Redazione- Ci sono due romanzi scritti a distanza di tempo tra loro, “ Una nobile follia” scritto da Iginio Ugo Tarchetti nel 1867 che nella seconda metà dell’Ottocento elaborò il primo romanzo italiano in cui si ripudia esplicitamente la guerra giungendo a parlare della diserzione. e a distanza quasi di un secolo “Mattatoio 5” scritto da Kurt Vonnegut nel 1969 considerato un’opera chiave del pacifismo moderno e un racconto sul valore effimero dell’esistenza.
Perchè metto assieme in questa riflessione due autori come Tarchetti e Vonnegut così lontani tra loro non solo nel tempo ma anche per la loro esperienza personale? Perchè sicuramente entrambi approfondiscono quella sottile linea di continuità nel tempo che caratterizza un tema come quello dell’antimilitarismo e quindi del ripudio della guerra.
Iginio Ugo Tarchetti che aggiunse un secondo nome a quello di battesimo pensando a Ugo Foscolo nacque a San Salvatore Monferrato il 29 giugno 1839 e morì a Milano il 25 marzo 1869 . Fu un esponente della Scapigliatura. Per anni svolse il lavoro di Commissario militare ricavando da quell’impegno , che abbandonò nel 1865 qualche anno prima di morire, convinzioni e idee contro il militarismo e l’autoritarismo che condivise nei suoi scritti, notevolmente critici rispetto alla vita militare , sia come romanziere che come giornalista, attività a cui si dedicò in età matura dopo aver completato l’impegno lavorativo .
Proprio autoritarismo e antimilitarismo come “drammi della vita militare” dovevano essere i temi di una serie di romanzi da lui ideata , mai completata, proprio dal titolo Drammi della vita militare che ritornano con forza nel romanzo “Una nobile follia” l’unico della serie pubblicato nel 1867.
La vita militare fa fare a Targhetti come soldato una esperienza traumatizzante in quanto testimone della repressione del brigantaggio nelle terre del meridione d’Italia da parte dei “piemontesi” che identificano in quelle terre lo Stato italiano nato dalla riunificazione degli stati e staterelli che governavano lo “ stivale”,ora riuniti sotto la casa Savoia che regnava da tempo sul Piemonte.
La trama del romanzo è semplice ma allo stesso tempo impegnativa perchè mette a nudo vicende e sentimenti tali da traumatizzare il protagonista che ascoltata la storia di un soldato nemico morente, che proprio lui ha ferito a morte, ritrova in parti di quella storia anche la sua storia personale . Scopre che il nemico che ha appena ucciso è un uomo come lui. La storia di quel nemico è simile alla sua storia. A questo punto Filippo,il protagonista, decide di togliersi la divisa e di disertare.
“Una nobile follia” è dunque il ripudio della guerra. Una barbarie insensata , piena di violenza e quindi di follia che scava sempre una profonda ferita nella vita delle persone e delle comunità , togliendo lucidità , arrecando morte e distruzione . Uno scenario al quale lui stesso ha assistito quale militare in servizio al Sud d’Italia, avendo prestato servizio prima a Foggia, a Lecce e poi a Taranto durante la repressione dei brigantaggio.
Nella biografia su wilkipedia ad un certo punto si legge : “Attraverso quell’esperienza arrivò a concepire questo libro, un libro che propugna l’idea dello smantellamento degli eserciti, esalta la diserzione e chiede a gran voce l’uguaglianza tra gli uomini di tutte le nazioni, idee che, al tempo di pubblicazione, erano considerate da gran parte dell’opinione pubblica, scandalose, immorali e sovversive”.
Il romanzo apparve, dapprima con il titolo Vincenzo D*** (Una nobile follia) al quale venne poi aggiunto Drammi della vita militare, in appendice alla rivista Il Sole. Fu pubblicato su quella rivista in 27 puntate dal 12 novembre 1866 e il 27 marzo 1867. Terminata la pubblicazione sulla rivista le puntate furono raccolte in un volume edito da Vallardi. Una seconda edizione postuma, dopo una revisione da parte dell’autore ancora in vita , fu pubblicata nella collana Biblioteca amena dell’editore Treves.
Nella prefazione della seconda edizione di “Una nobile follia”, pubblicata nel 1869, si legge anche a proposito di quel suo progetto mai completato di scrivere una serie di volumi sotto l’etichetta “ Drammi della vita militare “ : “Quattro o sei volumi, scritti come questo, o se vogliamo un po’ meglio, ma immaginati e sentiti con altrettanta vivacità di pensieri e d’affetti, e soprattutto con altrettanto istinto del vero; quattro o sei di questi drammi della vita militare, diffusi nelle caserme e nel popolo, basterebbero a risvegliare la coscienza delle moltitudini per modo, che l’Italia sarebbe guarita in poco tempo da questo cancro che divora la vita, gli averi, e qualcosa di più prezioso, la libertà”.
Per bocca di Tarchetti parla anche la Scapigliatura , quel movimento letterario a cui appartenne e che vedeva le guerre risorgimentali alla luce delle sconfitte di Lissa e di Custoza come nefaste e quindi la necessità di smitizzare quella idea liberale di unificazione che poteva essere attuata solo con le guerre che furono chiamate di “indipendenza”.Ma Tarchetti va oltre : mostra come la vita militare e quindi come la coscrizione obbligatoria, sia una condizione di vita ingiusta perchè “ subita “ da molti giovani.
Certo ci sono autori maggiori nella nostra letteratura e penso ad uno per tutti, Alessandro Manzoni, che ha ben descritto in modo negativo la guerra ma Tarchetti va oltre. Egli arriva alla diserzione, fino a ritenere legittimo togliersi la divisa .
Ora sul togliersi la divisa la riflessione è lunga e mette in campo i temi dell’obiezione di coscienza e dell’antimilitarismo . La storia di questi due momenti per così dire di “opposizione “ alla guerra che è un tema complesso e pieno di risvolti viene da lontano. E’ una specie di nemesi in un percorso che parte dall’Ottocento e arriva fino ad oggi . Attraverso tappe come l’idea ottocentesca che nella letteratura e nelle arti va alla riscoperta della guerra e quindi del protagonista assoluto per quel tempo: il soldato . Il Romanticismo fa di questa figura un ribelle mentre parallelamente avanza una retorica patriottica ed agiografica del Risorgimento, Ma già a quel tempo si è operata una militarizzazione delle masse per creare combattenti in due grandi epopee nefaste : la prima e la seconda guerra mondiale .Gli scapigliati come Targhetti tenteranno di mettere un freno a questo fenomeno opponendosi nei loro scritti alla guerra, al militarismo , agli armamenti.
Ma ci vorranno decenni di lotte antimilitariste per giungere ad affermazioni come quelle contenute nell’opuscolo di Don Lorenzo Milani “L’obbedienza non è più una virtù “ e soprattutto ci vorrà tutto l’impegno di Aldo Capitini che fondò a Perugia il primo centro di orientamento sociale e promosse la causa dell’obiezione di coscienza per una legge che legalizzasse l’obiezione di coscienza in Italia fino all’abolizione della leva obbligatoria.
Sono questi tre momenti essenziali in questo percorso .Il saggio di Don Milani “L’obbedienza non è più una virtù “è composto dal Comunicato stampa dei cappellani militari toscani, dalla risposta di don Milani e dall’autodifesa davanti ai giudici.
Don Milani scrive insieme ai ragazzi della Scuola di Barbiana una risposta al comunicato stampa pubblicato sul quotidiano fiorentino La Nazione del 12 febbraio 1965 contenente l’ordine del giorno votato il giorno precedente da una delegazione dei cappellani militari in congedo .In questo ordine del giorno i cappellani contro l’obiezione di coscienza dicevano testualmente : “Considerano un insulto alla patria e ai suoi caduti la cosiddetta obiezione di coscienza che, estranea al comandamento cristiano dell’amore, e espressione di viltà”.
Il testo della lettera di risposta fu stampato in mille copie e distribuito a tutti i sacerdoti della diocesi fiorentina . Per questa sua lettera Don Milani fu chiamato in tribunale .Dopo l’assoluzione in primo grado, il priore di Barbiana fu poi condannato nel processo di appello, tenutosi nell’ottobre del 1967. La pena però venne estinta per la morte del “reo” avvenuta il 26 giugno dello stesso anno.
Don Milani non fa differenza tra guerra offensiva e difensiva. Tutte le guerre sono da condannare . E non a caso questo filo lungo ormai decenni viene raccolto oggi anche da Papa Francesco che nell’enciclica Fratelli tutti scrive : “bisogna assicurare il dominio incontrastato del diritto e l’infaticabile ricorso al negoziato, ai buoni uffici e all’arbitrato, come proposto dalla Carta delle Nazioni Unite, vera norma giuridica fondamentale” (Papa Francesco, 2020).
Questa vicenda di Don Milani e la sua lettera ai Cappellani militari e la successiva autodifesa davanti ai giudici in quanto impossibilitato ad essere presente in aula perchè malato si inserisce come capitolo significativo nella storia della obiezione di coscienza in Italia . E’ questa la seconda tappa per così dire di questo percorso che significativamente vede la città di Firenze protagonista di un dibattito su questo tema in due momenti . Il primo la disobbedienza civile del sindaco Giorgio La Pira che fa proiettare il film “ Non uccidere” malgrado il divieto, seppure in una sala privata con spettatori selezionati ad invito. Il secondo fu l’appoggio che Ernesto Balducci, un religioso dell’ordine degli Scolopi, dette a Giovanni Gozzini che il 13 novembre 1962, presentatosi al Car Pistoia per il servizio di leva, rifiutò di vestire la divisa militare . Gozzini fu condannato da un Tribunale militare mentre padre Balducci fu a sua volta condannato da un tribunale ordinario . Era il tempo in cui gli obiettori di coscienza finivano in carcere .
Bisogna arrivare al 1972 quando il Parlamento approva la legge n 772 “Norme per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza”, che sancisce il diritto all’obiezione per motivi morali, religiosi e filosofici ed istituisce il servizio civile, sostitutivo del servizio militare e quindi obbligatorio. La sentenza della Corte Costituzionale n. 470 parifica la durata dei due servizi, militare e civile, incrementando la domanda di adesione al servizio civile obbligatorio da parte di associazioni locali del terzo settore, comuni, università, unità sanitarie locali.
Ma ci vogliono ancora quasi trentanni per arrivare così al 2000 con la legge 14 novembre 2000 n. 331 “Norme per l’istituzione del servizio militare professionale” che fissa al 1°gennaio 2007 la data di sospensione della leva obbligatoria che è successivamente anticipata al 1°gennaio 2005 (legge 23 agosto 2004, n.226).
Ma all’inizio di questa riflessione parlavo di due romanzi scritti a distanza di tempo tra loro,che parlano appunto di antimilitarismo. Il primo di cui ho raccontato la trama è “Una nobile follia” di Iginio Ugo Tarchetti . Il secondo di cui voglio parlare è “Mattatoio 5” scritto da Kurt Vonnegut nel 1969 considerato un’opera-chiave del pacifismo moderno .
In queste pagine su questo romanzo ho condiviso già alcuni temi e il quadro di riferimento degli avvenimenti storici a cui si ispira , ovvero il bombardamento di Desdra, il bombardamento dei civili abitanti di questa città da parte dell’aviazione alleata durante la seconda guerra mondiale .(Cfr MATTATOIO N.5 : CONTRO LA GUERRA E CONTRO TUTTE LE GUERRE ). L’intento qui è però quello di mettere in evidenza l’antimilitarismo e dunque l’idea di pacifismo di questo romanzo .
Vonnegut è autore di romanzi come Madre notte, Dio la benedica, Mister Rosewater, La colazione dei campioni, Un pezzo da galera ma il più noto è Mattatoio 5 o La crociata dei bambini del 1969, portato sullo schermo nel 1972 da George Roy Hill .
Ci racconta in Mattatoio 5 una storia con un forte distacco, anzi in terza persona. Egli stesso ne è stato testimone e ne ha sofferto le conseguenze . Un racconto a dir poco inusuale proprio come il protagonista Billy che incede con la scarpa rotta per la strada e più oltre si addentra tra gli scarti temporali dell’esistenza.
Lo scrittore scomparso nel 2007, sembra anticipare in questo suo testo che è del 1969, in piena guerra tra Stati Uniti e Vietnam , profeticamente il massacro di civili a causa di due conflitti attuali, uno tra Russia e Ucraina e l’altro tra Israele e Hamas. All’editore al quale Vonnegut propone la pubblicazione del romanzo dice testualmente in una lettera : “È così breve, stonato, confuso, perché non c’è nulla di intelligente da dire su un massacro. Dopo un massacro tutto dovrebbe tacere, e infatti tutto tace, sempre, tranne gli uccelli “.
E dunque non c’è nulla da dire su un massacro ,tutto dovrebbe tacere. E invece no . E’ proprio questo il senso di quello che scrive. Bisogna gridare l’orrore della guerra e bisogna richiamare il pacifismo non come qualcosa da deridere, una ideologia sciocca per ingenui. Vonnegut lo fa con un poco di umorismo e sotto sotto richiama l’attenzione su un movimento che è ormai adulto e che sa chiamare la violenza con il suo vero nome.
La violenza della guerra ma anche degli arsenali, degli armamenti che sono proprio la linfa di tutte le guerre. In un contesto geo politico mondiale in cui le armi diventano sempre più sofisticate e potenti e spessissimo il loro uso fuori dallo scontro tra eserciti procura morte e distruzione tra le popolazioni civili che pagano un prezzo altissimo sempre, in ogni conflitto . Si consideri per esempio l’eccidio di un popolo come quello di Gaza sul cui territorio l’esercito di Israele per annientare il nemico Hamas ha causato dal sette ottobre dello scorso anni quarantamila vittime civili . O come in Ucraina dove il massacro della popolazione di Mariupol ,per esempio, dove il bombardamento di un teatro d’arte drammatica nel cuore della città , nel sud dell’Ucraina, convertito in rifugio per centinaia di civili,ha fatto contare dalle mille alle milleduecento vittime.
Armi sempre più sofisticate compaiono oggi sugli scenari di guerra . Il Novecento , tanto per fare un esempio, ci aveva abituato a vedere sui campi di battaglia molti uomini , soldati con fucili, cannoni ,bombe a mano. L’ultimo atto di una storia degli eserciti e della guerra che sostanzialmente si serviva principalmente del soldato come arma. Dall’oplita al legionario romano, dalla fanteria alla cavalleria, quando gli arcieri sul campo potevano fare la differenza in un conflitto . E poi le grandi battaglie napoleoniche e quelle della seconda guerra mondiale , fino per esempio allo sbarco in Normandia in cui , come tutti sappiamo, il peso dei reggimenti in azione fu decisivo . Con un piccolo anticipo che faceva già ipotizzare la distruttività futura : le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki .
Ci fu dunque una proliferazione delle armi nucleari a cui si è tentato di mettere riparo con il Trattato di Non Proliferazione (TNP), entrato in vigore il 5 marzo 1970. Possiedono certamente armamenti nucleari Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Cina; dichiarano il possesso di armi nucleari India, Pakistan, Corea del Nord; quelli individuati come possessori di armi nucleari Israele;e poi ci sono stati che hanno un programma nucleare come l’Iran che sta spendendo budget immensi per dotarsi dell’atomica.
Una proliferazione che dunque va scongiurata . Si deve all’Onu la promozione di un lavoro diplomatico che ha messo in atto trattati multilaterali in tema di controllo delle armi nucleari al fine di ridurre gli arsenali nucleari, escludere il loro sviluppo da determinate regioni ed ambienti (ad esempio lo spazio extra-atmosferico od i fondali oceanici), limitare la loro proliferazione e porre fine ai test nucleari. Ma oggi la maggiore destabilizzazione in questo settore viene dalle cosiddette armi convenzionali che sono diventate sofisticate e per questo micidiali.
Il 2023 è stato un anno “magico”, sia per la quantità di armi (di qualsiasi tipo) utilizzate sia per testarne l’efficacia. L’Ucraina è stato il laboratorio privilegiato per spaventosi progressi . Per combattersi in Donbass sono stati svuotati interi arsenali e testate armi più micidiali come appunto i droni . Un’arma per così dire alla portata di tutti con un potenziale veramente spaventoso . Si pensi che un singolo carro armato Leopard costa sui 15 milioni di euro; un aereo caccia di ultima generazione sta intorno agli 80 milioni; una portaerei oltre 4 miliardi. Ma i droni hanno ribaltato il tavolo: con poche decine di migliaia di euro si può bombardare una città , affondare una portaerei .
Ma in una ideale rassegna delle armi possiamo menzionare l’ XM25 è lanciagranate a munizionamento Airburst prodotta dalla Alliant Techsystems e dalla Heckler & Koch: è 300 volte più potente degli attuali lanciagranate; il fucile d’assalto Atchisson che polverizza tutto a una distanza di cento metri; l’Mk 19 lanciagranate da 40 mm equipaggia le torrette armate dei veicoli dell’esercito USA ed i reparti dei Marine ;Modular Advanced Armed Robotic System una piattaforma robotica progettata per la ricognizione, sorveglianza ed acquisizione dei bersagli. un perfetto ‘Terminator’ pilotato in remoto; M-134 della General Electric mitragliatrice a canne rotanti ;XM2010 Reconfigured Sniper Weapon System un fucile con un caricatore da dieci colpi di calibro 300 Winchester ed una gittata massima di 2km;cannone a rotaia capace di sparare un proiettile di 3,2 chili sparato ad una velocità pari a sette volte quella del suono; Il super virus Chimera è certamente l’arma più terrificante oggi creata in laboratorio; e quindi la bomba nucleare.
Un arsenale che è sicuramente integrato da missili a corto e lungo raggio e quindi da veicoli supersonici che bucano le reti degli intercettatori .
Dunque la necessità di chiedere con continuità e con forza un disarmo che spogli gli arsenali e converta le spese per gli armamenti in risorse disponibili per altri settori della vita dei cittadini di ogni paese. Forse una richiesta utopica davanti all’interesse per la produzione di armi e il relativo commercio che anche in questo caso l’Onu ha cercato di regolamentare.
Una regolamentazione decisiva per esempio per quanto riguarda la promozione dello sviluppo economico e sociale, soprattutto dei Paesi in via di sviluppo, a partire dal 1987 con la Conferenza internazionale sulla relazione tra disarmo e sviluppo confermata dalla Risoluzione 61/53 del 6 dicembre 2006 in cui le Nazioni unite chiedevano alla comunità internazionale di destinare allo sviluppo economico e sociale una parte delle risorse ottenute grazie all’applicazione degli accordi di disarmo e di limitazione degli armamenti. Nel rapporto finale della Conferenza a seguito della Risoluzione 77/45 del 13 dicembre 2022, il Segretario Generale ha affermato come l’ Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile abbia evidenziato il nesso tra disarmo, controllo degli armamenti e sviluppo,
Controllare le armi si può e si deve . Una voce che si alza da più parti e che la rete italiana Pace e Disarmo coltiva con le informazioni sulle iniziative che in questo settore sono prese in tutto il mondo . Come per esempio quella di questi giorni contro la proliferazione nucleare.
“Diffusione di dati e informazioni, eventi di approfondimento, conferenze, volantinaggi e manifestazioni. Sono queste le attività che, in tutto il mondo e anche nel nostro Paese, animeranno la prima “Settimana di azione globale sulla spesa nucleare” promossa dalla International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (ICAN – Premio Nobel 2017). Il titolo di questa iniziativa globale – che si svolgerà dal 16 al 22 settembre – è chiaro “No money for nuclear weapons! Niente soldi per le armi nucleari” e parte dalla consapevolezza di quanto sia inaccettabile sperperare oltre 91 miliardi di dollari all’anno per mantenere arsenali di armi di distruzione di massa. “ (https://retepacedisarmo.org/)
Controllare le armi si può e si deve. Ed è uno dei modi per porre fine alle guerre che arrecano morte e distruzione alle quali non bisogna mai assuefarsi, specialmente oggi di fronte a conflitti che devono riguardarci da vicino e che chiedono la nostra attenzione continua e ragionata .