittita, lingue semitiche, egiziano antico, cinese. Cultore della psicologia e delle neuroscienze, è esperto in criminologia con formazione accreditata. Ideatore di un interessante approccio psicologico denominato Dimensione Depressiva (sperimentato per opera di un Istituto di psicologia applicata dell’Umbria nel 2011). Ha conseguito il Master in Scienze Integrative Applicate (Edizione 2020) presso Real Way of Life – Association for Integrative Sciences. Ha conseguito il Diploma Superiore biennale di Filosofia Orientale e Interculturale presso la Scuola Superiore di Filosofia Orientale e Comparativa – Istituto di Scienze dell’Uomo nel 2022. Ha dato alle stampe con varie Case Editrici 52 libri di poesie, di filosofia, di psicologia, di scienze umane, di antropologia. Ha pubblicato anche molti articoli. Da anni è collaboratore culturale di riviste cartacee, riviste digitali, importanti siti web.

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