Redazione- “Franza o Spagna, basta che se magna” fu un tempo lo slogan ma anche la speranza della plebe di tutti quegli staterelli che sorgevano sul territorio ,dalle Alpi alla Sicilia, che fu poi il territorio di uno Stato, di una Nazione unita grazie al Risorgimento.
Era il tempo, tra l’altro durato a lungo ( dal 1400 al 1800) che l’Italia era divisa in piccolissimi stati: ducati, marchesati, piccoli regni . Ciascuno dei quali con la sua autonomia,le sue parentele al potere. Una condizione di irrilevanza politica, economica, militare . L’autonomia diffusa e spesso ricercata produceva un isolamento che per quanto splendido e forse virtuoso aveva molti aspetti negativi .Come per esempio nel caso dell’isolamento per caratteristiche orografiche come l’Abruzzo, una regione montuosa separata e isolata ,raggiungibile solo attraverso pochi valichi e per questo con scarsi rapporti che ne hanno determinato gran parte della sua storia. Tra gli aspetti positivi invece va detto che quella condizione ha prodotto e non è poco, ma non è nemmeno tutto, un patrimonio paesaggistico ed artistico incommensurabile e incontaminato per secoli che oggi abbiamo a disposizione; una ricchezza di cui spesso non ci curiamo , anzi non ce ne accorgiamo avendola sotto gli occhi tutti i i giorni fino a diventare una consuetudine. Per gli aspetti negativi, all’isolamento di cui ho accennato ,va ricordato che in generale quell’isolamento ha alimentato per molto tempo contrasti , liti, e come dicevo soprattutto irrilevanza.
Quella storia rischia di ripetersi nel nostro presente con la riproposizione di quell’autonomia differenziata che la Lega ha fortemente voluto, che il governo Meloni ha sostenuto e che il Parlamento ha definitivamente approvato con la legge 26 giugno 2024 n. 86 recante disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
Il provvedimento fa seguito ad una discussione relativa all’iter parlamentare di riforma sull’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, che si è svolta già a partire dalla fine della XVII legislatura, dopo le iniziative intraprese da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna nel 2017. Nella legge recentemente approvata l’innovazione fondamentale e dunque da mettere all’attenzione è quella che stabilisce ( per legge dunque ) che si avranno diritti differenziati in base alla Regione di residenza. Perchè il meccanismo che questa legge mette in piedi è il seguente : ciascuna Regione finanzia i servizi che eroga ai propri cittadini mediante le tasse prodotte nel proprio territorio con il cosiddetto “residuo fiscale”. Questo significa che le Regioni in cui si pagano più tasse, quindi quelle con più ricchezza e benessere, potranno erogare servizi ai propri cittadini di qualità migliore e di quantità maggiore , mentre le Regioni che hanno minor residuo fiscale potranno erogare ai propri cittadini servizi scarsi e forse anche di pessima qualità. Stiamo parlando di Sanità, di Istruzione, di Lavoro, di Trasporti, di Ambiente, ad esempio, e di tutti i fondamentali diritti civili e sociali. Ci saranno dunque regioni di serie A e regioni di serie B.
Una situazione che sembra ripetere appunto quello che per secoli ha caratterizzato la vita di tutti quegli agglomerati nei quali era diviso il territorio di quella che sarà poi l’Italia unita.
Mi spiego. Ogni signore di ciascun staterello secondo le sue possibilità e anche allora c’erano staterelli di tipo A e di tipo B , nel corso del tempo, procurò di arricchire i paesi e le città che sorgevano nei suoi possedimenti con arredi urbani, chiese , che a loro volta spesso contenevano capolavori dell’arte architettonica e pittorica, oltre alla cura del paesaggio . Un impegno encomiabile certamente sotto un certo punto di vista ma che inesorabilmente condannava quei territori così isolati a non avere nessuna rilevanza politica,economica e militare. Tanto che in condizioni di gregari quei signori dovevano di volta in volta cercarsi un protettore per difendersi specialmente nei fatti d’armi
L’Italia di oggi su quel lungo stivale circondato da tre mari presenta tre realtà per molti versi sicuramente completamente diverse tra loro che per brevità vengono chiamate : nord , centro e sud . Realtà che hanno caratteristiche spesso completamente diverse tra di loro a cominciare non solo dalla geografia , ossia la configurazione del territorio per proseguire soprattutto con una storia totalmente diversa. Una lunga striscia di terra divisa nel mezzo dagli Appennini che con i loro insediamenti rappresentano una specie di spina dorsale del paese. Con un nord industrializzato e una questione meridionale che si trascina da secoli. Tre realtà diverse che si aspettano dalla politica le risorse amministrative per rendere uniforme la realizzazione dei diritti costituzionali .
Invece probabilmente no, stando a quello che la nuova legge sulla autonomia differenziata propone . Ecco perchè immediatamente dopo l’approvazione il cosiddetto “campo largo” dell’opposizione di governo ha trovato le ragioni per proporre di firmare per un referendum il cui quesito è il seguente : “ Volete voi che sia abrogata la legge 26 giugno 2024, n. 86, “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”? Un quesito determinato dalla approvazione della Legge sull’autonomia differenziata che viene ritenuta un “grave attacco all’impianto costituzionale del nostro Paese. Nel proporre differenti livelli di autonomia tra le Regioni a statuto ordinario, divide l’Italia e danneggia sia il sud che il nord, impoverisce il lavoro, compromette le politiche ambientali, colpisce l’istruzione e la sanità pubblica, smantella il welfare universalistico, penalizza i comuni e le aree interne, aumenta la burocrazia e complica la vita alle imprese, frena lo sviluppo. Per tali ragioni l’abrogazione della legge si rende necessaria ed è a difesa dell’unità del Paese. “
Sono 23 le materie su cui le regioni possono chiedere competenza esclusiva. Si va dall’istruzione alla ricerca e all’innovazione, dai rapporti internazionali alla sicurezza sul lavoro, dal governo del territorio alle reti di trasporto e navigazione. Solo per citarne alcune.
Una autonomia dunque che sembrerebbe ripetere quella storia che come diceva Benedetto Croce ha formato proprio il carattere degli italiani ,un popolo che ha sempre avuto un difficile rapporto con la libertà.
Nell’incipit della sua “ Storia d’ Italia dal 1871 al 1915”, XXII volume degli Scritti di storia letteraria e politica, edita da Laterza nel 1962 ( XII edizione).Benedetto Croce scrive: “ Nel 1871,fermata la sede del regno in Roma. Si ebbe in Italia il sentimento che un intero sistema di fini . A lungo perseguiti, si era a pieno attuato, e che un periodo storico si chiudeva- L’Italia possedeva ormai indipendenza, unità e libertà, cioè le stava dinanzi aperta la via al libero svolgimento così dei cittadini come della nazione,,delle persone individuali e della persona nazionale; che tale era stato l’intimo senso del romantico moto delle nazionalità nel secolo decimonono strettamente congiunte con l’acquisto delle libertà civili e politiche…”
Continua poi Benedetto Croce che come sempre accade quando si chiude un periodo nascono rimpianti e nostalgie perchè non c’è “più trepidar di speranze come nel quarantotto (la rivolta che partiva dalla Sicilia per invocare l’unione degli stati e staterelli ) o nel cinquantanove “( seconda guerra di indipendenza conclusa conlapace di Villafranca e la sconfitta dell’Austria che fu costretta a cedere alla Francia la Lombardia girata poi ai Savoia). Un rimpianto persino “dei pericoli e dei travagli”. Insomma il periodo eroico della nuova Italia era terminato e si entrava in quello ordinario . Alla poesia seguiva la prosa.
La prosa che significa ancora oggi il perdurare di un lavoro importante che fu definito da Massimo D’Azeglio che la sintetizzò così :” Abbiamo fatto l’Italia ora dobbiamo fare gli italiani “
Un impegno che lo stesso Croce ha ricordato affermando che il carattere degli italiani è stato però definito dalla Storia . Un popolo che ha sempre preoccupato il potere ma che allo stesso tempo ha sempre avuto un rapporto difficile con la libertà. Un poco per alterigia, un poco per necessità.
Purtroppo l’incerta identità del nostro paese prende spesso il sopravvento perchè nel corso della sua storia le grandi libertà sono state barattate con un poco di benessere definito voluttuosamente in “ feste farina e forca” di borbonica memoria. Una identità che per gli osservatori stranieri si riduce ad alcuni stereotipi come pizza, mandolino, mafia , o imbroglioni che si ammantano del valore di una grande identità quella di Dante , Boccaccio e Macchiavelli. Che in sostanza si traduce anche in questo caso in un altro stereotipo : gli italiani brava gente, un popolo di “ santi, poeti e navigatori”.Senza contare che spesso e quindi fuori dagli stereotipi questo popolo viene definito come fiancheggiatore e connivente di organizzazioni criminali, evasore fiscale e mali endemici come quello definito da Antonio Gramsci “familismo amorale”.
Stereotipi che contrastano fortemente con una realtà che vede ogni giorno milioni di italiani recarsi al lavoro, accudire gli anziani , anche attraverso il volontariato, rispettare le leggi, pagare le tasse .Una realtà che rappresenta un punto di forza di un paese in cui si verificano episodi di imbarbarimento e che rendono per qualche verso incerto questo presente . Ma questo è un lungo discorso che per il momento esula da questa riflessione.
Ora la storia che si ripete incontrando appunto provvedimenti legislativi in via di definizione come il premierato, l’autonomia differenziata nel frattempo divenuta legge e un certo tipo di riforma fiscale sembra dar ragione a quanti ritengono che questo popolo si sia meritato ,perchè lo ha voluto, questo incerto e confuso presente le cui ombre né la politica , né una certa cultura riescono a dissipare .
Una rassegna impietosa quella ricordata che oggi si centra appunto sulla questione dell’autonomia differenziata .A questo proposito la speranza è che questa autonomia differenziata , così come voluta dalla legge recentemente approvata dal Parlamento , non sia un ulteriore passo per riproporre gli aspetti negativi,elevati a potenza, di quella Storia a cui ho fatto riferimento . Una speranza che molti ripongono nel referendum di cui ho accennato. Alla fine di luglio, grazie alla firma digitale e al lavoro ai banchetti per la raccolta manuale delle firme si è arrivati a quota 300 mila. Un segnale che appunto il provvedimento recentemente pubblicato in Gazzetta Ufficiale è discusso con preoccupazione . Senza contare che lo scenario in cui l’ipotesi di referendum va prendendo forma , viene evocato non solo dalle forze di opposizione ma anche dalle regioni a guida dello stesso centrosinistra : Toscana, Sardegna, Campania ,Emilia Romagna. Manca la Puglia il cui voto già espresso in questo senso dovrà essere ripetuto per ragioni tecniche. Con una incognita , il voto della Basilicata che potrebbe essere favorevole sulla richiesta di referendum grazie alla disponibilità del partito di Matteo Renzi che fa da ago della bilancia.
Sembrava che per le forze politiche al governo premierato , autonomia e riforma fiscale fossero mere promesse formulate nella precedente campagna elettorale, impegnate come sono su altre priorità tra cui sicuramente quella finanziaria, della ricerca di risorse, della scarsa crescita e del macigno del debito pubblico . Invece forse no . Oppure anche loro si sono trovate di fronte ad una accelerazione e precipitazione dei fatti ( lasciando mano libera alla Lega sulla questione dell’autonomia ) che li ha sorpresi non convinti di quello che accadeva.
In uno scenario in cui presumibilmente il premierato non convince la Lega che sarebbe schiacciata dal maggior partito di centro destra e da Meloni, l’autonomia sembrava non convincere Fratelli d’Italia che è da sempre un partito centralista e che oggi potrebbe vedere uno stop della sua crescita al sud.
Sembrava essere il premierato la madre di tutte le riforme. probabilmente il suo posto viene preso dalla riforma sull’autonomia differenziata su cui stiamo riflettendo. Gli italiani hanno già dimostrato il mancato gradimento per le revisioni costituzionali, in particolare quelle che cambiano la forma parlamentare di governo. Lo testimonia l’esito dei referendum costituzionali che si sono susseguiti negli anni.
E soprattutto lo testimonia la lezione del referendum indetto in occasione delle riforme proposte dal governo Renzi. Certo Giorgia Meloni, a differenza di Renzi, non ha alcuna intenzione di dimettersi in caso il referendum bocciasse l’autonomia differenziata e il premierato quando sarà. Ha ben presente la lezione di Renzi che fece dei referendum un plebiscito sulle riforme Probabilmente Giorgia Meloni vorrà fare del referendum anche lei un plebiscito ma sul suo governo, forse anche sulla sua persona .Ma è tutto un’altra cosa.
Anche perché il prossimo referendum potrebbe essere una vera e propria “assicurazione” politica per l’attuale Presidente del Consiglio dei ministri in caso dovesse avere esito negativo. Esiti negativi che si possono ipotizzare per esempio nella decisione della Consulta di non ammettere a votazione il quesito referendario perché secondo alcuni costituzionalisti la legge Calderoli ,dal punto costituzionale, si può definire una legge quadro per cui non soggetta a referendum.
L’altro possibile esito negativo è legato al mancato raggiungimento del quorum. Non è facile, malgrado l’esito dei precedenti referendum a cui ho accennato portare alle urne 21 milioni di elettori, malgrado gli esponenti del “ campo largo “ costituitosi attorno al referendum esprimano soddisfazione per il raggiungimento di quota 300 mila firme. Le difficoltà accennate non sono da sottovalutare anche se proprio in tema di eventuale flop del referendum c’è un precedente significativo che va ricordato.
Nel 2016 fu proposto un referendum sulle trivelle perso dai presentatori e liquidato sprezzantemente dal governo allora in carica. Fu però un segnale di sfratto per quel governo, cosa che potrebbe ripetersi. Chissà.
E’ però il Forum disuguaglianze e diversità (1) che indica il divario sul territorio che tale legge cristallizzerebbe. Nella legge non è infatti previsto un criterio per valutare i vantaggi dei cittadini. Anche se tale criteri possono essere introdotti con altre norme. Manca una adeguata coniugazione tra i principi di solidarietà e perequazione, diritti a pari prestazioni a prescindere dal luogo di residenza.
Ci sono divari regionali che dovrebbero essere compensati e la legge non lo prevede per rendere i Lep (Livelli essenziali delle prestazioni) uguali per tutti. Lep che però nella legge recentemente approvata sembrano essere, obblighi di vincolo di bilancio che riportano alla spesa storica. Ovvero saranno le risorse disponibili a determinare tali livelli.
In contrasto con la sentenza 275 del 2016 della Corte Costituzionale nella quale si dice che deve essere” la garanzia dei diritti incomprimibili a incidere sul bilancio e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione “. E tra questi diritti quelli che soffriranno maggiormente saranno quelli della istruzione (dunque il sistema scolastico) e la salute (dunque una sanità che stenta a soddisfare le necessità tra cui l’assistenza agli anziani non autosufficienti).
Le domande in conclusione di questa riflessione sono due: la prima che è poi una domanda per così dire storica proposta per esempio anche da uno dei padri della Costituzione . Calamandrei, :” In base a quale valutazione i sostenitori di riforme purchessia riuscirebbero a modificare la Costituzione in vigore da 75 anni e che ha accompagnato la grande trasformazione dell’Italia dal 1945 ad oggi?
La seconda: può lo Stato secondo il modo in cui si sta dando attuazione all’autonomia abdicare in modo irresponsabile verso l’intera nazione aggravando le disuguaglianze innegabili tra i territori: tra città e città, tra città e area interne tra regioni e regioni.
Non è facile dare una risposta o forse la Storia ha già dato risposte ed è nostra , in questo confuso presente, l’icapacità di saperle leggere.
(1) Documento “Autonomia differenziata e disuguaglianze da accesso ai servizi”