” I FAVOLOSI ANNI OTTANTA : ESSERE O APPARIRE ” DI VALTER MARCONE

Redazione- Cosa resterà degli Anni 80 si chiede Raf nel 1989. Soldi, carriera, look, aerobica. Roberto D’Agostino scrive nel libro Look Parade realizzato con Lucia Castagna (Sperling & Kupfer, 1985): «Oggi, in piena civiltà dell’immagine, si è imposto un nuovo concetto, un nuovo effetto speciale, quello dell’apparire. Ognuno cerca di esibire quel mosaico di informazioni visive chiamato look. Attraverso un look l’uomo può evadere dall’universo ripetitivo della quotidianità dove ognuno assomiglia a chiunque altro, per scacciare l’ossessione più insopportabile di questi anni Ottanta: essere perdenti, non riscuotere il successo sociale, cadere nel cono d’ombra del banale quotidiano». Così, nel disperato narcisismo di una generazione orfana di valori, l’esteriorità diventa l’obiettivo assoluto tra palestre, diete, chirurgia e trattamenti estetici e l’uniformarsi alla bellezza stereotipata è lo scudo protettivo, uno status symbol consumistico ed effimero che trova nell’era repubblicana di Reagan l’imprimatur internazionale.

Un apparire che trova il suo simbolo anche in prorompenti ragazze Fast food in abiti succinti, personaggi irresistibili, gag veloci, balletti, sketch esilaranti proposti con una regia dal ritmo serrato. Un programma di successo in tivvù ideato e scritto da Antonio Ricci in collaborazione, nelle varie edizioni, con Alessandro Piccardo, Ezio Greggio, Franco Mercuri, Aldo Rami, Lorenzo Beccati, Max Greggio, Michele Mozzati, Gino Vignali, Gennaro Ventimiglia, Matteo Molinari. Apparve sugli schermi in sordina ma già dal secondo anno di programmazione, la domenica in prima serata si Italia 1, raggiunse il successo ininterrotto dal 1983 al 1988 . Un appuntamento simbolo imperdibile , come Carosello di una volta per milioni di italiani .

Quel Drive in con Gianfranco D’Angelo scomparso nel 2021 nella figura di Armando, un domatore di insuccesso che cerca ogni volta di far compiere a un cocker, assolutamente indifferente, degli esercizi circensi improbabili al grido ‘Has Fidanken’,rappresenta appunto il simbolo televisivo degli anni ottanta . E proprio per questo con una «una macedonia di generi, una via di mezzo tra sit com, effetti speciali, gag, parodie, sketch comici e molto altro”. Interpretò la necessità di esibire quel mosaico di informazioni visive chiamato look. Attraverso la proposizione di personaggi che interpretavano lo status symbol consumistico ed effimero che trova nell’era repubblicana di Reagan l’imprimatur internazionale.

A cui seguirà Quelli della notte per mettere l’accento su l’edonismo reganiano e sulla vacuità del momento quanto il decennio segnato dalle performance dall’attore Ronald Reagan nella magistrale interpretazione di presidente, con doppio mandato, degli Stati Uniti (1981-1989). Edonismo reganiano formula inventata da Roberto D’Agostino, “lookologo”..Trentratre esilaranti puntate firmate da Renzo Arbore e Ugo Porcelli con figure indimenticabili come Nino Frassica, Maurizio Ferrini, Andy Luotto, Marisa Laurito, Giorgio Bracardi e molti altri andate in onda dal lunedì al venerdì dall’aprile al giugno 1985.

Un apparire che si fa moda .Spalle imbottite, top succinti, cotonature e gel sui capelli, tinte fluo. Sono gli anni delle giacche esagerate e dei jeans a vita alta con il maglione o la felpa infilati dentro, dei fuseaux . Maglie e T-shirt sono anch’esse vistose: sovradimensionate, spesso con le maniche a pipistrello, talora molto corte oppure aderenti se nel look sportivo.

Come l’abbigliamento, anche la musica è scatenata, carica di spensieratezza e voglia di divertirsi. Un’estate al mare di Giuni Russo (1982, scritta da Franco Battiato), Vamos a la playa (1983) e L’estate sta finendo (1985) dei Righeira. Sono i tormentoni di quelle estate . Poi Jovanotti con È qui la festa?. E con la puzza di benzina che fa girare la testa Arriva Vasco Rossi con Bollicine (1983) e alcuni i cantanti scelgono la lingua inglese come Raf (Self Control, 1983), Spagna (Easy Lady del 1986 e Call me del 1987) o l’esplosiva Sabrina Salerno (Boys, 1987). Impossibile non citare poi Rettore con lo ska Donatella (1981) e Kamikaze rock’roll suicide (1982), Io ho te (1983). A contrastere queste tendenze , che diventano a loro volta tendenze diverse, al contrario Roberto Vecchioni, Fabrizio De André, Franco Battiato, Francesco Guccini, Pierangelo Bertoli e i più romantici Francesco De Gregori e Antonello Venditti. La stagione di cantautori che offrono una diversa prospettiva a quella che sembra essere la moda della vacuità, dell’apparire. Raccolgono istanze sociali, sentimenti condivisi, emozioni e ne traggono spunti per le loro composizioni che sembrano appunto propore l’essere e non l’apparire .

Anni guardati attraverso i Ray Ban, al tempo dotati di lenti Bausch & Lomb (oggi sono Luxottica) e – allora come oggi – i modelli di culto erano i Wayfarer di Dan Aykroyd e John Belushi nei Blues Brothers (1980) e di Don Johnson in Miami Vice (1984), gli Aviator di Tom Cruise “Maverick” e i Caravan in Top Gun (1986), gli Shooter, evoluzione del modello a goccia con il cerchiolino. Senza dimenticare gli Outdoorsman di Sylvester Stallone in Cobra.

E poi i grandi simboli . Lo swatch :un sottile segnatempo in plastica dotato di soli 51 componenti (al posto degli abituali 91 o più) in grado di unire qualità superiore e resistenza all’acqua a un prezzo accessibile – scandisce la ripresa del settore. Lo Swatch, contrazione di “second” e “watch”, inteso come “secondo orologio” per distinguersi da quelli classici grazie alla sua veste casual, colorata, spigliata ed economica,

E il cubo che può assumere ben 43.252.003.274.489.856.000 (parliamo quindi di trilioni) di combinazioni possibili, e di queste solo una è quella corretta. L’invenzione di questo twisty puzzle si deve a Erno Rubik, Nove quadratini dello stesso colore per ciascuna delle sei facce, ovvero 54 parti. Scopo del gioco è uniformare ciascun lato: è il Cubo di Rubik,

Gli yuppie ,ovvero Young Urban Professional, giovani businessmen rampanti degli Anni 80, in massima parte desiderosi di lavorare in borsa e tutti di fare rapidamente soldi a palate.

A New York, maniacalmente fissati con il look, gli abiti firmati – in particolare quelli di stilisti italiani come Armani, Versace e Valentino – e le macchine sportive, frequentavano locali come lo Studio 54 e le feste più esclusive. Sulla falsariga del modello americano, lo yuppie di casa nostra – portato al cinema da Carlo Vanzina – emula prendendo a esempio Gianni Agnelli e il suo orologio portato sul polsino, esibendo uno stile di vita consumistico e cinico. In Italia come all’estero, anche la cocaina gioca spesso un ruolo chiave in questa forzata visione di divertimento costoso e senza limiti. ( 1)

Anni Ottanta dunque : essere o apparire . Dove “essere è la caratteristica essenziale di ogni individuo, la sua autenticità, come si è davvero e “ apparire “ è la superficialità, la formalità vuota, è volere essere o diventare ciò che non si è.

Ce lo ricorda anche “Avere o essere “ di Erich Fromm (2) le due modalità dell’esistere. Secondo Erich Fromm ci sono due categorie attraverso le quali vengono distinti gli individui: coloro che vivono secondo la modalità dell’avere e coloro che seguono invece un sistema di vita incentrato sull’essere. Avere è dunque solo un rapporto di possesso e proprietà col mondo . Diventare padroni di tutto compreso se stessi. Essere è per così dire l’opposto di avere che delimita il vero rapporto con il mondo . Un rapporto autentico.

Ma c’è un’altra distinzione che sancisce meglio la differenza essenziale tra queste due modalità come riporta lo stesso Fromm: “L’avere si riferisce alle cose e le cose sono fisse e descrivibili. L’essere si riferisce all’esperienza e l’esperienza umana è in via di principio indescrivibile”.

La vita ci pone di fronte a scelte ,nella capacità di apprendimento, in quella di ricordare, nella conversazione, nella lettura, nella fede e nell’amore, insomma in tutti gli aspetti della quotidianità. Dobbiamo scegliere appunto tra avere o essere ed è una scelta che a volte facciamo in modo inconsapevole. Nelle pagine di Fromm si risentono dunque anche le voci sia del pensiero buddhista che i testi ebraici, spaziando da Marx a Freud e passando per Spinoza e Meister Eckhart.

Ho richiamato Fromm per la profondità e la vastità del suo pensiero nell’esporre queste modalità del vivere ma in realtà pensando agli anni Ottanta va invertito il binomio che diventa essere o apparire . Il tema focale diventa non tanto quello dell’avere, dell’essere o del dover essere ma soprattutto quello di apparire. Che è appunto una funzione più leggera, meno codificata, più semplice di quello che è l’avere. Apparire è una modalità dell’avere perchè attraverso il possesso, dunque di capi di abbigliamento, di oggetti, e via di questo passo , si costruisce un “look” non solo materiale ma anche mentale, di tendenza ma anche di concreto apparire.

E anche per questo tema non si può non ricorrere a Pirandello. Anche se qui , parlando di questo tema Pirandello coinvolge un pezzo di storia del nostro paese , il regime fascista. “ Il tratto distintivo della posizione pirandelliana, non solo nei confronti dell’esperienza storica della sua generazione, ma anche nei riguardi dei movimenti culturali del suo tempo, è costituito dal contrasto fra illusione e realtà, in cui l’illusione si rivela un inganno, o comunque un ideale irrealizzabile, e la realtà meschina e avvilente, del tutto inadeguata alle speranze. È così, quindi, che entra in gioco il tema dell’essere e dell’apparire: tutto pare fatto per apparire e quello che appare è destinato a essere visto, sentito, gustato, odorato. L’uomo sembra essere il centro di questa rappresentazione: egli ne è il primo spettatore e, nel contempo, l’interprete principale; è la sintesi per cui essere e apparire coincidono. (…)Apparire significa mostrarsi agli altri e questo vuol dire avere o cercare spettatori: esibirsi, mostrarsi, recitare, essere individuati e percepiti e, dunque, essere accettati, ammessi, legittimati al bisogno d’amore e al suo appagamento. Così inizia quel lungo e doloroso percorso dell’apparire che conduce al travestimento per la recita di un copione. “(3) Ma qui il discorso prende tutta un’altra strada che esula dal tema della nostra riflessione sull’essere e apparire .

Dunque un esame della modalità dell’apparire più edonistica che ci riporta appunto a quegli anni Ottanta da cui ho iniziato .Anni che con la loro tendenza rovesciano e aggrediscono però anche le nostre sicurezze .Blaise Pascal afferma: “Noi non ci accontentiamo della vita che è in noi e nel nostro proprio essere, vogliamo vivere nel pensiero degli altri una vita immaginaria e, a
questo fine, ci sforziamo di apparire. Lavoriamo senza posa ad abbellire e a conservare
il nostro essere immaginario e trascuriamo quello vero”.
Per tutta la vita ci identifichiamo, complice la società in cui viviamo in ruoli ben definiti ai quali aderiamo liberamente ma anche a volte con costrizione. : il bravo studente, l’efficiente casalinga, madre, moglie, lavoratrice, il marito perfetto, l’integerrimo avvocato, imprenditore ecc. Ruoli che, come maschere, ci mettiamo e ci togliamo a seconda delle esigenze e a seconda dei vari ruoli da interpretare in determinate circostanze. Ecco allora che gli anni Ottanta rompono le nostre sicurezze aggredendo quei ruoli ma ci danno anche la possibilità di riconsiderarli e di uscirne fuori attraverso proprio quel nuovo modo di apparire facilitato da look, oggetti, adesione alle tendenze. Insomma un modo di dire basta alla identità. Anche se qui il discorso si fa pericoloso perchè la perdita di identità poi può trasformarsi in “ crisi di identià” che può essere sovrapposta a “ crisi esistenziale”.’apparire a lungo andare crea il vuoto , ci spinge nel vuoto con il pericolo di incrinare il senso stesso della nostra presenza nel mondo e di conseguenza entrerà in crisi anche il tipo di autostima legato a quel tipo di identità, percezione, immagine di sé che fino a quel momento avevamo costruito di noi stessi . Ma il discorso qui scivola in altre direzioni per la complessità e la vastità dei temi che stanno dietro l’apparire .

Essere o apparire. C’è poi tutto un altro versante di indagine per una più approfondita conoscenza di questo tema che assume denotazioni molto diverse da quelle che ho fin qui considerato perchè va al di là e sta al di sopra appunto della leggerezza che gli anni Ottanta del Novecento con i loro eventi ,le mode, e i comportamenti richiamano . La leggerezza dell’apparire che in quel contesto sembra connotarsi di un segno negativo si trasforma nelle considerazioni che seguono, perchè appartengono ad uno sguardo diverso di indagine per questo-binomio. Una indagine che sta tutto dentro un’affermazione con la quale Hannah Arendt inizia il primo capitolo de La vita della mente : «In questo mondo, in cui facciamo ingresso apparendo da nessun luogo e dal quale scompariamo verso nessun luogo, Essere e Apparire coincidono»(4)

Una affermazione di Arendt sulla quale Alessandra Scotti ne L’elogio del superficiale. Dal chiasma tattile a quello visivo .Considerazioni tra Portmann e Merleau-Ponty afferma :” La dichiarata identità fra essere e apparire comporta due rilevanti conseguenze filosofiche: in primo luogo che la cosiddetta teoria dei due mondi perde ogni significato e valore, per dirla con Nietzsche una volta eliminato il mondo vero avremo eliminato anche quello apparente ; in secondo luogo l’apparire sensibile, scevro dall’accezione ingannevole e fallace a cui la storia della metafisica ci ha abituato, reclama una sua propria dignità ontologica. Ciò che si manifesta nel mondo è il mondo stesso, ed è la sua natura fenomenica che va indagata, toccata anzi. Proprio questo slittamento costituisce uno dei passaggi cruciali implicati dall’uguaglianza tra apparire essere. (5)

Così apparire ed essere instaurano una nuova eguaglianza. Anzi una identità. Basti un esempio .L’identità enunciata fra essere e apparire, diventa sostanziale se per esempio pensiamo al concetto di profondità . E se lo pensiamo non tanto come immersione verticale ma come esplicazione orizzontale. Sscrive Valery, «ciò che vi è di più profondo, nell’uomo, è la pelle» ( ). Quando pensiamo alla profondità pensiamo a un movimento verticale, teso a scandagliare gli abissi, come i
cercatori di tesori, pensiamo al cuore di tenebra che si nasconde dentro le cose, dietro la superficie. È possibile allora pensare, sulla scorta di alcuni concetti desunti dalla biologia portmanniana (come quello di Selbstdarstellung), una concezione orizzontale della profondità. Il concetto di profondità
orizzontale, nonostante suoni paradossale, consente di rinunciare alla supremazia del fondo sulla superficie, riconoscendo quindi l’identità enunciata fra essere e apparire, evitando che il superficiale si tramuti nel superfluo. In fondo si tratta di un’operazione non troppo dissimile da quella condotta da Deleuze e Guattari in Mille plateaux, che ripensa il concetto di radice in maniera totalmente anomala attraverso la figura del rizoma. Quest’ultimo, infatti, anziché svilupparsi in verticale lo fa in orizzontale. Ecco che, nel repertorio concettuale di Deleuze e Guattari, il rizoma indica tutt’altro che radicamento, verticalità e gerarchia poiché cresce orizzontalmente e ha struttura diffusiva, reticolare, anziché arborescente. È un anti‐albero e un’anti‐radice, se così si può dire. Simboleggia, quindi, il decorso di un’esperienza che si muove in maniera spontanea, caotica, creando una quantità innumerevole di connessioni. (6 )(7)

Una identità dunque sulla quale riferire con un breve escursus i risul le idee e le riflessioni di molti autori che hanno riflettuto su questo tema.

A cominciare da Schopenhauer che della frammentazione della realtà e della personalità dell’individuo ha fatto il centro del suo interesse analizza la contrapposizione tra realtà (volontà) e apparenza (rappresentazione) nella sua opera: “Il mondo come volontà e rappresentazione” Per Schopenhauer la rappresentazione è come il velo della divinità buddista Maia che con il velo confondeva appunto realtà e illusioni .Per uscire dalla dimensione illusoria bisogna strappare il velo riuscendo così a vedere la realtà.
Per strapparlo, egli usa l’immagine del castello circondato dall’acqua con il ponte levatoio sollevato: il viandante può osservare il castello da tutti i lati ma ne rimarrà sempre fuori. .

Ma già Seneca nell’Epistulae morales ad Lucilium aveva scritto : Nemo suum agit, ceteri multiformes sumus, ovvero: “nessuno si attiene a un solo ruolo, siamo tutti multiformi”. Diceva quindi Seneca che l’uomo per sua natura ha la voglia e la capacità di apparire in maniera diversa . Ed è quello di cui ho accennato richiamando la “ maschera” di Pirandello che è un espediente che l’uomo mette in atto per cambiare ruoli a scapito soprattutto della coerenza.

C’è poi la “Cena Trimalchionis” un brano che occupa quasi la metà dei quello che del Satyricon ci è pervenuto e che molti considerano una parte quasi autonoma rispetto all’intera opera. Satyricon un romanzo in prosimetro della letterature latina attribuito a Petronio ,ha come protagonista il liberto arricchitosi con il commercio .Alla cena che è quello che ci interessa qui partecipano oltre ai tre giovani, Encolpio, Ascilto e Gitone, anche vari personaggi dello stesso rango di Trimalchione. Tra portate faraoniche e scene grottesche che Trimalcione usa per sorprendere i suoi ospiti c’è quella del bagno , per esempio, in cui Trimalchione mostra lussi e stravaganze, basti pensare all’esercito di schiavi alle sue dipendenze. La conversazione che si occupa di svariati temi sembra un’accozzaglia di argomenti perchè va dall’inopportunità dei bagni,alla funzione del funerale, e poi alle le condizioni climatiche e ancora all’agricoltura, alla religione e i giovani,a i giochi pubblici, ai disturbi intestinali, al valore del vetro, al destino, ai monumenti funebri, ai diritti umani degli schiavi. In reasltà con un atteggiamento distaccato Petronio confronta la cultura di quel ceto con la cultura tradizionale evidenziando quindi l’essere, il dover essere e l’apparire .

Dice Søren Kierkegaard in “Aut-aut” : “Ma cosa vuol dire vivere esteticamente e cosa vuol dire vivere eticamente? Cosa è l’estetica nell’uomo, e cosa è l’etica? A ciò risponderò: l’estetica nell’uomo è quello per cui egli spontaneamente è quello che è; l’etica è quello per cui diventa quello che diventa. Chi vive tutto immerso, penetrato nell’estetica, vive esteticamente.”

Erich Fromm in Avere o essere ? Che ho già menzionato dice : “L’aut-aut tra avere ed essere non è un’alternativa che si imponga al comune buon senso. Sembrerebbe che l’avere costituisca una normale funzione della nostra esistenza, nel senso che, per vivere, dobbiamo avere oggetti. Inoltre, dobbiamo avere cose per poterne godere. In una cultura nella quale la meta suprema sia l’avere – e anzi l’avere sempre più – e in cui sia possibile parlare di qualcuno come una persona che «vale un milione di dollari», come può esserci un’alternativa tra avere ed essere? Si direbbe, al contrario, che l’essenza vera dell’essere sia l’avere; che, se uno non ha nulla, non è nulla.”

Due brani che instaurano Un parallelismo tra i due autori sembra scontato, la vita estetica come avere, la vita etica come Essere. Anche per Kierkegaard la modalità prevalente è quella dell’estetica – avere.

Scrive Pietro Riccio su Expartibus.it nell’articolo “ Essere o apparire “ il 21 agosto 2019 “ Un altro interessante parallelismo lo potremmo senza dubbio ritrovare in Friedrich Nietzsche, che individua in due divinità, Dionisio e Apollo, altrettante strade di vita.

“ I Greci, che esprimono e in pari tempo nascondono nei loro dèi la dottrina segreta della loro visione del mondo, hanno eretto a duplice scaturigine della loro arte due divinità: Apollo e Dioniso. Questi due nomi rappresentano, nel regno dell’arte, due stili opposti. Essi procedono l’uno accanto all’altro, quasi sempre in lotta tra loro, e solo una volta, nel momento della fioritura della «volontà» ellenica, appaiono fusi: nell’opera d’arte della tragedia attica. In due diversi stati, in effetti, l’uomo raggiunge il sentimento estatico dell’esistenza: nel sogno e nell’ebbrezza. La bella parvenza del mondo del sogno, in cui ogni uomo è pienamente artista, è la madre di ogni arte figurativa e, come vedremo, anche di una metà importante della poesia. Noi godiamo della comprensione immediata della figura, tutte le forme ci parlano; non c’è niente di indifferente e di non necessario. Ma anche nella vita più fervida di questa realtà di sogno, abbiamo ancora una sensazione balenante della sua illusorietà; solo quando questa cessa cominciano gli effetti patologici, in cui il sogno non ristora più e la forza risanatrice naturale di quello stato viene meno. (La visione dionisiaca del mondo )

Il mondo vero lo abbiamo eliminato: quale mondo è rimasto? quello apparente, forse?… Ma no! Col mondo vero abbiamo eliminato anche quello apparente! (Friedrich Nietzsche – Il crepuscolo degli idoli)

Giochiamo con questa citazione del filosofo tedesco, la prendiamo in prestito per giungere ad un ulteriore dualismo, quello tra essere e apparire.

Nel mondo del tempo reale, di internet, dei social e dell’immagine, è secondo noi il nuovo aut-aut di fronte al quale si trova l’uomo contemporaneo, laddove l’apparenza si contrappone all’essere come in passato e nei diversi autori troviamo l’estetica, l’avere.

“Ci sono individui composti unicamente di facciata, come case non finite per mancanza di quattrini. Hanno l’ingresso degno d’un gran palazzo, ma le stanze interne paragonabili a squallide capanne.”
(Baltasar Gracián)

L’importante diventa non più avere, ma l’apparenza dell’avere. Non più l’essere, ma l’apparenza dello stesso.

“Il mondo è governato più dall’apparenza che dalla realtà ed è meglio far mostra di sapere qualcosa che saperlo. (Daniel Webster)

Contrapposizione già posta in passato, se si considera che Webster è vissuto a cavallo tra XVIII e XIX secolo.

“ Stava bevendo in modo avido la realtà che lo circondava, e cercava di trattenerla, di afferrarla, di intrappolarla per sempre nelle foto che stava scattando. Si proponeva di fissarla per sé e per le persone che facevano parte della sua vita. Si rendeva conto che però nessuna foto avrebbe mai potuto catturare quello che lo circondava nella sua complessità. Nessuna foto avrebbe mai conservato l’aria fresca che veniva dal lago e che gli sfiorava il viso, gli odori che quell’aria gli portava, di una primavera che quell’anno era arrivata in anticipo, dei ristoranti che si preparavano ad accogliere i primi clienti, oppure il verso delle anatre. Nessuna foto avrebbe mai conservato l’animazione di quello che lo circondava, l’ondeggiare dei rami degli alberi che circondavano il lago, il volo degli uccelli che lo sorvolavano, il sole che piano scendeva ad occidente colorando tutto di incredibili sfumature di rosso. Quando prese a rivedere le foto che aveva scattato attraverso il display della fotocamera si accorse che anche quello che avrebbe voluto cogliere di visivo, anche quello che si aspettava di fermare era ridotto ad una copia sbiadita di quello che aveva visto. Ripose la macchina fotografica nella custodia.Erano i suoi sensi quelli che solo potevano cogliere in modo compiuto ciò che lo circondava, era la sua coscienza che poteva conservare con il massimo della fedeltà possibile l’esperienza.

Alzò la testa nella brezza perché il suo viso potesse sentirla con ogni suo poro, respirò profondamente, per poter cogliere ogni sfumatura degli odori che gli arrivavano, sgranò gli occhi a voler abbracciare una parte quanto più ampia possibile di quanto lo circondava.
Pietro Riccio – La stanza bianca

Non è questa, forse, una tendenza diffusa? Fissare qualcosa quasi che sia l’unico modo per renderla reale. Prima dell’avvento dei social senza foto da mostrare agli amici una vacanza, un evento sembrava che non fossero esistiti. La foto testimoniava che c’eravamo stati. Che eravamo in quel momento, in quel posto, in compagnia di qualcuno.

Ma c’eravamo veramente stati? O ci stavamo solo preoccupando di fissare l’apparenza, di cristallizzarla nelle foto piuttosto che vivere davvero l’hic et nunc, come stava capitando al protagonista della citazione precedente. (8)

Essere ed apparire. in definitiva coinvolgono anche concetti come per esempio l’identità: c’è qualcosa oltre il nostro aspetto che rivela quello che siamo? Quanto conta l’abbigliamento? Ci si deve fidare dell’aspetto? E poi anche il riconoscimento: perché desideriamo essere identificati e riconosciuti? Forse il riconoscimento conferma la nostra esistenza e il nostro valore?

Ma le domande da porsi sarebbero ancora molte, forse troppo per questo spazio. Ne indico alcune nella speranza di poter tornare a riflettere e quindi condividere su questo tema.

L’essere ha bisogno di una “forma” per apparire ?L’essere è sempre in divenire, a prescindere dall’apparenza la quale dissimula la realtà, la nasconde. Dipende da come vogliamo mostrarci .L’apparenza rivela l’essere, ma noi siamo più di quanto appariamo, abbiamo il tempo per conoscerci veramente.? La ricerca dell’essere è difficile ? L’aspetto è solo una parte di noi e la conoscenza di noi stessi e degli altri è senza fine ed è sempre un punto di vista parziale ? Il nostro essere dipende da quale obiettivo rappresentiamo per gli altri, all’apparenza dovrebbe corrispondere l’interiorità dell’individuo .L’apparenza non è solo il vestito, noi proiettiamo una parte  di noi, cosa voglio vedere nell’altro? Quale immagine l’altro mi rimanda? La parola ci limita, non esprime tutto ciò che siamo ?E’ importante il contesto, il luogo dove ci si mostra ?Ci si può adattare agli altri rimanendo sé stessi, senza sminuirci ?Le convenzioni sono tante, necessario il compromesso, la relazione influenza il modo di comportarsi ?

Sono partito in questa riflessione dall’apparente leggerezza di un tema come quello dell’apparenza e dei suoi simboli che ha contraddistinto gli anni Ottanta del Novecento e passando per l’edonismo reganiano sono arrivato a riconsiderare il binomio essere- apparire attraverso l’apporto della letteratura e della filosofia individuando trasversalmente un campo di ricerche ampio che ha però ancora bisogno di indagine stando alle ultime domande poste su questo tema

Eppure l’immagine, prevalentemente nostalgica, che continua a prevale di quegli anni è quella mediata dalla televisione, dal cinema, dalla fotografia, dalla musica e dalla moda. Un’Italia che rapidamente si adegua al sistema culturale e produttivo degli altri paesi industrializzati, caratterizzata da una cultura del consumo mai verificatasi prima. Secondo Marco Gervasoni, infatti, l’aspetto più rilevante dell’Italia degli anni Ottanta è proprio l’ingresso nell’era del consumo di massa, favorito innanzitutto dalle televisioni private con le loro pubblicità ricche di “contenuti simbolici” e “implicazioni cognitive”.5 La televisione, quindi, ha favorito la diversificazione e la diffusione di prodotti e brand ad un pubblico di consumatori molto più vasto rispetto al passato. Inoltre, “Marshall McLuhan ci ha spiegato che il ‘medium è il messaggio’, e abbiamo capito che la potenza della televisione sta, innanzitutto, nella sua capacità di inserirsi nella nostra comune esperienza per modificarla”.6 Pertanto, grazie alla televisione e al suo continuo ibridarsi con gli altri media, l’immaginazione, ma forse sarebbe meglio dire l’immaginario, viaggia liberamente. ( 9)

(1)https://www.meetingecongressi.com/it/speciale40/gli_anni_80/la_societa/1098/cosa_restera_di_quegli_anni_80.htm

( 2)Erich Fromm, Avere o Essere?, traduzione di Francesco Saba Sardi, Milano, Mondadori, 1977.

(3)https://www.skuola.net/appunti-italiano/luigi-pirandello/pirandel-essere-apparire.html#_=_

( 4)H. Arendt, La vita della mente, tr. it. Il mulino, Bologna 2009, p. 99.

(5 )http://www.scienzaefilosofia.com/wp-content/uploads/2018/03/res679412_06-SCOTTI-11.pdf

(6 )P. Valery, L’idea fissa o due uomini al mare, tr. it. Theoria, Roma‐Napoli,1985, p. 60.

(7 )http://www.scienzaefilosofia.com/wp-content/uploads/2018/03/res679412_06-SCOTTI-11.pdf

( 8)https://www.expartibus.it/essere-o-apparire/

(9 )Alessandra OlivaresAnni Ottanta: realtà e immaginario della dolce via italianahttps://zmj.unibo.it/article/view/9428/9516

Commenti (0)
Aggiungi un commento