Redazione- Nella prima parte di questa riflessione su carcere e Costituzione ho esaminato una fotografia dell’istituzione carceraria nel nostro paese e le principali problematiche che l’affliggono . Ovvero una profonda crisi strutturale più volte richiamata all’attenzione anche dalla Corte europea dei Diritti dell’Uomo .Una situazione caratterizzata dagli elementi che voglio qui ancora ricordare .
Secondo i dati diffusi dal Garante dei detenuti aggiornato al 16 agosto 2024 sono 63 e suicidi di detenuti avvenuti in carcere dell’inizio dell’anno ; rispetto allo stesso periodo del 2023 sono 19 in più. Al 31 luglio 2024 i detenuti presenti nelle carceri italiane erano 61.133 a fronte di una capienza di 51.200 posti ; quasi diecimila posti in meno , I detenuti presenti in carcere in custodia cautelare senza condanna definitiva erano il 25 % del totale, nel 2010 erano il 42% (15.285). Nel 2023 sono state messe 82.035 misure cautelari personali coercitive. Le misure cautelari custodiali ( carcere , arresti domiciliari, luogo cura ) costituiscono quasi il 15% circa di tutte le misure emesse. A fine 2023 i detenuti per reato contro il patrimonio erano in tutto 34.126 mentre 26.211 quelli per reati contro la persona . Poco più di 10.000 i titoli di detenzione per reati contro la pubblica amministrazione. Nel 2023 sono state 1.271 le richieste presentate per ottenere la riparazione per ingiusta detenzione. L’importo complessivamente versato a titolo di riparazione per ingiusta detenzione sempre con riferimento al 2023 ammonta a circa 28 milioni.
Ora in questo contesto,approvato dal Consiglio dei Ministri nella tarda sera del 3 luglio 2024 e presentato quale risposta del Governo all’emergenza carceri, che da mesi occupa l’attenzione del dibattito pubblico è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il giorno dopo il D.L. 92/2024, recante“Misure urgenti in materia penitenziaria, di giustizia civile e penale e di personale del Ministero della giustizia”. Il decreto, in origine battezzato informalmente dai giornali“Svuota carceri” è stato più correttamente indicato dal Ministro come un provvedimento che vuole realizzare un carcere sicuro e più rispondente ad una pena umanizzata.
In estrema sintesi i primi 4 articoli del decreto-legge sono dedicati alla previsione di incrementi significativi nelle assunzioni nel Corpo di Polizia penitenziaria, nonché tra i dirigenti penitenziari, prevedendo in pratica anche lo scorrimento di graduatorie per vice commissario e vice ispettore di Polizia penitenziaria. Con la medesima finalità, il decreto contiene disposizioni in materia di formazione degli agenti. Certamente un provvedimento qualificante per favorire l’espletamento dei compiti della polizia penitenziaria, specialmente in tema di formazione e di maggiore professionalizzazione ma a carattere strutturale . Ovvero un impegno che precede la messa a punto di programmi e strategie di lavoro più rispondenti alle esigenze attuali di una esecuzione della pena . Con la necessaria organizzazione e riorganizzazione delle scuole di formazione che hanno bisogno al loro interno di un gruppo di formatori a loro volta altamente qualificati . Cosa che non si improvvisa e non si realizza dall’oggi al domani . Senza contare che il decreto in particolare , pur aumentando l’organico di polizia penitenziaria , nella speranza di poter rendere più umane non solo la pena ma anche le condizioni di lavoro degli stessi agenti in realtà rinvia un aspetto altrettanto fondamentale sulle piante organiche vanificando ogni migliore intenzione in questo settore e declassando l’aumento del personale ad un palliativo non sufficiente ad avviare quel meccanismo di risanamento che trova appunto nei lavoratori della custodia un elemento importante tra tutti quelli che concorrono all’obiettivo di un carcere adeguato alle esigenze di sicurezza pubblica ma anche di condizioni umane per i detenuti .
L’art. 5 del decreto dovrebbe essere il provvedimento normativo per combattere il sovraffollamento attraverso l’aumento dello sconto pena per buona condotta da 45 a 60 giorni in più per ogni semestre . Mettendo in piedi una integrale riforma della procedura per la liberazione anticipata, alcuni ampliamenti sul numero delle telefonate, l’istituzione di un albo di comunità per le misure alternative.
Altra disposizione rivolta ai detenuti (l’art. 7 D.L. 92/2024), prevede una stretta ulteriore al 41 bis O.P., escludendo le persone sottoposte al regime differenziato dall’accesso ai programmi di giustizia riparativa.
La modifica nelle procedure per le telefonate alle famiglie sembra essere solo un mero annuncio perché operativamente rinviata ad un regolamento adottando ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, che dovrà modificare in senso conforme l’art. 39 D.P.R. 230/2000, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto. Sembra essere una innovazione sostanziale ma va ricordato che l’art. 39 c. 3 D.P.R: 230/2000 già prevede che l’autorizzazione a intrattenere corrispondenza telefonica possa essere concessa dal Direttore anche in deroga al numero di uno a settimana“in considerazione di motivi di urgenza o di particolare rilevanza, se la stessa si svolga con prole di età inferiore a dieci anni, nonché in caso di trasferimento del detenuto.”
La magistratura di sorveglianza già conosce bene le strutture comunitarie, le comunità che utilizza da decenni per poter concretamente applicare le misure alternative in presenza di soggetti fragili . Affidabilità e capacità ricettiva sono ben evidenti da parte di quelle strutture che in questi anni,anche con sacrificio hanno garantito una accoglienza e una collaborazione ai programmi di trattamento in alternativa al regime carceraria di soggetti che nel contesto ambientale e sociale non avrebbero avuto la possibilità di fruire di quel beneficio per mancanza di una famiglia, di un’abitazione e di altri requisiti richiesti da quel tipo di normativa . La creazione di un Albo previsto dal decreto non sposta molto in questo comparto. Piuttosto l’intervento sarebbe potuto essere e potrebbe essere quello di evitare le condizioni di saturazione di queste strutture in molte regioni incentivando la costituzione di comunità con provvedimenti in grado di garantire loro una vita soprattutto economica adeguata per far fronte per esempio al trattamento economico degli operatori spesso , per altri versi compreso le condizioni di lavoro, soggetti a un” bournout” in quanto la realtà ci mette di fronte a operatori che rischiano di “ bruciarsi “ in quanto frustrati, ossessionati e frastornati dai ritmi lavorativi, tanto da ammalarsi di stress.
Per la cronaca va detto che il D.L. 92/2024, recante“Misure urgenti in materia penitenziaria, di giustizia civile e penale e di personale del Ministero della giustizia” ha ottenuto 104 voti favorevoli, 73 contrari e 1 astensione al Senato, nella votazione di giovedì 1° agosto per rinnovare la fiducia posta dal Governo sull’approvazione, nel testo licenziato dalla Commissione Giustizia, del disegno di legge di conversione (A.S. 1183) del d.l n. 92/2024 in ambito penitenziario, di giustizia civile e penale e di personale del Ministero della giustizia. Il testo di iniziativa governativa è stato modificato rispetto a quello proposto, col nuovo titolo “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 luglio 2024, n. 92, recante misure urgenti in materia penitenziaria, di giustizia civile e penale e di personale del Ministero della giustizia”.Nella Gazzetta Ufficiale n. 186 del 9 agosto 2024 è stata pubblicata la legge 8 agosto 2024, n. 112, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 4 luglio 2024, n. 92, recante misure urgenti in materia penitenziaria, di giustizia civile e penale e di personale del Ministero della giustizia (c.d. decreto carcere).
Un testo dunque che tenta di affrontare l’emergenza e che nei provvedimenti che adotta non tiene conto di esigenze come quelle indicate per esempio nelle risultanze della relazione finale della Commissione per l’innovazione del sistema penitenziario, che ha concluso i suoi lavori il 17 dicembre 2021,( ben quattro anni fa senza alcun seguito ) .Il documento finale di quella Commissione contiene suggerimenti puntuali per migliorare la quotidianità penitenziaria, partendo da una visione costituzionale della pena, incentrata sui principi di umanizzazione e di rieducazione, sul valore del libero sviluppo della personalità attorno al quale ruota l’intero impianto giuridico della Costituzione repubblicana . Non tiene conto dell’orientamento del lavoro svolto da quella Commissione nella direzione della valorizzazione di previsioni già contenute nell’attuale normativa penitenziaria, concernenti, tra l’altro, la responsabilizzazione del recluso, ovvero la sua adesione al piano di trattamento individuale l’essenziale progressione trattamentale e la necessità di un costante rapporto con la società esterna. (1 )
Non tiene conto nemmeno delle risultanze di numerose altre Commissioni e gruppi di lavoro e di studio oltre che di Seminari e incontri di studio programmati e realizzati negli anni scorsi .
Come per esempio le risultanze della Commissione straordinaria del Senato per la tutela e la promozione dei diritti umani che ha svolto nel corso del 2011 e nei primi mesi del 2012 uno studio sistematico e approfondito sulla situazione delle carceri e dei detenuti in Italia. Una Commissione parlamentare che ha affrontato i temi del pianeta carcere dal punto di vista del rispetto della dignità e dei diritti della persona valorizzando il lavoro svolto da altre Commissioni. Un impegno di studio e di documentazione da parte di quella Commissione che ha operato alcune verifiche tra le quali quella importante di accertare se il nostro paese sia in linea con gli impegni assunti in sede internazionale sottoscrivendo atti e convenzioni. Inoltre, giacché una parte significativa della popolazione carceraria è formata da stranieri, circa un terzo, la Commissione ha anche sentito il bisogno di approfondire il tema dell’accoglienza e del trattenimento dei migranti nel nostro paese.( 2)
In questo caso un tema importantissimo proprio sul quale , nei giorni scorsi il ministro della giustizia Nordio ha fatto delle dichiarazioni a dir poco inconciliabili con il numero dei detenuti stranieri ospiti degli Istituti di pena. ll guardasigilli ha sostenuto che il sovraffollamento è colpa di una «immigrazione massiccia». Ma la percentuale di detenuti stranieri è calata e il governo ha rivendicato di aver ridotto i flussi.
Continuando questo breve elenco delle risultanze scaturite dal lavoro delle Commissioni vanno ricordate le Raccomandazione sui diritti procedurali degli indagati e degli imputati sottoposti a custodia cautelare e sulle condizioni materiali di detenzione. dell’8 dicembre del 2022 della Commissione Europea. La Raccomandazione stabilisce alcuni standard minimi, quali il ricorso alla custodia cautelare come misura di ultima istanza e l’introduzione di controlli periodici laddove il suo uso sia giustificato; standard minimi per le dimensioni delle celle, il tempo all’aperto, il vitto e le condizioni sanitarie; nonché iniziative in ottica del reinserimento sociale. Introduce, inoltre, misure specifiche per affrontare la questione della radicalizzazione nelle carceri e altre in particolare per le donne, le persone LGBTQI, i cittadini stranieri, le persone con disabilità e altre categorie di detenuti ritenuti vulnerabili.( 3)
O ancora del Messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica del 7 ottobre 2013, presenti nelle carceri italiane 64.758 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 47.615 (+73%), nel quale esortava il legislatore a risolvere il problema.
In realtà dall’analisi di questo contesto che ho tentato di fare viene in evidenza immediatamente che per realizzare un carcere secondo la Costituzione c’è bisogno, soprattutto, di spazi adeguati, di personale formato, di una nuova idea della quotidianità detentiva, sia rispetto al mandato degli operatori e alla organizzazione del loro lavoro, sia rispetto alla vita delle persone detenute.
Sul piano degli spazi, per avviare e completare l’intervento necessario a realizzare appunto spazi vivibili , considerate le attuali condizioni, è necessaria una programmazione almeno decennale. Un programma che consenta la realizzazione di nuovi istituti e quindi la chiusura delle strutture fatiscenti e l’apertura di nuove realtà dove, secondo le indicazioni della Commissione per l’Architettura penitenziaria, in carcere sia possibile una pena utile, con attività trattamentali in grado di far acquisire nuove abilità e di non disperdere quelle in essere.
E probabilmente c’è bisogno anche di ridisegnare un Dipartimento del”amministrazione penitenziaria soprattutto per quello che attiene al personale per restituire capacità operativa ai territori, redistribuendo tutto il personale in forza alle strutture centrali riconfigurando anche i Provveditorati, accorpati su base sovra regionale da una spending review che ne ha falcidiato l’operatività.
In altre parole bisognerebbe immagine e soprattutto realizzare una istituzione in cui la polizia penitenziaria , in questa nuova visione dell’istituzione, abbia il compito di sorveglianza esterna degli edifici e quindi della sicurezza mentre dovrà avere sul territorio il compito di controllo delle misure alternative. L’interno dell’istituzione dovrà essere affidata al lavoro di personale fortemente specializzato soprattutto in tema di relazioni personali per condurre programmi e progetti di trattamento che prevedano soprattutto l’adesione e quindi la partecipazione convinta degli stessi detenuti .Chiaramente in una situazione in cui le condizioni di vita e e le esigenze materiali e personali dei detenuti siano totalmente soddisfatte da strutture adeguate ( 4 )
Il 2017 avrebbe dovuto essere l’anno della “svolta” per il sistema penitenziario italiano. Avrebbe dovuto chiudersi un ciclo, idealmente iniziato nel 2013 con la condanna della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Era atteso un nuovo ordinamento penitenziario, che, dopo quarant’anni avrebbe dovuto modificare e “ammodernare” l’impianto originario del 1975, sulla base del cospicuo lavoro degli Stati generali dell’Esecuzione penale. E invece secondo il XIV Rapporto sulle condizioni detentive di Antigone , il 2017 “resterà l’anno della (dis)illusione. La riforma ha avuto tempi (troppo) lunghi, la versione definitiva del testo legislativo è finita in pasto agli appetiti (e agli infondati attacchi) elettorali, troppo a ridosso della fine della legislatura”. (5)
Il tema di questa riflessione dunque in questo contesto è la rispondenza della realtà al dettato costituzionale che esorta , anzi garantisce a livello di diritto una esecuzione della pena umana e soprattutto rispondente alla finalità del ravvedimento
Dice Glauco Giostra nella sua relazione introduttiva al convegno tenutosi presso l’Università “La Sapienza” di Roma il 22 novembre 2019 trascritta nell’articolo “Carcere. Rimettersi in cammino verso la costituzione” pubblicato su Sistemapenale.it : “ nel replicare al demagogico “devono scontare sino all’ultimo giorno in galera” “la Costituzione vuole che l’esecuzione della pena tenda al reinserimento sociale del condannato” significa opporre una risposta emotivamente imbelle. Essa anzi finisce per accreditare la diffusa, mistificante impressione che vede, da una parte, coloro che con rassicurante rigore pretendono che la pena detentiva sia scontata fino in fondo, rinchiudendo ermeticamente i pericolosi criminali entro le mura del carcere; dall’altra, i buonisti, gli indulgenzialisti, coloro che sono ossessivamente ed esclusivamente preoccupati della sorte del condannato. Una siffatta risposta non ha presa perché trascura l’interesse di cui invece mostra di farsi carico l’opposto approccio. Mentre questo trasmette un implicito messaggio rassicurante – “non siate preoccupati, questo pericoloso individuo verrà recluso entro mura ben presidiate” – l’altro risponde: “è un suo diritto costituzionalmente garantito veder abbassare i ponti levatoi di quelle mura, se dimostrerà un significativo progresso di riabilitazione sociale”. Bisognerebbe, invece, contrapporre alle esibite rodomontate punitive un perentorio warning: la segregazione senza speranza mette a grave rischio la sicurezza sociale. Un’affermazione perentoria di cui non sarebbe difficile alla bisogna dimostrare il fondamento. Il proposito di lasciar marcire i detenuti in galera sino all’ultimo giorno della pena inflitta, dobbiamo ribadirlo, non è solo in contrasto con la Costituzione e con la Convenzione europea: è un attentato alla sicurezza sociale. Questa è l’idea che si deve riuscire a inoculare nelle vene mediatiche.”(6)
Dunque nel Diritto Penale la domanda essenziale secondo Roberto Bartoli è “perché e cosa significa punire?”. La risposta procede da una chiara presa di posizione metodologica. La riflessione – osserva l’autore – potrebbe concentrarsi nella chiave della definizione formale della materia, che resta iscritta nell’esclusività del nesso biunivoco tra reato e pena: il reato è l’illecito punito con la pena e la pena è la sanzione del reato. Questa nozione ha il pregio di essere intimamente connessa con il principio di legalità ma, in realtà, è del tutto parziale perché indica soltanto cosa punisce la pena senza gettare luce né sul perché e sul significato della punizione, né sullo specifico della punizione penalistica. Si tratta, quindi, di una risposta non esaustiva perché non fornisce alcuna indicazione in ordine alla legittimazione ed ai limiti del potere punitivo.
Aborriamo l’espressione reato penale che la circolarità della definizione formale rende appunto ridondante e tautologica. La locuzione illecito penale, invece, è corretta. Gli illeciti possono essere anche civili, amministrativi, contabili. Ogni reato è un illecito ma non tutti gli illeciti sono reati; ogni pena è una sanzione/punizione ma non ogni sanzione/punizione è una pena. La domanda essenziale del diritto penale dev’essere, quindi, precisata: “perché e cosa significa punire con la pena?”. In altri termini, “perché e cosa significa punire?” è la domanda del genus del diritto punitivo; “perché e cosa significa punire con la pena?” è la domanda della species diritto penale. La risposta a quest’ultimo interrogativo per forza di cose richiede qualcosa di più rispetto alla prima.(7 )
A questo proposito qualcuno, anzi più di uno in tutti questi anni, ha avanzato proposte per la riduzione del peso del carcere nell’esecuzione penale e nel trattamento del condannato con motivazioni diverse .Mi limito qui a ricordare la motivazione di Gustavo Zagrebelsky in un testo pubblicato su La Repubblica del 23 gennaio 2015 apparso con un titolo netto, privo di prudenza, «Che cosa si può fare per abolire il carcere», che vuol dire che il tempo, della riflessione se non della decisione, è ora. Zagrebelsky definisce la detenzione retaggio della premodernità e sostiene che il carcere non è semplicemente privazione della libertà ma rende esplicita una condizione in cui viene amputato il primo diritto dell’essere umano: il diritto al proprio tempo.
Quindi anche per il carcere potrà avvenire quello che è avvenuto per i manicomi ? Ovvero la chiusura e la sostituzione con quelle misure alternative che nella stragrande maggioranza dei casi consentirebbe di gestire in modo diverso l’esecuzione della pena . Certo resta anche forte il tema della sicurezza e della risposta alla criminalità organizzata ma anche in questo caso si potrebbe parlare di una più forte ed incisiva prevenzione . Una tema comunque difficile dalle mille articolazioni che ha bisogno di accurate riflessioni e soprattutto condizioni nel contesto di una società in cui delinquere dovrebbe essere impossibile . Ma questa è una utopia .
Un utopista che va ricordato in tema di abolizione di istituzioni totali come caserme, carcere , manicomi, ospedali è sicuramente Ivan Illich che arriva a parlare di descolarizzare la società o della medicalizzazione di alcune esigenze della persona. Per non parlare poi di Michel Focoualt il cui pensiero si incentra su il potere: ma non tanto il potere degli Stati e dei governi, quanto il potere diffuso all’interno della società, nelle mille istituzioni della vita quotidiana, come gli ospedali, le scuole, le carceri, i luoghi di lavoro. Ma non è qui il caso di continuare a sviluppare questi temi utopistici che pyr affascinanti subirebbero una penalizzazione per ragioni di spazio restando affrontati con superficialità
Al di là dunque dell’utopica idea dell’abolizione del carcere rimane concretamente la possibilità appunto di rendere il carcere un luogo in cui il binomio diritti e dignità possono e devono rendere l’esecuzione della pena umana. Lo prevede la Costituzione e lo affermano e riaffermano le pronunce della Corte Costituzionale che in questi decenni più volte è intervenuta per riaffermare i principi contenuti proprio in quell’articolo 27 che vale la pena di ricordare ancora una volta . Al terzo comma in quell’articolo si afferma : “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. “ Un articolo che giunge a questa definizione della pena dopo aver posto altri due pilastri della civiltà giuridica ovvero che la responsabilità penale è sempre personale e che l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Proprio sul binomio diritti e dignità è più volte intervenuta la Corte costituzionale .
La nostra Carta fondamentale dedica una sola disposizione al tema del finalismo della pena,ossia l’art. 27 comma terzo, secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. La giurisprudenza costituzionale, che si è occupata del parametro in oggetto, ha in vario modo interpretato e precisato i contenuti del generalissimo principio in esso contenuto e si è andata storicamente evolvendo secondo un percorso non sempre univoco: ciò ha portato ad esiti ermeneutici differenziati in ordine al rapporto esistente tra le diverse funzioni della sanzione criminale.
La Corte costituzionale nei suoi interventi più rilevanti ha fatto propria una concezione cosiddetta“polifunzionale” della pena. Un esempio di tale linea di lettura è offerto dalla sentenza n. 12 del 1966 . Ha proseguito sulla stessa linea con numerose pronunce che si possono leggere in un approfondito studio consultabile on line al sito della Corte costituzionale dal titolo LA FINALITÀ RIEDUCATIVA DELLA PENA E L’ESECUZIONE PENALE a cura di S. Magnanensi e E. Rispoli illustra le sentenze che ho citato ma anche altre sentenze.( 8)
Uno studio che in sostanza conclude che “ la Corte, pur dando atto della mancanza di una definizione di tali trattamenti, sostiene che «il trattamento non contrario al senso di umanità deve caratterizzare oggettivamente il contenuto del singolo tipo di pena, indipendentemente dal tipo di reato per cui un certo tipo di pena viene specificatamente comminato» (sentenza n. 104 del 1982). Ritiene, inoltre, che, «per la concretizzazione del divieto di trattamenti contrari al senso di umanità», appaiono particolarmente pregnanti «le indicazioni fornite dal legislatore con il 4° comma dell’art. 14-quater » (sentenza n. 351 del 1996), il quale prevede le materie (igiene, vitto, salute, vestiario ecc.) su cui non possono effettuarsi restrizioni una volta applicato il regime di sorveglianza speciale di cui all’art. 14-bis del medesimo ordinamento “
(2)https://www.senato.it/documenti/repository/commissioni/dirittiumani16/Rapporto%20carceri.pdf
(4) Vedi articolo a firma del dott. Carlo Renoldi, Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, apparso sul quotidiano La Stampa domenica 18 dicembre 2022.
(7 )R. Bartoli, Introduzione al diritto penale tra violenza e costituzionalismo, Giappichelli, 2022
(8)https://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/STU_205_Finalita.pdf